Autobomba di Limbadi, i rosarnesi indicano le precise responsabilità del clan Mancuso
Rivelazioni inedite vengono fuori dall’operazione Faust. Il boss Salvatore Pisano dopo l’attentato costato la vita a Matteo Vinci si sarebbe recato a pranzo dal capomafia Luigi Mancuso. Pesce e Iannace a conoscenza degli autori? Ecco le preziose intercettazioni agli atti dell’inchiesta
Riporta particolari del tutto inediti su uno dei più sconvolgenti fatti di sangue mai avvenuti nel Vibonese, l’operazione Faust contro il clan Pisano di Rosarno che stamane ha portato all’arresto anche del sindaco Giuseppe Idà. Il gip distrettuale di Reggio Calabria, Antonino Foti, nell’ordinanza di custodia cautelare riporta infatti un intero capitolo sugli storici rapporti esistenti fra il clan Pisano di Rosarno e il clan Mancuso della vicina Limbadi e Nicotera. Ma, soprattutto, riporta dettagli assolutamente inediti su ciò che è avvenuto sull’asse Rosarno-Limbadi a pochi giorni dall’autobomba che il 9 aprile 2018 è costata la vita al biologo Matteo Vinci mentre il padre Francesco è rimasto gravemente ferito. [Continua dopo la pubblicità]
“La cosca Pisano vanta dei collegamenti anche con la potente cosca Mancuso di Limbadi. In particolare, oltre ai rapporti tra Salvatore Belcastro e Alfonso Cuturello, dall’attività investigativa emergono altri collegamenti tra Salvatore Pisano ed esponenti di vertice della cosca Mancuso, in occasione dell’attentato del 9 aprile 2018, in cui perdeva la vita Matteo Vinci e veniva ferito gravemente suo padre Francesco”. Il 25 giugno 2018, per tale vicenda, venivano fermati e si trovano attualmente sotto processo: Rosaria Mancuso, 65 anni, il marito Domenico Di Grillo, 73 anni, Lucia Di Grillo, 31 anni (figlia dei primi due) ed il marito Vito Barbara, 29 anni, Rosina Di Grillo, 39 anni (sorella di Lucia), tutti di Limbadi.
“Prima dell’esecuzione del decreto di fermo, la madre della vittima, Rosaria Scarpulla, aveva accusato – rimarca il gip – i presunti autori dell’attentato ai danni dei suoi familiari, in varie trasmissioni televisive”. Tale breve ricostruzione del fatto storico appare indispensabile per il giudice al fine di decifrare correttamente una conversazione intercettata, in data 15 aprile 2018 – quindi a poco più di una settimana dall’autobomba – tra Giuseppe Pesce di Rosarno, detto “Scarparu”, e Giuseppe Iannace (pure lui di Rosarno ed indagato nell’inchiesta Faust per altre contestazioni), da cui emergeva che Salvatore Pisano, 73 anni, indicato come lo storico leader dell’omonimo clan di Rosarno, subito dopo l’attentato dinamitardo si era recato a Limbadi per incontrare il boss Luigi Mancuso ovvero colui che viene ritenuto come il reggente dell’omonimo clan di Limbadi, attualmente detenuto per l’operazione Rinascita-Scott. [Continua in basso]
Durante la conversazione, intercettata subito dopo l’attentato, i due interlocutori – mentre commentavano alcuni lavori edili a Rosarno che avrebbero potuto infastidire i vicini – introducevano l’argomento relativo all’autobomba di Limbadi, sostenendo che anche in quella vicenda il problema era sorto a causa di 50 metri di terreno, secondo quanto riferito da Salvatore Pisano che avrebbe, a sua volta, appreso la notizia dai diretti interessati.
Ecco l’intercettazione riportata dal gip con i relativi interlocutori, Giuseppe Pesce: “…Per cinquanta metri, penso che nemmeno era cinquanta metri, penso pure là…”. Affermazione alla quale Giuseppe Iannace rispondeva: “Là, che se parli con questi….. Lo ha detto il “diavolo” (Pisano Salvatore) ieri ha parlato con questi qua….Lo ha detto il “diavolo” ieri: “va a finire chistu ‘docu… gli fanno un culo…lo ammazzano pure!” Sottolinea il gip: “Dal tenore del discorso si intuiva chiaramente che Salvatore Pisano aveva discusso della vicenda con esponenti del clan Mancuso. Circostanza questa che, attesa la delicatezza della questione, confermava l’esistenza di un qualificato rapporto fiduciario esistente tra i suddetti”.
