domenica,Settembre 8 2024

Il maxiprocesso alla ‘ndrangheta e la dignità dei giudici ragazzini

Un collegio di tre donne giovanissime chiamato a decidere uno dei procedimenti più importanti della storia giudiziaria italiana. Ciò mentre pochissimi giudici, tutti altrettanto giovani, sfidano lo tsunami che si abbatte su Vibo. Roma deve mandare urgentemente rinforzi

Il maxiprocesso alla ‘ndrangheta e la dignità dei giudici ragazzini
La presidente del collegio giudicante al maxiprocesso Rinascita Scott Brigida Cavasino

Quando Alfonso Giordano fu chiamato a guidare la Corte d’Assise di Palermo per il maxiprocesso a Cosa nostra, aveva trentaquattro anni di magistratura alle spalle. Brigida Cavasino, che oggi presiede il maxiprocesso alla ’ndrangheta in corso all’aula bunker di Lamezia Terme, è alla sua prima vera esperienza in un Tribunale penale dopo il tirocinio a Roma. Giovane donna, presidente di un giovanissimo collegio giudicante di sole donne: a latere Claudia Caputo e Gilda Romano. Fosse la Sicilia di Rosario Livatino, sarebbe un collegio di «giudici ragazzini»: non nell’accezione attribuita a questa locuzione dall’allora presidente Francesco Cossiga, ma in senso nobile, il più nobile, invece. [Continua dopo la pubblicità]

L’aula bunker, teatro del maxiprocesso Rinascita Scott

Segnare la storia

Immaginate cosa possa significare, a trentacinque anni o poco più, decidere la colpevolezza o l’innocenza di più di trecento persone, processate tutte insieme; presiedere uno dei più grandi processi della storia giudiziaria italiana per il quale si mobilitano giornalisti e troupe di colossi dell’informazione da ogni continente; avere davanti un monumento della lotta al crimine organizzato come Nicola Gratteri a guidare un pool di pubblici ministeri preparati ed agguerriti; un esercito di avvocati determinati a dare battaglia udienza dopo udienza; misurarsi su questioni giuridiche di grande complessità.

La Corte d'Appello di Catanzaro
La Corte d’Appello di Catanzaro

Astensione e ricusazione

L’ultima è quella alla base dell’istanza di ricusazione che uno dei difensori, l’avvocato Diego Brancia, ha proposto alla Corte d’Appello di Catanzaro. La storia è semplice: la presidente Cavasino faceva parte, come la collega a latere Gilda Romano, del collegio che aveva pronunciato la sentenza di un procedimento collaterale al maxiprocesso Rinascita Scott. Le due donne magistrato hanno proposto istanza di astensione da Rinascita ma il presidente del Tribunale di Vibo Valentia l’ha respinta. Ora ci prova la difesa. «Il nostro dovere – ha spiegato la presidente Cavasino nell’ultima udienza a Lamezia – è essere qui e andare avanti». In sostanza, a questo punto, sarà la Corte d’Appello a stabilire se, dopo Tiziana Macrì, ricusata per avere firmato un decreto autorizzativo delle intercettazioni nelle indagini preliminari, altre due giudici dovranno essere sostituite. [Continua]

Una sfida enorme

Avanti, dunque, col maxiprocesso, che sin dalle primissime battute, ancora lontano dall’entrare nel vivo, mostra subito le sue insidie. Il Tribunale, superando ogni scetticismo connesso alla giovane età delle sue componenti, mostra autorevolezza. Gestisce un appello di oltre trecento imputati e cento parti lese, durato oltre due ore, con ordine. Mostra pacatezza e buonsenso nell’affrontare la miriade di interruzioni che provengono dagli agenti penitenziari: detenuti presenti, parzialmente rinuncianti, necessitanti di mettersi in contatto coi propri difensori mentre le linee telefoniche risultano fuori uso, in isolamento per covid ma con certificazioni mediche incomplete. Affronta le prime questioni giuridiche spinose.

