«Mio amato cugino, potevi essere salvato»: 4 giorni di attesa poi il ricovero e la morte per Covid – Video
I parenti di Franco, il 71enne di Pizzo deceduto a causa del virus, puntano il dito contro il ritardo dei soccorsi: «Non hanno compreso la gravità della situazione, dovevamo chiamare i carabinieri…»
«Franco poteva essere salvato se solo avessero risposto alle nostre richieste d’aiuto. Se solo a Vibo avessero capito la gravità della situazione». È morto di Covid Carmelo Mazzotta Callipo, che a Pizzo tutti conoscevano come Franco. Avrebbe compiuto 71 anni proprio oggi. È morto in solitudine. Neppure quei cugini, che tanto lo hanno amato da quando fu adottato da bambino, sono riusciti a fare nulla per lui. «I soccorsi hanno atteso troppo tempo prima di intervenire – racconta sua cugina Alfia -, hanno sottovalutato il problema. E quando l’ambulanza è arrivata non c’era più nulla da fare. Neppure al Policlino Universitario di Catanzaro sono riusciti a salvargli la vita».
Il contagio in casa
Adesso Alfia è divorata dal senso di colpa: «Forse avrei dovuto chiamare il 112… sarebbero dovuti intervenire i carabinieri», dice, mentre si tormenta nel ricordo di quello che si sarebbe potuto fare e forse non è stato fatto. Alfia, assistente amministrativo all’Istituto Nautico di Pizzo, ha scoperto di essere positiva grazie a uno screening effettuato alla vigilia della riapertura delle scuole, ma è completamente asintomatica, dunque non sospettava di essere affetta dal coronavirus. Pure il marito ha il Covid, e con tutta probabilità a contagiarlo è stato proprio quel cugino che accudivano con tanto amore e che si atteneva scrupolosamente a tutte le regole di prevenzione. Era uscito solo una volta per andare a rinnovare la patente, poi sempre a casa.
Scoperta la positività della donna, tutti e tre vengono inviati dall’Asp al drive in di Vibo per il tampone molecolare. È il 15 gennaio. Quattro ore di attesa, mentre Franco accusa i primi sintomi della malattia.
La prima chiamata
Ha la febbre. L’indomani parte la prima chiamata al medico curante. Il dottore consiglia di andare all’ospedale di Lamezia, ma qui l’anziano viene rimandato a casa. «Bisogna chiamare il 118», l’indicazione dei sanitari lametini. E così fanno. Ma gli operatori non intervengono e prescrivono via telefono una terapia a base di cortisone. Alfia sfida il divieto ed esce di casa per portare il pranzo al cugino che lamenta dolori allo stomaco e agli arti. Bisogna comprare le medicine. Viene allertata la Protezione civile. Il presidente della sezione napitina Franco Di Leo va ad acquistare i farmaci, come aveva già fatto il giorno prima il fratello di Alfia.
Franco si trascina davanti al cancello per prendere le sue medicine. Confida alla cugina che è stremato e che ha bisogno di aiuto. Si sentono più volte al giorno. Il telefono è l’unico mezzo per comunicare. Sta male ed è solo.
Finalmente il 118
Sabato e domenica passano nel silenzio assordante di un’assistenza che non c’è. Lunedì mattina viene allertata una dottoressa dell’Asp di Vibo. Finalmente il 118 interviene.
Sono trascorsi 4 giorni dalla prima chiamata d’emergenza. L’ambulanza arriva. Lo trasporta allo Jazzolino. Alfia chiama i medici. Vuol sapere come sta suo cugino. «L’infartuato?», domandano dall’altro capo del telefono. «No. Il paziente Covid», risponde lei.
Troppo tardi
Poche ore dopo, allo stesso numero, le faranno sapere che è stato trasferito a Catanzaro. È lunedì sera. Franco è grave. Viene intubato, morirà quella stessa notte. Alle 2.
I medici non hanno potuto salvarlo. È arrivato in condizioni disperate. Ha avuto un’occlusione delle arterie e varie embolie provocate dal virus.
«Non aveva altre patologie. Era forte e sano. Conduceva una vita tranquilla. Si occupava della sua terra». La donna è convinta che «qualcuno non ha fatto il proprio dovere». La famiglia non ha neppure potuto partecipare al funerale di quel cugino adottato quando era un bambino da una famiglia di Pizzo. Non presenterà denuncia formale, ma spera solo che tutti conoscano la storia di Franco Mazzotta Callipo, affinché nessun altro sia costretto a fare la sua stessa fine.