Emanuele Mancuso: «Mia figlia usata come merce di scambio, è in grave pericolo»
La clamorosa denuncia del collaboratore di giustizia contro l’ex compagna e la giustizia minorile che avrebbe ignorato la gravità della situazione: «La bambina in mano alla ’ndrangheta»
«Chi scrive è Emanuele Mancuso “rampollo del clan Mancuso di Limbadi”». Una lettera drammatica, di sfida al mondo criminale feroce e perverso che ha rinnegato, e di denuncia, per i pericoli che corre la creatura che più ama. Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone alias l’Ingegnere, è il primo storico collaboratore di giustizia di uno dei casati di ‘ndrangheta tra i più potenti al mondo. «Con questo mio comunicato – scrive – intendo manifestare il mio stato di frustrazione e preoccupazione per le sorti di mia figlia, di soli 30 mesi di vita, poiché, nonostante le notorie vicende legate alle pressioni da me subite per la scelta intrapresa, scaturite nel procedimento penale, in fase di trattazione, a carico della mia ex compagna e dei miei congiunti, ad oggi, ella, seppur sottoposta allo speciale programma di protezione, nella realtà dei fatti, grazie alla disponibilità della madre, Chimirri Nensy Vera, mantiene contatti con gli ambienti ‘ndranghetistici». [Continua dopo la pubblicità]
«Ho collaborato per mia figlia»
Aggiunge Mancuso: «Ho deciso di collaborare con la giustizia proprio in prossimità della sua nascita anche con la speranza di offrirgli un futuro diverso, lontano dal contesto sociale e criminale di mia appartenenza. Per tale motivo, da padre, non posso accettare quello che sta succedendo! Premetto di aver chiesto alla Procura distrettuale che la bambina, insieme alla madre, all’epoca mia compagna-convivente, venisse ammessa allo speciale programma di protezione “onde evitare” il loro possibile coinvolgimento in atti ritorsivi, frutto di vendetta nei miei confronti, ma soprattutto per consentirgli di crescere in un “ambiente familiare sano” lontano da pregiudizi e da nette imposizioni dovute solo al “maledetto cognome” portato». Ancora, Mancuso: «La mia scelta non è stata condivisa dalla Chimirri Nensy Vera la quale ha, prontamente, rifiutato la collocazione in località protetta e l’ ammissione allo speciale programma di protezione rimanendo, invece, legata alla famiglia Mancuso, condividendone lo stesso tetto insieme alla bambina. Dal paradossale alla beffa!».
«Una taglia sulla mia testa»
La Procura Minorile di Catanzaro, per tutelare figlia, «in grave pericolo per le dichiarazioni da me rese, alcune delle quali discoverate, con applicazione di misura cautelare in carcere nei confronti di esponenti di spicco dell’ambiente criminale – scrive il collaboratore di giustizia – ha avanzato, nei primi mesi dell’anno 2019, al Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, richiesta di immediato allontanamento della minore dalla Calabria con collocazione in località protetta. Il Tribunale per i minorenni, inspiegabilmente, per ben tre volte, ha provveduto a rigettare tale richiesta lasciando la minore sul territorio vibonese, incurante del grave pericolo che incombeva, seppur conscio del fatto che pendeva e pende, sulla mia testa, una taglia, di circa un milione di euro, messa da Luigi Mancuso». [Continua in basso]
Un pericolo crescente
Scrive ancora Mancuso: «Dico “beffa” in quanto la mia bambina è stata allontanata dal territorio vibonese, unitamente alla madre “se consenziente”, così stabilisce il Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, con decreto provvisorio, alquanto discutibile, dopo circa un anno dall’inizio del mio percorso di collaborazione e solo dopo il tentato omicidio di Domenic Signoretta, uomo di fiducia di Mancuso Pantaleone, alias “L’ingegnere”. Dico “discutibile” in quanto, incomprensibilmente, con il predetto decreto il Tribunale per i Minorenni ha, nella realtà dei fatti, “incaricato la madre” ad occuparsi della crescita e dell’educazione della bambina, indifferente del fatto che, ella, non si è mai dissociata dalle logiche ‘ndranghetistiche».