Il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri

Le difese e Gratteri

Salgono in cattedra i difensori di Giancarlo Pittelli, il presunto «Giano bifronte» che ha scelto il giudizio immediato per «definire celermente» il suo processo, staccandosi così dal maxi. L’avvocato Guido Contestabile arringa, opponendosi alla riunione, correlando la giurisprudenza italiana a quella europea. L’avvocato Salvatore Staiano entra nelle pieghe della dottrina. Il collegio, con propria ordinanza, supera ogni questione: i procedimenti vanno riuniti, proprio per motivi di speditezza, perché ci si ritrova davanti ad impianti probatori speculari e pertanto sovrapponibili. Prima di chiudersi in camera di consiglio, però, il collegio giudicante dà prova di sensibilità alle legittime prerogative degli imputati: uno dei detenuti chiede di rilasciare dichiarazioni spontanee e le parti che s’erano già sparpagliate vengono inviate a sedersi di nuovo. La sintesi è questa: avvisa, il detenuto, che se percepirà parzialità verso le posizioni della Procura, rinuncerà alle udienze e, quindi, a difendersi. Gli imputati, in pratica, temono che l’immagine del procuratore Gratteri possa condizionare sul piano psicologico il Tribunale. [Continua in basso]

Autorevolezza

La risposta, però, giungerà all’epilogo dell’udienza. È proprio il procuratore capo a prendere la parola, evidenziando come la sua presenza sia orientata ad assicurare speditezza nel processo, evitando che la scadenza dei termini di custodia giunga prima della sentenza. Chiede che si faccia un’udienza al giorno. La presidente Cavasino, però, replica: la speditezza, una giustizia giusta e rapida, è il primo scopo del Tribunale, che non può però tenere un’udienza al giorno, perché al dibattimento deve affiancarsi lo studio delle carte e delle questioni giuridiche sollevate dalle parti. Affronta, il Tribunale, non con autorità ma con autorevolezza, così, la sfida lanciata da un monumento come Gratteri. Peccato, soltanto, che questo momento non venga immortalato dalle telecamere, le cui riprese sono state vietate.

Il maxi… Un Vietnam

Sa, il collegio, che questo maxiprocesso sarà un Vietnam, che le difese non si risparmieranno, tanto nel merito delle questioni quanto facendo ricorso ai tatticismi procedurali. Sa che la pubblica accusa andrà avanti come un rullo compressore. L’hanno dimostrato, peraltro, i pubblici ministeri Antonio De Bernardo ed Anna Maria Frustaci – battagliando, punto per punto, su ogni questione difensiva, e producendo anche l’atteso verbale del collaboratore di giustizia Gaetano Cannatà, sulla presunta intesa tra le difese che avrebbero scelto in massa il dibattimento per ritardare la definizione del maxi e addivenire alle scarcerazioni.

Da sinistra il procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo, il giudice Brigida Cavasino e il presidente del Tribunale di Vibo Valentia Antonio Erminio Dio Matteo

Servono rinforzi a Vibo

L’esigenza è «fare presto». Ma come? Rinascita Scott, il più imponente processo per reati di mafia che si celebra in Italia, sarà lungo e logorante. E peraltro – così come lo stesso Gratteri ha riconosciuto tra le righe del suo intervento finale – rischia di paralizzare il Tribunale di Vibo Valentia. La Dda di Catanzaro chiede che le tre magistrate del collegio siano esonerate da altre incombenze. E così, inevitabilmente, sarà. Ma le pochissime toghe della sezione penale rimaste a Vibo come faranno a fronteggiare quel carico di lavoro enorme che già grava sul loro ufficio? Servono rinforzi. Il presidente Antonio Erminio Di Matteo li ha chiesti formalmente. Il procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo li invoca sin dal suo insediamento per non incorrere nei guasti del passato: processi per reati gravissimi che si prescrivono, misure cautelari e personali che tardano ad essere emesse malgrado situazioni di evidente allarme.

Ministero e Csm che faranno?

Affinché Rinascita Scott non diventi paradossalmente un guaio per la giustizia, nella provincia in cui proprio la giustizia ha inteso dare un segnale vigoroso di cambiamento, allora servono rinforzi. La dignità ed il sacrificio dei giudici ragazzini (nobili ragazzini) di Vibo Valentia, finora ha consentito di reggere l’urto di uno tsunami, ma non basterà nel lungo periodo. Devono porsi un interrogativo serio il Ministero della Giustizia ed il Consiglio superiore della magistratura, per evitare che mentre il maxiprocesso vada a definizione, il resto della giustizia affoghi, schiacciando sotto una insostenibile marea di procedimenti quei pochi giudici, quasi tutti orgogliosamente giovanissimi, peraltro, rimasti con Antonio Di Matteo e Tiziana Macrì.

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