Nello specifico, si desumeva che Salvatore Pisano, detto “Il diavolo”, dopo l’autobomba di Limbadi, si “era recato a mangiare da Luigi Mancuso”. (Giuseppe Pesce: Lui non è?… Giuseppe Iannace: Luigi no…. Giuseppe Pesce: Ah, è libero? Giuseppe Iannace: E non l’hai sentito che il ” diavolo”.. è andato a mangiare…). [Continua dopo la pubblicità]
La conferma ulteriore che i due interlocutori “si stessero riferendo all’attentato di Limbadi si aveva poi al termine della conversazione, allorquando Giuseppe Pesce lo paragonava a quello compiuto con le medesime modalità ai danni dell’imprenditore Princi di Gioia Tauro, ovvero Antonino Princi rimasto vittima di un’autobomba a Gioia Tauro il 26 aprile 2008.
Nelle conversazioni intercettate, quindi, Giuseppe Pesce e Giuseppe Iannace commentavano la circostanza che, mentre nel caso dell’autobomba contro Antonio Princi è poi scoppiata una guerra di mafia, nel caso dell’autobomba di Limbadi ci si trovava dinanzi a “povera gente…c’è la mamma, che la mamma di lui e la moglie di lui che dicono “noi è da dieci anni che gli diciamo ai carabinieri, vedete che sono loro, vedete che sono loro…con nomi e cognomi! Hanno fatto la denuncia, hanno fatto tutto, dice “noi non ci rassegniamo mai”…tu guarda che…prima, che gli hanno accettato pure i funerali di Stato, che gli fanno i funerali di Stato…Immaginati che scalpore che avrà…senza fine sarà…,a loro gli fanno un culo che se lo devono tenere con due mani..! Questi sono stupidi, fanno queste cazzo di cose…” e ha detto “ora gli prendono tutte cose” e io gli ho detto: “cazzi loro”…ha detto che questi hanno centinaia di ettari, ha detto, di terreno, del demanio”.
Per Pesce e Iannace, dunque, lo Stato avrebbe reagito pesantemente all’autobomba di Limbadi sequestrando tutti i beni dei Mancuso e non restando a guardare. Una scelta – quella di colpire a Limbadi in maniera così eclatante – criticata dai due rosarnesi che concludono infatti il discorso sostenendo che se avessero ucciso “dieci persone a fucilate o pistolettate non sarebbe successo niente”.
Ma ancora più significative in ordine alle responsabilità – poiché la conversazione risale al 15 aprile 2018 quando ancora per l’autobomba Limbadi non era stato arrestato nessuno – sono altri passi dei dialoghi intercettati che indicano piste precise. Giuseppe Iannace riferendosi agli attentatori di Limbadi: “Vadano a farla in culo sti cosi lordi! Ricordati quello che ti dico io…gli faranno un culo così”. E di rimando Giuseppe Pesce: “Questa…la sorella di Luigi…” con la seguente risposta di Giuseppe Iannace: “No, la sorella di Peppe, di Diego…, ricordati che a questi qua gli metteranno la parola Fine, ci sarà la fine del mondo di questo passo…con queste cose qua la fine del mondo, che saranno sempre tutti contro. Gli faranno il funerale di Stato e gli faranno il culo…ricordati quello che ti sto dicendo”.
Che Giuseppe Iannace si riferisse a Rosaria Mancuso quale ideatrice dell’autobomba di Limbadi lo stabiliranno i magistrati. Vero è che la donna – proprio come affermato da Iannace correggendo Giuseppe Pesce – è la sorella dei boss Peppe (alias ‘Mbrogghja, detenuto dal 1997 per scontare 30 anni di reclusione per omicidi e associazione mafiosa) e Diego Mancuso (libero dopo aver scontato diverse condanne). Gli atti dell’operazione Faust potrebbero quindi già essere finiti alla Dda di Catanzaro che ha portato a giudizio dinanzi alla Corte d’Assise cinque imputati ritenuti i responsabili dell’attentato costato la vita a Matteo Vinci ed il grave ferimento del padre Francesco.
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