«Fatti ’a cruci, stanotti ’nd’arrestanu…». I pentiti vibonesi raccontano le talpe nello Stato
ESCLUSIVO (AUDIO-VIDEO) Andrea Mantella e le soffiate prima delle maxi-retate Odissea e Nuova Alba. «Solo se muore il questore non fanno l’operazione». E Raffaele Moscato: «Ci hanno dato la pennetta di Gringia prima che scattasse»
«Fatti ’a cruci, ca stanotti ’nd’arrestanu…». Stava già ai domiciliari, Andrea Mantella, e la sua Nuova Alba la conosceva sin dalla sera precedente, quando il fidatissimo Francesco Scrugli gli portò la soffiata. Sapeva che nella notte gli agenti della Squadra mobile di Vibo Valentia avrebbero rivoltato la città come un calzino per eseguire la maxioperazione antimafia che colpì il clan Lo Bianco Barba. Era l’anno 2007: Marisa Manzini pm della Dda di Catanzaro, Rodolfo Ruperti e Fabio Zampaglione al vertice dell’ufficio d’élite della Questura di Vibo. Ma ci fu una soffiata. «Gli ho detto “Perché ci arrestano?”. Dice: “Non c’è nenti”. Dice: “Sulu sti’ cazzati… Associazione…”. “Ma ’nc’è ‘ncunu omicidiu?”. Dice: “No”». Insomma, qualche anno di carcere per mafia, uno della sua scorza, lo metteva in preventivo. Altro era fare i conti con un’accusa diversa, ben più pesante, che se fosse stata provata in dibattimento l’avrebbe condannato al carcere a vita.
Fuggire oppure no?
Mantella poteva fuggire, ma si fece invece arrestare. D’altronde già due anni prima, s’era dato alla macchia, proprio beneficiando di una soffiata poco prima che scattasse un altro blitz. Operazione Asterix, sempre della Squadra mobile, stavolta con il coordinamento della Procura ordinaria, pm Giuseppe Lombardo, oggi procuratore aggiunto a Reggio Calabria, titolare di ‘Ndrangheta stragista, Ghota e quant’altro. Asterix era un’indagine dalla quale affiorava chiaramente un contesto di mafia, ma gli atti rimasero a Vibo. Alla fine il processo naufragò e Mantella ne uscì indenne.
La vigilia di Odissea
Nel frattempo, l’ex picciotto, poi rapinatore, infine killer, divenne un vero e proprio boss emergente, che strinse un patto di sangue con altri clan sempre più insofferenti allo storico stradominio dei Mancuso sulla provincia. E quei rapporti gli avrebbero consentito di accedere a notizie riservate e di sapere in anticipo quando le sirene delle forze dell’ordine avrebbero illuminato a giorno le notti della provincia. D’altronde era già successo, prima di Nuova Alba, con operazione Odissea, anno 2006, quando sempre la Squadra mobile, rastrellò la Costa degli dei, eseguendo oltre quaranta misure cautelari che misero in ginocchio il clan La Rosa. Mantella, con loro, non c’entrava. Ma sapeva: «Gli hanno detto “Stanotte solo se muore il questore non fanno l’operazione…”». L’ex capo della squadra anti-mostro di Firenze ed allora questore di Vibo Sandro Federico, invece, sopravvisse a quella ma anche alle notti successive, necessarie ad inseguire e ad arrestare tutti coloro che si diedero latitanti.
La microspia al killer
Il poderoso collaboratore di giustizia spiega tutto, oggi, lucidamente e dettagliatamente, ai pm di Catanzaro. Ed indica anche come e dove cercare la presunta talpa. La stessa che avrebbe consentito, ad una delle bocche di fuoco di una ’ndrina alleata, di neutralizzare subito una microspia che la polizia gli aveva sistemato in auto nella piazza di Filogaso. Il sicario, per farla rimuovere, si rivolse proprio a Mantella che condusse l’auto in un’officina di fiducia per farla bonificare.
Da Mantella a Moscato
E non c’è solo Mantella a legittimare l’intransigenza del procuratore Nicola Gratteri, il quale – appena approdato a Catanzaro – iniziò a serrare tutti i boccaporti. Per dirla come uno degli indagati di Rinascita Scott: «Gratteri gli sta facendo il culo in questo modo». Sì, non c’è solo Mantella, c’è anche Raffaele Moscato, uno dei «moschettieri» del clan di Piscopisani che ha contribuito a seminare paura e morte tra il 2008 e il 2012 nella provincia di Vibo Valentia. Una stagione di terrorismo mafioso che si concluse quando la Dda di Catanzaro, allora guidata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli impresse una svolta decisiva con l’operazione denominata Gringia, che consentì ai carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia di fermare la guerra tra i Patania di Stefanaconi e gli stessi Piscopisani e diede la stura a quel percorso che oggi con la guida di Gratteri si completa. Erano i carabinieri dell’allora capitano Giovanni Migliavacca, oggi maggiore e numero due del Ros di Catanzaro, pilastro della monumentale indagine Scott. Anche allora, malgrado la soffiata, col tempo tutti furono arrestati.
La vigilia di “Gringia“
È il 3 dicembre del 2019, uffici della Direzione nazionale antimafia, Roma. Il pm Antonio De Bernardo mostra a Moscato l’album fotografico redatto dal Gico della Guardia di finanza di Catanzaro. «Chi è questo?», domanda il magistrato indicando l’effige numero 18. Quella di Daniele Prestanicola, imprenditore che sarebbe poi rimasto invischiato tra le maglie dell’indagine Imponimento. «E questo ha la cosa… A Maierato… La ditta del cemento… Questo era intimo amico nostro, del clan nostro… Ma ho parlato tanto di lui… Questo è quello che ci ha dato la pennetta dell’operazione Gringia, prima ancora che facevano l’operazione Gringia…». Insomma, più di una soffiata – racconta Moscato – prima del blitz spartiacque tra ieri e oggi. Quella volta, in anticipo, un’altra talpa avrebbe fatto uscire fuori tutto il malloppo.