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Rinascita-Scott: in Corte d’Assise cinque omicidi e due sequestri di persona

Lupare bianche ed agguati decisi dai Bonavota contro i Cracolici, dai clan Accorinti e Razionale contro i Soriano e dalla cosca Lo Bianco per punire un affiliato ritenuto omosessuale. Il tentativo di recuperare tre milioni e duecentomila euro e poi un credito di seimila euro

Rinascita-Scott: in Corte d’Assise cinque omicidi e due sequestri di persona

Si è riservata di decidere la Corte d’Assise di Catanzaro dinanzi alla quale si è oggi tenuta la prima udienza del processo Rinascita-Scott per il troncone con il quale sono contestati cinque omicidi e due sequestri di persona. Diverse le eccezioni preliminari sollevate dai difensori degli imputati, ad iniziare dall’avvocato Francesco Sabatino che assiste Giuseppe Accorinti, ritenuto il boss di Zungri, in ordine all’interrogatorio di garanzia, mentre le altre eccezioni attengono alla paventata “genericità” – secondo i difensori – dei capi di imputazione. Questioni che la Corte scioglierà il 24 marzo prossimo.

Dinanzi alla Corte d’Assise di Catanzaro, gli omicidi di Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano avvenuti il 9 febbraio 2002 a Vallelonga, la scomparsa per lupara bianca di Filippo Gangitano, sparito da Vibo Valentia nel gennaio 2002, e le “lupare bianche” ai danni di Roberto Soriano e Antonio Lo Giudice, uccisi il 6 agosto 1996. Fatti di sangue diversi ma che verranno trattati in un unico processo. Davanti alla Corte d’Assise anche due sequestri persona a scopo di estorsione. [Continua dopo la pubblicità]

Alfredo Cracolici

L’OMICIDIO DI ALFREDO CRACOLICI

Per la prima volta in sede giudiziaria vengono quindi contestati gli omicidi di Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano. Quello di Raffaele Cracolici (maggio 2004 a Pizzo Calabro) era infatti già stato contestato con le operazioni “Uova del drago” e “Conquista”. Secondo l’accusa, mandante del fatto di sangue sarebbe stato Domenico Bonavota, 41 anni, di Sant’Onofrio, mentre Antonio Ierullo, 51 anni, di Vallelonga (che è stato ieri rinviato a giudizio), avrebbe fornito appoggio logistico durante le fasi propedeutiche al duplice omicidio e sarebbe stato poi l’autore materiale della sparatoria che ha cagionato la morte di Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano contro i quali sono state esplose raffiche di fucile mitragliatore kalashnikov e colpi di fucile calibro 12, tanto da lasciare sul posto dell’agguato – in contrada Muraglie di Vallelonga – i bossoli di oltre venti colpi. A recarsi insieme a Ierullo a fare un sopralluogo a Vallelonga ci sarebbe stato anche un soggetto di Sant’Onofrio rimasto al momento ignoto.

A permettere la ricostruzione del duplice omicidio, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Andrea Mantella e Francesco Costantino, ma anche le dichiarazioni rese a suo tempo da Bruno Di Leo di Sant’Onofrio. 

Roberto Soriano

Il TRANELLO A LO GIUDICE E SORIANO

Dal verbale di Andrea Mantella: «Peppone tese un tranello ai due, Lo Giudice e Soriano, dicendo loro di tornare dopo un paio di giorni perché intanto avrebbe cercato di trovare la macchina rubata. Invece di fare ciò avvisò Saverio Razionale». Fu così che Lo Giudice e Soriano, due giorni dopo, in un casolare, si sarebbero trovati dinanzi ad Accorinti, Razionale e altri uomini. E qui inizia una narrazione raccapricciante: «Giunti al casolare, fu detto subito a Lo Giudice di andarsene perché la cosa non lo riguardava ma, per come mi dissero sia Razionale che Accorinti, lui non se ne volle andare, dicendo che Soriano era un bravo ragazzo». [Continua in basso]

LO GIUDICE NON ABBANDONO’ L’AMICO

Così Andrea Mantella spiega che Antonio Lo Giudice fu ucciso perché non volle abbandonare l’amico al suo destino: «Non mi è stato detto se Antonio Lo Giudice è stato sparato o strangolato, ma so che è stato ucciso sulla sedia e Accorinti mi disse che era morto con il sorriso sulle labbra». Fu una morte rapida, diversamente da quella di Roberto Soriano. Apprese, il collaboratore di giustizia, che prima di essere ucciso fu torturato usando una tenaglia di quelle per tagliare le unghie alle vacche». Lo interrogarono affinché confessasse la sua responsabilità per gli agguati orditi contro gli stessi Accorinti e Razionale, su ordine di Peppe Mancuso: «Alla fine confessò… E mentre lo torturavano li pregava di ucciderlo».

