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Rinascita-Scott: il pentito Nino Fiume e la nascita del “Consorzio” criminale

I rapporti fra ‘ndrangheta, Cosa Nostra, camorra e Sacra corona unita ed il ruolo dei Mancuso, dai summit a Nicotera e Limbadi sino alla pax mafiosa in altre zone della Calabria. L’omicidio del figlio di Cutolo e il prestigio criminale dei De Stefano

Rinascita-Scott: il pentito Nino Fiume e la nascita del “Consorzio” criminale

Un “Consorzio” criminale con sede a Milano di cui avrebbero fatto parte esponenti di Cosa Nostra, della ‘ndrangheta, della camorra e della sacra corona unita. Ma anche riunioni nel Vibonese presiedute dai Mancuso di Limbadi che insieme ai Piromalli di Gioia Tauro ed ai Pesce di Rosarno avrebbero costituito una sorta di “triumvirato”. E poi i De Stefano di Reggio Calabria, entità criminale “che va oltre la ‘ndrangheta”. Antonino Fiume, 57 anni, di Reggio Calabria, ha deposto pomeriggio nel processo Rinascita-Scott raccontando al Tribunale collegiale di Vibo Valentia molteplici intrecci criminali ai più alti livelli. Figlio di un imprenditore proprietario, fra l’altro, anche della fornace “La Tranquilla” di San Calogero poi venduta ai Romeo e dove il 2 giugno 2018 è stato ucciso Soumaila Sacko,  Antonino Fiume collabora dal 2002. La sua amicizia con l’allora boss dei boss di Reggio Calabria, Paolo De Stefano (ucciso il 13 ottobre 1985) risale agli anni ’70 ed ’80 ed è poi proseguita con i figli don Paolino, vale a dire Carmine e Giuseppe De Stefano. [Continua dopo la pubblicità]

Paolo De Stefano

Si trattava di ragazzi che frequentavano la Reggio-bene e pagavano per tutti. Erano ricchissimi e pieni di soldi. Io sono diventato confidente di Paolo De Stefano che mi aveva raccomandato soprattutto di “guardargli” il figlio Carmine. Sposando la linea della vendetta da parte dei De Stefano impegnati nella seconda guerra di mafia dopo l’omicidio di Paolo De Stefano – ha dichiarato Fiume – sono diventato come un fratello per Carmine e Giuseppe De Stefano. Nonostante questo, ad un certo punto i De Stefano hanno preteso che io versassi loro una sorta di tangente con le mie attività e questo non mi è andato bene ed ho iniziato a collaborare con la giustizia”.

Giuseppe De Stefano

IL CONSORZIO CRIMINALE QUALE POTERE ASSOLUTO DELLE MAFIE IN ITALIA

Quella di “consorzio criminale” è una definizione che Antonino Fiume ha usato – rispondendo alle domande del pm della Dda Andrea Mancuso – per indicare un organismo collegiale di vertice composto da più soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta, alla camorra, alla sacra corona unita e ad una parte di Cosa Nostra, che in tale organismo era rappresentata da Jimmy Miano e Turi Cappello. Facevano parte della medesima struttura anche Rocco Papalia, Mico Paviglianiti e Giovanni Puntorieri del gruppo Ficara-Latella, Mimmo Branca, Pepè Flachi, Cataldo Marincola e Peppe Farao di Cirò, che erano fra i più fedeli alleati dei De Stefano. I soggetti di vertice della componente ‘ndranghetista erano però Franco Coco Trovato di Marcedusa, residente in Lombardia e imparentato con i De Stefano, e Antonio Papalia di Platì. Facevano parte di tale struttura ma a livello inferiore anche i Ferrazzo di Mesoraca, Pasquale Liotta e Vincenzo Comberiati di Petilia Policastro, Pasquale Nicoscia di Isola Capo Rizzuto. Sino a quando era in vita Paolo De Stefano – ha sottolineato il collaboratore Fiume – era lui il capo di tale Consorzio criminale che rappresenta il potere assoluto di tutte le mafie d’Italia. Il Consorzio, che era riconosciuto dal vertice del Crimine, nella persona di Antonio Pelle di San Luca e da Domenico Alvaro di Sinopoli, serviva a coordinare tutte le attività illecite che si svolgevano sul territorio nazionale. Dopo la morte di Paolo De Stefano sono entrati a pieno titolo in tale struttura i suoi figli Carmine e Giuseppe De Stefano”.  [Continua in basso]