Il Tribunale dei minori
Inoltre, sempre secondo il collaboratore, «illegittimamente, il Tribunale per i Minorenni ha provveduto, con il medesimo decreto, a limitare, anche, la mia responsabilità genitoriale per i miei precedenti penali. Pari all’essere assurdo! Infatti, a seguito di impugnazione, tale provvedimento, sul punto, è stato letteralmente disintegrato dalla Corte d’Appello di Catanzaro, Sezione Civile Minori. Mia figlia, ad oggi, continua a vivere con la madre, legata, senza ombra di dubbio, alla cosca Mancuso! Il mio stato di preoccupazione per le sorti della minore è aumentato, nell’ultimo periodo, a seguito della lettura di attività di indagine presente nel fascicolo del procedimento penale relativo alle pressioni da me subite per ritrattare le dichiarazioni rese all’Autorità Giudiziaria». [Continua dopo la pubblicità]
L’avvocato pagato dai Mancuso
Dal materiale intercettivo si evince – spiega il collaboratore – che la Chimirri è «collegata, tutt’oggi alla cosca», ed è «difesa e assistita da un noto avvocato del Foro di Palmi, Carmelo Naso», pagato dagli stessi Mancuso. «Questa – scrive ancora – non è una mia invenzione ma è quanto emerge da una intercettazione telefonica, presente in atti, tra il professionista e Del Vecchio Rosaria Rita, rappresentante la famiglia Mancuso, inerente il procedimento pendente presso il Tribunale per i Minorenni di Catanzaro. In tale circostanza il mandato difensivo è stato conferito dalla Chimirri Nensy Vera, madre della minore, ma il professionista anziché riferire l’evolversi della vicenda alla sua assistita provvede, con priorità, a relazionarsi con Del Vecchio Rosaria Rita, la quale si occupa anche del pagamento delle spese legali». E ancora: «Sconcertante è un passaggio di un’intercettazione dove si legge che la Del Vecchio Rosaria Rita invita l’avvocato ad andare presso la sua abitazione per riferire “Vieni ti do 5.000 euro…” alla risposta del legale che in quel momento non poteva recarsi sul posto la Del Vecchio Rosaria Rita replica “Te ne do 10.000” e il professionista risponde “Vengo pure in biciletta”».
«Un quadro sconvolgente»
Così, Emanuele Mancuso risponde: «Da padre non riesco a darmi pace in quanto detto materiale è in possesso del Tribunale per i Minorenni e nessun provvedimento è stato preso per tutelare, effettivamente, mia figlia. Vi è di più. In atti è stata depositata una consulenza peritale effettuata sul dispositivo IPhone sequestrato al boss Mancuso Pantaleone, alias “L’ingegnere”, quando è stato tratto in arresto al Bingo di Roma. Emerge un quadro sconvolgente e cioè l’interessamento della cosca alle sorti della mia bambina, con ingerenze nel procedimento pendente presso il Tribunale per i Minorenni, nonché il forte legame e la “messa a disposizione” della Chimirri Nensy Vera che, in tutta tranquillità e serenità, interloquisce e si incontra con latitanti e soggetti irreperibili del calibro di Mancuso Giuseppe Salvatore e Mancuso Pantaleone, alias “L’ingegnere”.
I colloqui suocero-nuora
Non posso accettare più questa situazione e chiedo, a gran voce, un intervento risolutivo per strappare, definitivamente, la mia bambina dalle mani della ‘ndrangheta». Sconvolgente, si legge ancora nella lettera alla nostra redazione, è «il contenuto di una conversazione tra Mancuso Pantaleone, alias “L’Ingegnere” e Chimirri Nensy Vera, riferita a mia figlia: conversazione del 15.01.2019, ore 18:47 “Stai tranquilla, io farò di tutto. Non ti preoccupare, stai tranquilla. Deve passare sul mio cadavere”. Ed ancora in altra conversazione sempre Mancuso Pantaleone dice alla Chimirri Nensy Vera “Tu mettiti a disposizione”, riferendosi all’eventuale sottoposizione “forzata” al programma di protezione. Parole forti, dialoghi che non lasciano spazio ad alcuna interpretazione alternativa, faldoni pieni di intercettazioni che acclarano che la bambina è in mano alla ‘ndrangheta e usata come merce di scambio».
«Voglio solo giustizia»
In quasi tre anni – conclude – «ho visto mia figlia poche volte, in quanto la madre ha sempre cercato di impedirne i contatti, operando continue vessazioni nei miei confronti e soprattutto con l’indifferenza di un Tribunale per i Minorenni che è rimasto inerte alle mie continue e numerose segnalazioni. Chiedo solo giustizia».