Rinascita-Scott: i sei latitanti dell’inchiesta, profili e accuse
Dopo l’arresto di Rosario Pugliese, si stringe il cerchio su Pasquale Bonavota, Agostino Papaianni, Salvatore Morelli, Domenico Cracolici, Domenico Cugliari e Domenico Tomaino
Si stringe il cerchio sui latitanti dell’inchiesta Rinascita-Scott. Dopo l’arresto di Rosario Pugliese, alias “Saro Cassarola”, sorpreso in una villetta di Bivona, all’appello mancano ancora sei imputati, alcuni ritenuti elementi di primo piano della ‘ndrangheta del Vibonese come Agostino Papaianni, Pasquale Bonavota e Salvatore Morelli. Ricercati sono anche Domenico Cracolici, Domenico Tomaino e Domenico Cugliari. [Continua dopo la pubblicità]
IL PROFILO E LE ACCUSE PER AGOSTINO PAPAIANNI
Residente a Coccorino di Joppolo, 69 anni, è accusato in Rinascita-Scott del reato di associazione mafiosa con l’aggravante di essere il promotore di un clan “competente” su tutta l’area di Capo Vaticano sino a Coccorino e Joppolo da un lato e Tropea dall’altro. Nel mirino di Agostino Papaianni e dei La Rosa di Tropea sarebbero finiti diversi villaggi turistici, con l’imposizione del rifornimento di generi alimentari (frutta, principalmente), “guardianie” e l’assunzione di personale.
Sul conto di Agostino Papaianni, anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Mantella: “Conosco Agostino Papaianni dal 1993. In quella occasione nel carcere di Siano Luigi Mancuso, che era in compagnia di mio cognato Pasquale Giampà, mi ha riferito se potevo fare il rimpiazzo di Giuseppe Rizzo, figlio di Romana Mancuso, mettendo in copiata come capo società Agostino Papaianni. Sapevo che Papaianni – ha raccontato Mantella – era affiliato ai Mancuso ed era in ottimi rapporti con Luigi Mancuso e so che Papaianni aveva un distributore di carburante”. [Continua dopo la pubblicità]
A riscontro dell’attualità dei rapporti tra Agostino Papaianni e il boss Luigi Mancuso, anche un servizio di osservazione svolto in data 12 novembre 2019 in Corte d’Appello a Catanzaro in occasione della sentenza del processo “Black Money” sul clan Mancuso, in cui era imputato Agostino Papaianni (che è stato condannato a 7 anni e 8 mesi), ma non Luigi Mancuso. Gli investigatori hanno documentato la presenza in Corte d’Appello proprio di Luigi Mancuso, giunto in compagnia di Pasquale Gallone e di Papaianni.
A rendere da ultimo dichiarazioni su Agostino Papaianni è stato il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena. “Agostino Papaianni, tuttora – ha dichiarato Arena – è un referente importantissimo dei Mancuso. Per quanto a mia conoscenza, nel corso dei battesimi in carcere, vengono messi in copiata, molto spesso, Luigi Mancuso come capo società e Agostino Papaianni come contabile. Anche questo mi conferma l’importanza ed il rilievo di Papaianni, in quanto una tale posizione non può che essere riservata a soggetti di primo piano”. [Continua in basso]
PASQUALE BONAVOTA DA SANT’ONOFRIO A ROMA PASSANDO PER IL “CRIMINE” DI CUTRO
Pasquale Bonavota, 46 anni, avrebbe ereditato il “bastone” della cosca dal defunto padre Vincenzo Bonavota, uscito vincente negli anni ’90 dalla faida con il clan rivale dei Petrolo di Sant’Onofrio alleati ai Matina di Stefanaconi. Secondo il defunto collaboratore Gerardo D’Urzo, Pasquale Bonavota porterebbe nella propria “copiata” mafiosa il nome del boss Umberto Bellocco di Rosarno. A fornire, tuttavia, un quadro attuale del clan Bonavota è stato il nuovo collaboratore di giustizia di Vibo Valentia, Bartolomeo Arena, in un interrogatorio reso agli inquirenti il 24 ottobre dello scorso anno.
“A Sant’Onofrio vi è un Buon Ordine e non un Locale, in quanto quel territorio è stato scomunicato in un passato remoto. Anche il Buon Ordine è riconosciuto da Polsi. Le doti conferite nel Buon Ordine sono comunque riconosciute nella ‘ndrangheta, tuttavia vengono viste con un valore minore. A Sant’Onofrio – ha dichiarato Arena – comandano i fratelli Bonavota affiancati dallo zio Cugliari Domenico detto “Micu i Mela”. Questo è un gruppo molto esteso in tutta Italia in quanto il padre Vincenzo Bonavota gli ha lasciato importantissime amicizie nella ‘ndrangheta. Tale gruppo negli ultimi anni si è legato a Cutro, mentre il defunto padre era molto legato a Polsi. Quando ci fu la guerra tra i Bonavota ed i Petrolo, questi ultimi erano più forti militarmente, in quanto erano appoggiati dai Mancuso e dai Fiarè.
