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«Io figli di cornuti non ne battezzo». Una storia di infedeltà, sangue e mafia

ESCLUSIVO (AUDIO-VIDEO) - Il comparaggio che Damiano Vallelunga rifiutò a Rocco Anello. Le relazioni letali intrecciate dalla moglie del boss di Filadelfia ed il racconto del collaboratore Moscato. Agli atti di Imponimento anche particolari inediti sulla scomparsa di Valentino Galati

«Io figli di cornuti non ne battezzo». Una storia di infedeltà, sangue e mafia
Damiano Vallelunga

«Io figli di cornuti non ne battezzo», disse Damiano Vallelunga. Raffaele Moscato, interrogato il 3 dicembre 2019 a Roma, negli uffici della Direzione nazionale antimafia, spiega al pm di Catanzaro Antonio De Bernardo l’eco che negli ambienti criminali ebbe il gran rifiuto del capo dei Viperari delle Serre, assassinato il 27 settembre 2009 davanti al Santuario di Riace all’uscita dalla messa. Vallelunga – racconta Moscato – doveva consolidare il comparaggio con Rocco Anello, il boss di Filadelfia, il cui prestigio criminale fu irrimediabilmente offuscato dall’infedeltà della moglie, divenuta di pubblico dominio quando Santino Panzarella, prima, e Valentino Galati, poi, furono inghiottiti dalla lupara bianca. Vallelunga, a quella cerimonia (e che fosse un battesimo religioso o di malavita poco importa) non prese parte.

Amanti e poi fantasmi

Santino Panzarella

Non è cronaca rosa criminale, né ciarpame, proprio perché quelle presunte scappatelle, consumatesi in un ambiente permeato da una barbara cultura mafiosa, sarebbero costate – le indagini andavano in questa direzione, ma mai vi fu un riconoscimento di responsabilità in sede giudiziaria – la vita di due giovanissimi, prima sedotti dalla potenza mafiosa degli Anello, poi (è la tesi investigativa) da Angela Bartucca, ovvero la moglie del boss.

La storia di Santino Panzarella è scritta in un processo definitosi con una sentenza assolutoria per tutti gli imputati, ciò malgrado il collaboratore di giustizia Francesco Michienzi, testimone diretto, avesse ricostruito lucidamente sia il movente sia le fasi esecutive dell’agghiacciante omicidio e della sparizione del cadavere. Su Valentino Galati, invece, nessun processo è stato mai istruito. Agli atti dell’indagine Imponimento, però, oggi vi sono preziosi carteggi investigativi che offrono dettagli importanti sulla fine di questo ragazzo e sull’impegno profuso dalla Polizia di Stato e, in particolare, dalla Squadra mobile di Catanzaro per risolvere il caso ed inchiodare presunti mandanti ed assassini.

La storia di Valentino

Di Valentino si persero le tracce alle 15 del 27 dicembre 2006. Il 29 dicembre, preoccupata dalla prolungata assenza, la madre Anna Fruci ne denunciò la scomparsa. Le indagini si concentrarono su amicizie e frequentazioni ed emerse subito come il ragazzo – vent’anni, ex seminarista – fosse un habitué in casa del boss Rocco Anello. Era molto amico Francesco, il figlio di Rocco, e ciò lo aveva indissolubilmente legato alle dinamiche della famiglia Anello. Frequentava quella casa, era uno di famiglia al punto, talvolta, da restarci a dormire. Poi commise un errore fatale – scrive la Polizia di Stato – lo stesso che quattro anni prima costò la vita a Santino Panzarella: s’innamorò e iniziò una relazione clandestina con donna Angela.

Una relazione che sarebbe andata avanti, in gran segreto, per ben due anni, senza che nessuno si accorgesse di nulla. I due amanti comunicavano tra di loro attraverso un’utenza riservata, che un giorno venne scoperta dai figli della donna, che presero contezza, attraverso la lettura di una serie di messaggi, del legame esistente tra la madre e Valentino.

«Fai l’uomo d’onore»

In seno al clan fu un terremoto: l’ombra (e l’onta) di un’altra relazione, dopo Santino. Per Francesco – spiega plasticamente una nota dell’allora capo della Squadra mobile di Catanzaro Francesco Rattà – fu un doppio tradimento «avendo accolto nella propria casa un intimo amico che poi si rivelerà l’amante della madre». Gli agenti, con il coordinamento dell’allora pm di Vibo Valentia Enrica Medori, avviarono una vasta attività intercettiva, preziosa a descrivere il contesto ma non sufficiente per risalire agli autori di quel delitto. «Invece di prendertela con gli altri – diceva una delle persone monitorate dai poliziotti – la pigli a chi devi prendere gli tiri la testa come una gallina e ti fai l’uomo d’onore come si deve…».

La lettera al boss

La prova che potesse esserci quella pericolosissima relazione sentimentale dietro la scomparsa di Valentino, gli inquirenti la rinvennero in una lettera manoscritta che Valentino inviò direttamente a Rocco Anello: «So che questi errori si pagano con la morte, venga ad uccidermi, perché so che sarà questa di sicuro la vostra decisione… Da voi mi potrà staccare solo la morte… Se questo è il mio destino, così avvenga».

Un indizio preziosissimo ma non una prova. Quasi quattordici anni dopo, così, Valentino Galati resta un fantasma, senza neppure una tomba sulla quale posare un fiore. Vittima, senza giustizia, della lupara bianca.

Anna e la fine di Cristian

Valentino Galati

Sua madre Anna, anche attraverso gli organi di stampa, provò ad invocare verità e giustizia per suo figlio, come ha sempre fatto anche Angela Donato, la mamma di Santino Panzarella. Poi la battaglia di Anna si interruppe quando, la notte di Capodanno del 2009, l’altro suo figlio, Cristian fu sequestrato, torturato, legato e bruciato vivo a Filadelfia. Cristian agonizzò prima di spirare per due mesi a mezzo, al Centro grandi ustioni di Bari. I suoi aguzzini furono tutti condannati con sentenza definitiva. Aveva confessato in una chat di aver incendiato l’auto di uno dei suoi assassini Santino Accetta, che sospettava avesse rubato la vettura di sua madre. Ma Cristian pare non si fosse mai rassegnato alla scomparsa del fratello e non avesse mai smesso di cercarlo.

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