I nuovi padroni del Vibonese: Mantella racconta il summit interrotto da un blitz
ESCLUSIVO (AUDIO-VIDEO) Il superpentito interrogato dai pm di Catanzaro nel quartier generale dello Scico della GdF. I clan antagonisti dei Mancuso riuniti da Damiano Vallelunga. Pochi anni dopo sarebbero rimasti solo morti e arrestati
Giovane sì, ma con una carriera criminale fulminante. Circostanziato nella ricostruzione dei fatti, quando magistrati e polizia giudiziaria lo incalzano, Andrea Mantella fa fatica solo a definire le date. Un’alba, nella sua storia, diventa cruciale: quella dell’8 ottobre 2005. Alle 3.25 scattava l’operazione Asterix: era un’operazione antimafia a tutti gli effetti, ma la coordinò la Procura di Vibo Valentia e vide in prima linea uomini che negli anni successivi sarebbero divenuti protagonisti di primo piano nel contrasto al crimine organizzato: Giuseppe Lombardo, poi pm antimafia e quindi procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Rodolfo Ruperti, dirigente della Squadra mobile di Vibo, poi di Caserta, Catanzaro e Palermo. [Continua]
Il Vibonese anni 2000
Andrea Mantella, che in Vibo centro aveva tenuto a battesimo un giovane clan tutto suo, ebbe una soffiata da ambienti istituzionali e si diede alla macchia sfuggendo alla cattura. Ne spiega il retroscena – quasi dieci anni dopo – quando, inaspettatamente, passa tra le fila dei collaboratori di giustizia. Così quella data, quella del blitz Asterix, diviene, oggi, il riferimento temporale attraverso cui colloca i fatti: c’è un prima e un dopo. Poco tempo prima della retata, ad esempio, ci fu un summit destinato – almeno nelle intenzioni di chi vi prese parte – a sovvertire l’ordine mafioso nel Vibonese. Un summit prodromico ai movimenti tellurici che avrebbero interessato le grandi famiglie di quella che, una volta approdato al vertice della Procura di Catanzaro, Nicola Gratteri avrebbe definito come «la provincia prediletta», Vibo Valentia appunto.
Lo spartiacque temporale
Prima di Asterix. Contrada Ninfo, Serra San Bruno, il feudo del clan dei Viperari delle Serre, quello guidato da Damiano Vallelunga, il boss potente e sanguinario che si sarebbe preso il dominio della montagna, al confine tra il Vibonese, il Catanzarese ed il Reggino, passando per le armi i rivali della prima faida dei boschi e uscendo praticamente indenne dai processi che seguirono quel bagno di sangue consumato tra gli anni ’80 e ’90. È il 21 novembre 2019, i pm della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ed un gruppo di investigatori della Guardia di finanza lo interrogano a Roma negli uffici dello Scico, il reparto speciale delle Fiamme gialle in materia di criminalità organizzata e narcotraffico.
Tragediatore senza virgolette
Nella roccaforte dei Viperari c’era un agriturismo ed è lì che don Damiano incontrava i vertici dei clan recalcitranti a sottomettersi allo strapotere dei Mancuso. Era difficile mettere tutti d’accordo, anche per un mafioso col blasone di Vallelunga. Nel verbale riassuntivo di quell’interrogatorio, il pm Antonio De Bernardo sintetizza le parole di Mantella: «In quel periodo avevamo detto espressamente a Vallelunga che non ci saremmo seduti al tavolo con Peppone Accorinti perché lo ritenevamo, tra virgolette, un “tragediatore”». E Mantella, con quella cadenza tipica dello ‘ndranghetista, specificava al magistrato: «I virgoletti i potiti puru cacciari, dottore…».
Nemici con un nemico comune
Né lo scissionista vibonese, né i Bonavota – coi quali aveva iniziato quella partnership criminale che consentì ai santonofresi di estendere il loro dominio su Filogaso e Maierato, decapitando il clan Cracolici – si fidavano del boss di Zungri. Così come lo stesso Damiano Vallelunga non si fidava di un altro potenziale alleato, Bruno Emanuele, che nelle Preserre, dalla sua Gerocarne, aveva annientato i vertici dei Loielo ponendosi come il nuovo dominus dell’area cuscinetto tra la montagna e la costa. Vallelunga ed Emanuele avevano rogne familiari che si trascinavano di generazione in generazione: padri, fratelli, sodali e accoliti ammazzati su un fronte e sull’altro, sin dagli anni ’70, agli albori di una faida dei boschi che aveva lasciato ferite mai rimarginate. Ma i nemici Vallelunga ed Emanuele avevano un nemico comune, i Mancuso, e quindi il primo doveva per forza – spiega Mantella – riconoscere il peso dell’altro anche se «non lo digeriva».
La benedizione di don Damiano
Vallelunga, in quel summit, benedì – racconta oggi il superpentito – l’ascesa dei mantelliani su Vibo città e lo stradominio dei Bonavota su Sant’Onofrio e terre limitrofe. Poi il summit fu interrotto. L’agriturismo fu cinturato dai carabinieri, i presenti furono informati di quello che stava accadendo e quasi tutti si diedero alla fuga. Solo in due furono fermati, spiega Andrea Mantella. Uno era Salvatore Pisano, cugino e sodale di Damiano Vallelunga, indicato come colui che – assieme ai fratelli – controllava l’economia del legno tra le province di Vibo, Catanzaro e Reggio. L’altro era Rocco Cristello, giovane capomafia di Mileto che nel frattempo avrebbe trasferito parte dei suoi affari in Brianza, dove – il 27 marzo del 2008 – fu assassinato in un agguato di stampo mafioso che rientrava nel contesto del regolamento di conti tra i clan sull’asse Lombardia-Calabria, che con l’omicidio del boss di Guardavalle Carmelo Novella, nel luglio successivo, registrò il punto di non ritorno offrendo la stura alla prima vera guerra di ‘ndrangheta del nuovo millennio.
La storia dopo il summit
Il tempo sarebbe passato. Cinque anni dopo il summit, il 27 settembre 2009, anche Damiano Vallelunga, come Carmelo Novella, verrà ammazzato su ordine del cartello Gallace-Leuzzi-Ruga, all’uscita dal santuario di Riace. Perché il capo dei Viperari aveva conti aperti non solo nel Vibonese, ma anche nel Catanzarese e nel Reggino. Verrà ucciso come Cristello e come Francesco Scrugli, braccio destro di Mantella presente al summit, trucidato l’1 marzo 2012 dal commando assoldato dai Patania di Stefanaconi nella guerra contro i Piscopisani, ai quali lo stesso Scrugli si legherà. Bruno Emanuele finirà all’ergastolo per il duplice omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo, i cui eredi inizieranno una nuova guerra per vendicare i padri. Andrea Mantella ha deciso invece di saltare il fosso e di collaborare con la giustizia. In piedi rimarranno solo i Bonavota, fiaccati però dalle maxiretate e dai processi, quelli nei quali le dichiarazioni del poderoso collaboratore di giustizia vibonese potrebbero divenire determinanti.