Giuseppe Accorinti

GLI OMICIDI DI ROBERTO SORIANO E ANTONIO LO GIUDICE

Il 6 agosto 1996 l’omicidio di Antonio Lo Giudice e la contestuale scomparsa per lupara bianca di Roberto Soriano, che avevano trascorso insieme le loro ultime ore. Due delitti svelati grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Andrea Mantella. «In quel periodo rubarono la macchina alla compagna di Antonio Lo Giudice, uomo d’onore di Piscopio, che faceva l’infermiera all’ospizio di Rione Carmine».

Lo Giudice, visto che specializzati nei furti d’auto, all’epoca, erano i Soriano, ai Soriano si rivolse e, in particolare a Roberto. Ma Roberto Soriano di quella macchina non sapeva nulla e, così, si offrì – spiega sempre Mantella – di accompagnare Lo Giudice dal boss degli Accorinti di Zungri, Peppone, che nel frattempo però era stato informato dallo stesso Razionale che Giuseppe Mancuso lo voleva eliminare e che era stato proprio Roberto Soriano a sparargli l’anno precedente (il 29 settembre 1995) su mandato del boss di Limbadi. La vendetta di Giuseppe Mancuso nei confronti di Saverio Razionale sarebbe scattata poiché il boss di Limbadi aveva chiesto a Razionale di aiutarlo ad eliminare Giuseppe Accorinti. Razionale aveva però avvertito lo stesso boss di Zungri del progetto omicidiario. [Continua in basso]

Filippo Catania


LA SCOMPARSA DA VIBO DI GANGITANO, ALIAS “U PICCIOTTU”

Quando il 27 gennaio 2002 fu denunciata la scomparsa di Filippo Gangitano, si pensò ad un regolamento di conti in seno alla criminalità organizzata, che magari poteva aver tolto preventivamente di mezzo uno che si riteneva potesse pentirsi. Quel caso di lupara bianca finì pertanto solo con l’aggiornare le statistiche degli scomparsi in una provincia divenuta sin dagli anni ‘80 un buco nero. Quasi diciotto anni dopo, invece, è Rinascita-Scott a fare luce ed a mandare a giudizio dinanzi alla Corte d’Assise: Vincenzo Barba, alias “il Musichiere”, Filippo Catania, Paolino Lo Bianco e Andrea Mantella, tutti di Vibo Valentia. Fra i mandanti del fatto di sangue, anche il boss Carmelo Lo Bianco, alias “Piccinni”, deceduto nel 2004 in carcere.

Paolino Lo Bianco

UCCISO PERCHE’ GAY

vertici del clan Lo Bianco – ha fatto mettere a verbale Andrea Mantella – decisero che Gangitano andava eliminato perché «omosessuale». Che fosse vero o meno, poco importava. «La città era piena» e ciò divenne una sentenza senza appello, perché la ‘ndrangheta aveva delle regole e perché bisognava «dare conto a San Luca», che non accettava gay tra gli affiliati. Di vero c’era che Filippo Gangitano, allora trentacinquenne, aveva un amico più giovane dal quale non si separava quasi mai. E quel legame che appariva fortissimo, quasi simbiotico, finì con l’alimentare le voci, voci che – riscontrate o meno che fossero – si tradussero in una condanna a morte.

Andrea Mantella ha sottolineato agli inquirenti di aver provato a salvare la vita del cugino, ma i suoi sforzi furono inutili e così egli stesso dovette farsi carico di attirarlo in una trappola, coinvolgendo con l’inganno pure i suoi fratelli, ignari di quale fosse il piano, per consegnarlo al fucile di colui il quale l’avrebbe ammazzato, Francesco Scrugli, a sua volta assassinato, dieci anni dopo, nella guerra di mafia tra i Patania di Stefanaconi ed il clan dei Piscopisani.

Vincenzo Barba

L’ex killer Andrea Mantella ha spiegato che Gangitano fu atteso da Scrugli, nascosto dietro una balla di fieno, nella masseria. Sparò con un fucile calibro 12 e lo colpì alla testa. Esanime, venne messo in un sacco, caricato su una carriola e portato dall’altra parte della strada, dove fu seppellito. Ma Mantella aggiunge un altro particolare agghiacciante. Randagi e animali selvatici, avvertendo l’odore del cadavere, nascosto sotto pochi centimetri di terra, scavarono e, dopo qualche giorno, fecero affiorare alcuni resti, facendone scempio.

IL CADAVERE MAI PIU’ RITROVATO

Così il collaboratore di giustizia diede ordine di bruciare il corpo assieme ad alcuni vecchi pneumatici e di sotterrare nuovamente ciò che restava. Quei resti straziati sono ancora lì seppelliti, mai più venuti alla luce, nonostante gli interventi di costruzione della Tangenziale Est di Vibo a ridosso dalla masseria di Mantella dove sarebbe stato sepolto il cugino Filippo Gangitano, ucciso “perché gay”.