Appresa tale linea criminale, Antonio Bonavota, detto il Conte, mandò una lettera ai Piromalli di Gioia Tauro, chiedendo che in questo scontro non entrassero gli altri sodalizi, pertanto questi ultimi intercedevano con i Mancuso ed i Fiarè. Nella guerra vinta dai Bonavota, un importante contributo è stato reso dai Prostamo-Tavella di San Giovanni di Mileto. So che lui aveva strette amicizie con i Pesce, i Piromalli, i Bellocco, gli Alvaro, i Morabito, i Mollica, gli Ursino ed i Macrì. Ripeto – conclude Arena – che attualmente il Buon Ordine di Sant’Onofrio risponde attraverso la linea del Locale di Cutro, dove c’è, per quanto ne so, un Crimine analogo a quello di Polsi”.
Pasquale Bonavota, che sin dall’età di 16 anni avrebbe affiancato il padre – armi in pugno – nella guerra di mafia contro i Petrolo-Matina, è latitante dal novembre del 2018 quando è stato condannato all’ergastolo sia per l’omicidio di Domenico Di Leo, alias “Micu Catalanu”, ucciso a Sant’Onofrio in via Tre Croci il 12 luglio 2014, sia per l’omicidio di Raffaele Cracolici, alias “Lele Palermo”, ucciso il 4 maggio 2004 a colpi di arma da fuoco a Pizzo.
Degli interessi di natura economica che il gruppo Bonavota ha sulla città di Roma, luogo di dimora di Pasquale Bonavota, ha invece parlato il collaboratore Andrea Mantella, mentre il collaboratore di giustizia, Giuseppe Comito di Vibo Marina, alias “Peppe U Canna”, ha spiegato che Pasquale Bonavota era l’unico tra i fratelli Bonavota ad intrattenere rapporti anche con Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”. Nel verbale di interrogatorio del 5 agosto 2019, Giuseppe Comito ha dichiarato: “So che i Bonavota hanno stretti contatti con il gruppo criminali degli Anello di Filadelfia ed insieme gestiscono il villaggio Garden Resort. In particolare, gli Anello si occupano della guardiania nel villaggio mentre i Bonavota si occupano del servizio di lavanderia e della gestione del personale dei ristoranti. La società che gestiva ufficialmente il villaggio era in mano al gruppo criminale dei La Rosa di Tropea in quanto era la stessa che gestiva il villaggio Rocca Nettuno di Tropea”.
Il collaboratore di giustizia, Giuseppe Giampà di Lamezia Terme, dal canto suo, ha invece riferito che i Bonavota, nel periodo in cui era in corso il progetto del boss di Cutro, Nicolino Grande Aracri, di realizzare una “Provincia” di ‘ndrangheta autonoma nel Catanzarese (2010-2011), erano capeggiati da Pasquale e Domenico Bonavota i quali avrebbero aderito a tale progetto pensando anche loro di staccarsi dal “Crimine” di Reggio Calabria.
SALVATORE MORELLI, L’EREDE DI ANDREA MANTELLA
Di Vibo Valentia, 37 anni, per il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato è lui “il vero criminale di Vibo Valentia”. «Se c’è un criminale – ha dichiarato Moscato al pm Antonio De Bernardo il 3 dicembre 2019 – quello è Salvatore Morelli. Perché senza Ciccio Scrugli, Salvatore Morelli era come Andrea Mantella… La stessa cosa». Il clan dei Piscopisani, con Salvatore Morelli aveva avuto a che fare. Conosciuto come «l’Americano», faceva parte del gruppo di Mantelliani, ovvero la falange scissionista guidata da Andrea Mantella che aveva deciso di affrancare Vibo città dallo strapotere dei Mancuso. Mantella aveva due uomini di assoluta fiducia: uno era Francesco Scrugli, l’altro era appunto Morelli. Scrugli, legatosi ai Piscopisani ed assassinato il 21 marzo 2012 a Vibo Marina dal commando assoldato dai Patania di Stefanaconi, era uno che sapeva sparare; Morelli invece aveva più cervello ed era per questo che Mantella, durante la detenzione, preferiva affidarsi a lui. Poi, quando Mantella – dopo l’omicidio di Scrugli e il pentimento dello stesso Moscato – intraprese la collaborazione con la giustizia, Morelli rimase solo, mantenendo uniti gli ex mantelliani che si federarono ai Pardea i quali – spinti dal giovanissimo Francesco Antonio Pardea – tornarono in auge. E’ ora accusato in Rinascita-Scott dei reati di associazione mafiosa (con l’aggravante di essere un promotore del clan) ed estorsione. E’ stato già condannato in via definitiva a 4 anni e 6 mesi per associazione mafiosa nell’operazione “The Goddfellas” (“I Bravi Ragazzi”), venendo riconosciuto come il collettore dei proventi delle attività illecite del gruppo facente capo ad Andrea Mantella (inserito nel più ampio clan Lo Bianco) prima della decisione di quest’ultimo di collaborare con la giustizia.
