Quella bomba idrogeologica innescata su Vibo Valentia
L’ultima indagine della Procura mette a nudo le criticità aggravatesi sul territorio a ben quattordici anni dall’alluvione che costò morti e devastazione. Il Piano Versace disatteso, i soldi non spesi, i pericoli addirittura aumentati
Non è un’indagine sul nuovo ospedale, anche se – in base alle contestazioni di reato formulate nei sette avvisi di garanzia notificati dalla Guardia di finanza (a tre funzionari della Regione, un tecnico e tre imprenditori) – i presunti illeciti avrebbero favorito la nuova appaltatrice della grande opera attesa a Vibo Valentia da ben trent’anni. Mette invece a nudo – l’inchiesta coordinata dal procuratore Camillo Falvo e dal sostituto Filomena Aliberti – le criticità idrogeologiche di un territorio nel quale non sono stati effettuati gran parte degli interventi annunciati, previsti e finanziati o finanziabili, subito dopo l’alluvione del 3 luglio 2006. Storia vecchia che resta drammaticamente attuale. Come a Crotone, dopo il disastro del 14 ottobre 1996, anche per Vibo, in seguito alla calamità di quattordici anni addietro, fu varato il piano di messa in sicurezza del territorio firmato dal professor Pasquale Versace. Come a Crotone, che lo scorso 21 novembre s’è ritrovata nuovamente sommersa da acqua e fango, anche a Vibo Valentia il Piano Versace non è mai stato completato.
Il fosso Calzone-Rio Bravo
Tra le zone inserite nelle «misure di salvaguardia», appunto, l’area sulla quale procedono a rilento i lavori di costruzione del nuovo nosocomio, che ricade «in un reticolo idraulico che ha, quale sbocco, l’innesto della testata del fosso Calzone». Ed è sul fosso Calzone-Rio Bravo, caratterizzato da «alta pericolosità idraulica», che la Procura ha acceso i riflettori. «In tale tratto – si legge nel decreto di sequestro e nell’avviso di garanzia notificato ai sette indagati, tra i quali anche i dirigenti regionali Domenico Pallaria e Pasquale Gidaro ed il soggetto attuatore del Commissario delegato alla mitigazione del rischio idrogeologico Luigi Zinno – non risultano realizzate le opere di cui al Piano Versace, non risultano adeguate le sezioni di deflusso delle infrastrutture viarie e risulta nulla la manutenzione, tanto che anche l’area di foce già sistemata è invasa da vegetazione spontanea che, ovviamente, rappresenta un ostacolo al libero deflusso delle acque, divenendo fattore di rischio».
Il pericolo che aumenta
Dopo una procedura erronea e fuorilegge, secondo la Procura, attraverso gli interventi effettuati sull’innesto del fosso Calzone intesi come opere complementari alla costruzione del nuovo ospedale, si sarebbe addirittura aggravato il rischio preesistente sul piano idrogeologico: «L’opera artificiale già realizzata – rilevano gli inquirenti – una volta innestata nella testata del preesistente alveo del fosso Calzone, creerebbe pericolo alla linea ferroviaria posta a valle nell’abitato di Vibo Marina, nei pressi dello stabilimento dismesso dell’Italcementi e anche alle arterie stradali che si sovrappongono all’alveo del fosso stesso». E ancora sarebbero in grave pericolo anche «la Ss 18, la Sp 522 e la strada provinciale di Viale delle Industrie di Vibo Valentia Marina in quanto lo stesso fosso attraversa, sotto fatiscenti ponti coperti di vegetazione e rifiuti vari, le predette strade, lambendo l’abitato della frazione San Pietro, già coperta di detriti ed acque dall’alluvione del 2006».
Come Vibo Valentia, anzi… Come Soverato
In pratica – più o meno, tutto o quasi – come quattordici anni fa. Quanto realizzato in località Cocari e finito nel mirino della Procura di Vibo e della Guardia di finanza, «in caso di effetti atmosferici importanti (verificatisi con troppa frequenza negli ultimi anni) avrebbe degli effetti devastanti». Si verrebbe così «a creare, in buona sostanza, la medesima situazione che, nel settembre 2000, sempre in territorio calabrese, travolse il campeggio denominato Le Giare, sito in località Turrati del Comune di Soverato, investito e travolto dalla piena del torrente Beltrame, in buona parte determinata (anche) dal cattivo stato di pulizia e manutenzione dell’alveo». Allora tredici morti: di uno di essi il corpo non fu mai ritrovato. Agli atti, oltre perizie e informative di reato, anche le immagini acquisite dalla Guardia di finanza, sia degli allagamenti e delle esondazioni che si sono verificate lo scorso marzo, tra i giorni 30 e 31, sia delle condizioni in cui versano nell’attualità i ponti ferroviari e l’alveo del Calzone-Rio Bravo. Come dire: qui la storia non ha insegnato niente.