Saverio Razionale

I SEQUESTRI DI PERSONA

Tra le vicende di rilievo emerse nell’indagine “Scott” – filone investigativo nato attorno alla figura del boss di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale – c’è anche un tentativo di recupero crediti con modalità estorsive per 3 milioni e 200mila euro che, secondo l’accusa, sarebbe stato attuato da Saverio Razionale, avvalendosi di Francesco Carnovale, 52 anni, di Vibo ma residente a Fiumicino, Alessandro Iannarelli, 46 anni, di Marino (entrambi costituenti per la Dda una “cellula romana” direttamente dipendente da Razionale) e Salvatore Valenzise, 54 anni, di Castiglione Olona (Va) in danno dei fratelli Pio e Marco Mizzau, eredi di una famiglia di imprenditori titolari di una struttura alberghiera a San Giovanni Rotondo (in provincia di Foggia).

Le indagini dei carabinieri del Ros hanno portato ad accertare che il tentativo di recupero crediti era connesso ad un investimento occulto, di 3,2 milioni di euro che sarebbe stato effettuato nel 2004 dal clan Mancuso attraverso Salvatore Valenzise, Giovanni Vecchio, 62 anni, nativo di Nicotera ma residente a Milano, ed Attilio Bianco, 69 anni, di Scandiano (anche loro a giudizio per concorso in riciclaggio insieme a Valenzise) i quali avrebbero, secondo l’accusa, fornito all’imprenditore Ennio Mizzau le risorse economiche (tre milioni e 200mila euro) per riacquistare l’Hotel di San Giovanni Rotondo che era stato oggetto di una procedura fallimentare. Tra il 2009 e il 2014 i calabresi avevano effettuato vari tentativi di recupero dell’investimento senza però riuscirvi.

Nel giugno del 2016, quindi, Saverio Razionale sarebbe stato incaricato di rintracciare gli eredi di Mizzau per il recupero dell’investimento. Iniziavano così le vessazioni e le intimidazioni “poste in essere da Carnovale e Iannarelli ai danni di Pio Mizzau” che sarebbe stato anche “sequestrato su disposizione dello stesso Razionale”.

Gli indagati non riuscivano tuttavia a riottenere il denaro e decidevano di “congelare” temporaneamente l’azione criminosa a causa di molteplici avvenimenti ed in particolare per via della desistenza volontaria del ragioniere incaricato di procedere al recupero dei soldi dalla famiglia Mizzau il quale, intimorito – secondo l’accusa – dalle modalità violente e minacciose messe in atto da Saverio Razionale e Francesco Carnovale avrebbe rinunciato all’incarico, anche a causa dei controlli di polizia subiti da Iannarelli e Carnovale nel 2017. 

Antonio Vacatello

L’altro sequestro di persona che verrà giudicato dalla Corte d’Assise di Catanzaro interessa diversi imputati. La vicenda parte dalla contestazione di estorsione aggravata dalle modalità mafiose mossa nei confronti di Antonio Vacatello, 56 anni, ritenuto dagli inquirenti il capo ‘ndrina di Vibo Marina strettamente collegato con il boss di Zungri Giuseppe Accorinti. Secondo l’accusa, Antonio Vacatello avrebbe cercato di ottenere con modalità delittuose la restituzione o il pagamento di somme di denaro – circa seimila euro – da parte di Rocco Ursino, vibonese residente a Imbersago.  La condotta copre un arco temporale che va dal 14 settembre 2016 al 12 ottobre 2016 e porta quale luogo di commissione Seregno (provincia di Monza) e Vibo Marina.

Valerio Navarra

Per ottenere la restituzione della somma di denaro sarebbe stato compiuto un vero e proprio sequestro di persona. Tale reato viene contestato, in concorso fra loro, ad Antonio VacatelloPantaleo Maurizio Garisto, 38 anni, di Zungri, Luciano Macrì, 52 anni, di Vibo Marina, Valerio Navarra, 27 anni, di Pernocari, Saverio Sacchinelli, 38 anni, di Pizzoni. Vacatello sarebbe stato il mandante e il coordinatore del sequestro di persona. Tutti gli imputati si sarebbero recati a Cernusco sul Naviglio per effettuare materialmente il sequestro di persona. Rocco Ursino sarebbe stato quindi portato in una casa di Seregno, in provincia di Monza, e qui immobilizzato e pestato. Poi il trasferimento con la forza in Calabria per rimanere nell’abitazione dei propri genitori impedendogli ogni libertà di movimento se non avesse pagato la somma asseritamente dovuta. Luciano Macrì si sarebbe dato da fare, secondo l’accusa, per contattare a Vibo la madre di Rocco Ursino informandola del debito del figlio al fine di intimorire la donna e costringerla a pagare.

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