Secondo le risultanze investigative dell’operazione Rinascita-Scott, al clan Lo Bianco-Barba è rimasta la competenza sulla zona centrale di Vibo e del centro storico, al clan Pardea (“Ranisi”) nel quale sono confluiti i Camillò, i Macrì, lo stesso Salvatore Morelli e altri ex “fedelissimi” di Mantella, la zona che va dal Cancello Rosso al quartiere Sant’Aloe sino a piazza San Leoluca, mentre al clan Pugliese (“Cassarola”), in cui sarebbe confluito anche Orazio Lo Bianco, il quartiere Affaccio e zone limitrofe. Nipote, fra l’altro di Leoluca Lo Bianco, 61 anni, detto “U Rozzu” – ritenuto personaggio di spicco dell’omonimo clan – sarebbe stato proprio Salvatore Morelli (secondo le risultanze investigative) ad intercedere tra Leoluca Lo Bianco e Mommo Macrì quando il rapporto tra i due stava per trascendere alle vie di fatto.
DOMENICO CRACOLICI E LA ‘NDRINA DI MAIERATO E FILOGASO
Avrebbe ereditato il bastone del comando dal padre Raffaele Cracolici, ucciso a Pizzo dal clan Bonavota e dal gruppo di Andrea Mantella il 4 maggio 2004. Domenico Cracolici, 38 anni, di Maierato, unitamente al cugino Francesco Cracolici (figlio di Alfredo Cracolici, ucciso il 9 febbraio 2002), si sarebbe occupato della gestione dei rapporti e degli equilibri con gli altri gruppi ‘ndranghetistici della zona. In particolare, i due Cracolici avrebbero mantenuto i contatti con le altre componenti della ‘ndrangheta e con gli appartenenti alla propria famiglia, organizzando la reazione armata a seguito dell’aggressione posta in essere tra il 2002 ed il 2004 dalla famiglia Bonavota, con compiti di pianificazione delle azioni delittuose, consumando attività estorsive. Solo in epoca recente, i Cracolici avrebbero apparentemente ricomposto i rapporti con il clan Bonavota.
I Cracolici di Maierato e Filogaso, soprannominati “I Palermo”, appartenevano originariamente ad una famiglia composta da ben undici elementi, ritenuti tutti pericolosi pregiudicati, eccezion fatta per la madre e l’unica sorella. Il capostipite Francesco Cracolici, a causa della sua condotta antisociale, da Palermo era stato spedito negli anni ’60 in soggiorno obbligato a Maierato.
L’intero nucleo familiare, pur mantenendo la residenza anagrafica a Vibo Valentia, nei fatti si è radicato a Maierato. Grazie alla forza intimidatrice derivante dal numero dei componenti e dalla loro pericolosità sociale, si sono impossessati arbitrariamente di buona parte dei terreni agricoli del territorio di Maierato e di quello limitrofo di Filogaso, espropriando i legittimi proprietari i quali hanno subìto negli anni diverse rappresaglie senza tuttavia reagire.
Domenico Cugliari e Domenico Tomaino. Infine, nell’elenco dei latitanti di Rinascita-Scott anche Domenico Cugliari, 38 anni, alias “Scric”, di Sant’Onofrio, ritenuto alle dirette dipendenze di Domenico Bonavota ed accusato del reato di associazione mafiosa. Per conto del clan avrebbe mantenuto rapporti con le altre consorterie criminali, accompagnando i parenti dei sodali detenuti ai colloqui in carcere, rendendosi disponibile a farsi intestare fittiziamente attività imprenditoriali riconducibili agli esponenti apicali del sodalizio, commettendo reati fine del gruppo, quali rapine e reati in materia di stupefacenti.
Domenico Tomaino, 30 anni, di Vibo Valentia, alias “U Lupu”, è invece accusato dei reati di associazione mafiosa ed estorsione ai danni del titolare di una concessionaria di auto in concorso con Salvatore Morelli e Domenico Macrì. A Tomaino viene inoltre contestato di aver posizionato il 22 marzo 2017 – su ordine di Salvatore Morelli – un delfino morto dinanzi alla sede delle società “2 P Costruzioni e Patania Costruzioni” di proprietà del costruttore Francesco Patania, 69 anni, alias “Ciccio Bello”, costruttore di Vibo Valentia, arrestato con l’accusa di associazione mafiosa e parente dei Pugliese, alias “Cassarola”. Secondo le contestazioni dell’operazione “Rinascita-Scott”, la carcassa del delfino sarebbe stata notata sulla spiaggia di Briatico e portata a Vibo allo scopo di intimidire Patania e fargli sborsare somme di denaro. Intento non riuscito, ad avviso degli inquirenti, anche per la ritenuta appartenenza di Ciccio Patania al clan Lo Bianco.
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