Raffaele Cutolo

L’OMICIDIO DEL FIGLIO DI CUTOLO

Fra gli omicidi autorizzati da tale Consorzio criminale, anche quello di Roberto Cutolo, figlio del capo della Nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo. Alcuni napoletani come la famiglia Batti, che davano conto a Franco Coco Trovato e Pepè Flachi, volevano uccidere – ha spiegato Fiume – Tonino Schettini, anche se in realtà volevano eliminare lo stesso Franco Coco Trovato e Giuseppe De Stefano. Ci fu in effetti una sparatoria in cui rimasero uccisi alcuni passanti. In cambio del favore dell’eliminazione del figlio di Cutolo, venne chiesto a Mario Fabbrocino di uccidere a Napoli i componenti del gruppo che aveva sparato contro Coco Trovato e De Stefano. Giuseppe De Stefano mi disse in ogni caso di non dire nulla a Reggio Calabria dell’uccisione del figlio di Cutolo autorizzata dal Consorzio, visto che Giovanni Tegano – ha ricordato Fiume – non avrebbe gradito tale azione per i nostri rapporti con Raffaele Cutolo, iniziati molti anni prima e rafforzata con l’omicidio di Mico Tripodo”.

Domenico Tripodo

Il riferimento di Antonino Fiume è all’omicidio del boss di Reggio Calabria (Sambatello), Domenico Tripodo, ucciso a coltellate nel carcere di Poggioreale il 26 agosto 1976 da Pasquale Barra detto “O animale”, uno dei fidatissimi di Raffaele Cutolo, il quale avrebbe così assecondato la richiesta dei De Stefano. Un delitto importante nella storia della criminalità organizzata perché segnò l’ascesa del gruppo De Stefano e l’alleanza con Raffaele Cutolo, capaci entrambi di dettare le strategie mafiose in tutto il Sud Italia dal 1976 al 1982.
A rappresentare invece in Calabria la zona jonica sarebbero stati i boss Giuseppe Morabito di Africo, Antonio Pelle di San Luca e Ciccio Barbaro di Platì. Nella parte tirrenica, invece, secondo Fiume i più alti in grado della ‘ndrangheta sarebbero stati Pino Piromalli di Gioia Tauro, Antonino Pesce di Rosarno e Luigi Mancuso di Limbadi. [Continua in basso]

Luigi Mancuso

LA RIUNIONE A NICOTERA E L’IMBASCIATA DEI SICILIANI

Antonino Fiume ha quindi raccontato di aver accompagnato nel 1992 Carmine De Stefano alla riunione al villaggio Sayonara di Nicotera – di cui hanno riferito nelle precedenti udienze anche i collaboratori Franco Pino e Umile Arturi – in cui venne discussa la proposta di Cosa Nostra fatta alla ‘ndrangheta di aderire alla “strategia stragista” messa in piedi con gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino e proseguita poi nel 1993 con le bombe a Milano, Firenze e Roma contro il patrimonio artistico italiano. “A tale summit io non ero presente – ha spiegato Fiume – ma ho accompagnato Carmine De Stefano che, insieme a Giuseppe De Stefano, mi hanno raccontato come Luigi Mancuso fosse contrario alla proposta dei siciliani perché secondo lui i giudici si dovevano avvicinare e corrompere, ma non uccidere. Sulla stessa linea di Mancuso erano anche Antonino Pesce e Pino Piromalli. Alla riunione erano presenti pure Franco Pino di Cosenza, Cataldo Marincola e i Farao di Cirò. L’unico che era indeciso se aderire o meno alla strategia dei siciliani era Franco Coco Trovato che si era a tal proposito anche incontrato con Giuseppe Pulvirenti, detto U Malpassatu”.

Franco Coco Trovato

LE ALTRE RIUNIONI NEL VIBONESE

Altri summit si sarebbero però svolti nei primi anni ’90 – secondo Nino Fiume – anche a Limbadi direttamente a casa di Luigi Mancuso o di Antonio Prenesti, indicato come vicinissimo al boss. “Le cosche di Vibo – ha riferito Fiume – erano invece solite riunirsi al Lido degli Aranci, mentre io stesso sono stato in ospite di un villaggio di Parghelia accompagnato da Luigi Mancuso e Pino Piromalli. Ricordo che a Limbadi a casa di Luigi Mancuso furono Giuseppe De Stefano e Franco Coco Trovato a chiedergli intervenire in Cassazione per aggiustare un processo che vedeva imputati due ragazzi per un omicidio. Ricordo Mancuso ci indicò un avvocato. In altre occasioni, invece, sia lui che suo nipote Pantaleone Mancuso sono riusciti a far siglare la pace a diverse famiglie in guerra fra loro, anche del Lametino e del Crotonese”. Il controesame di Antonino Fiume da parte dei difensori degli imputati si terrà il 22 febbraio prossimo.

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