Il pentito Cannatà accusa i cugini D’Andrea: «A Vibo comandano insieme ai Lo Bianco-Barba»
Le estorsioni in città, la spesa gratis, le imposizioni ai giostrai, i commercianti costretti a comprare le stelle di Natale, le truffe con le assicurazioni, le minacce ai periti e le agevolazioni in ospedale
“Qua a Vibo comandiamo noi”. Racconta tanti episodi Gaetano Cannatà, 46 anni, di Vibo Valentia, già condannato in via definitiva per usura nell’operazione “Insomnia” e a dicembre coinvolto nell’operazione Rinascita-Scott per associazione mafiosa ed usura. E’ cugino di Carmelo D’Andrea, 62 anni, alias “Coscia d’Agneiju”, e del figlio Giovanni D’Andrea, 34 anni, entrambi detenuti per Rinascita-Scott. E proprio dai cugini, il nuovo collaboratore di giustizia avrebbe appreso gli assetti dei clan dominanti sulla città e diverse azioni criminali. “Molte azioni criminali – fa mettere a verbale Cannatà – i D’Andrea le compivano direttamente per conto della consorteria Lo Bianco-Barba e nel suo interesse, infatti gli stessi affermavano spesso davanti a me, quasi vantandosene, che chiunque eseguisse dei lavori su Vibo Valentia, soprattutto se proveniente da altri paesi, avrebbe dovuto pagare a loro, cioè alla cosca Lo Bianco-Barba, asserendo testualmente: “Qua a Vibo comandiamo noi”. Quando riferisco che Carmelo D’Andrea mi diceva che “A Vibo comandiamo noi” faceva chiaro riferimento agli esponenti di vertice del suo sodalizio che riconosceva espressamente in Paolino Lo Bianco, Domenico Lo Bianco, Enzo Barba. Lui espressamente descriveva i suoi rapporti con queste persone quali soggetti a lui legati dalla comune appartenenza criminale e quali soggetti che erano il suo riferimento. [Continua]
D’Andrea ammetteva di far parte del sodalizio diretto da Carmelo Lo Bianco e di essere stato in passato a questi subordinato. Ciò avveniva esattamente prima della morte di quest’ultimo. Dopo tale decesso – spiega Cannatà – Carmelo D’Andrea mi riferiva che le redini del comando in seno alla consorteria erano state assunte da Paolino Lo Bianco, figlio del defunto Carmelo, e mi diceva che quelli che comandano sono Paolino Lo Bianco ed Enzo Barba. Carmelo D’Andrea è stato storicamente un fedelissimo di Francesco Fortuna, detto Ciccio Pomodoro, fino all’epoca della sua uccisione. A seguito della sua morte, D’Andrea si è legato maggiormente a Carmelo Lo Bianco e spesso l’ho visto relazionarsi – aggiunge Cannatà – a Francesco Scrugli e Andrea Mantella”. Sarebbero stati quindi proprio i D’Andrea, per quanto racconta Cannatà, a recarsi per conto dell’organizzazione Lo Bianco-Barba dalle vittime delle estorsioni per avanzare le illecite pretese.
Le giostre a Vibo e i biglieti gratis per i Lo Bianco e i Pardea. “Stessa cosa avveniva con le giostre che si insediavano in città – ricorda Cannatà – i cui titolari erano tenuti a cedere a titolo gratuito dei biglietti alla consorteria di appartenenza dei D’Andrea. Erano gli stessi D’Andrea a distribuire i biglietti ricevuti per conto della cosca ai sodali. Io ho sentito che ne parlavano, li ho visti consegnare i biglietti ed in qualche occasione li ho ricevuti pure io. In alcune occasioni si accendevano delle discussioni in seno al sodalizio in quanto più sodali, appartenenti a diverse componenti criminali della ‘ndrangheta di Vibo Valentia, si presentavano dal giostraio per richiedere i biglietti e questi faceva presente di aver già consegnato i biglietti ad un esponente di altra fazione. In tale contesto ho sentito i miei cugini riferire che loro avevano l’incarico di prelevare i biglietti per conto di tutti i gruppi criminali operanti in città per poi dividerli fra i medesimi, proprio per evitare tali problematiche. Da tale circostanza compresi – aggiunge Cannatà – che oltre al gruppo di appartenenza dei miei cugini, facente riferimento ai Lo Bianco, ve ne era uno ulteriore ovvero quello che ho poi scoperto essere dei Pardea, c.d. Ranisi”. [Continua in basso]
La spesa gratis e i periti assicurativi minacciati. Secondo Gaetano Cannatà, Carmelo D’Andrea si sarebbe occupato principalmente di estorsioni ma anche di prelevare per proprio conto la spesa senza pagare. In alcuni negozi di generi alimentari, ad avviso del collaboratore, Carmelo D’Andrea e Giovanni D’Andrea “prelevavano la merce senza pagare”, con i titolari di tali attività commerciali che più volte si sarebbero lamentati della situazione senza però mai avere il coraggio di denunciare. “So per averlo per averlo appreso dai diretti interessati – aggiunge Cannatà – che Giovanni D’Andrea, figlio di Carmelo, era solito fare truffe alle assicurazioni ed inoltre i due D’Andrea si recavano circa tre volte l’anno – in occasione di ricorrenze e festività – nelle agenzie assicurative della città di Vibo per prelevare delle somme di denaro sotto forma di imposizione estorsiva”.
Per chi si rifiutava di firmare le carte per falsi incidenti stradali, ecco quindi spuntare l’incendio dell’auto. Ben due volte allo stesso perito assicurativo “con Giovanni D’Andrea il quale fra il 2009 e 2010 auspicava che con tale danneggiamento il perito avesse imparato la lezione”. Anche ad altro perito, secondo il collaboratore, è stata incendiata l’autovettura perché “doveva imparare a comportarsi bene”. [Continua in basso]
Le stelle di Natale ed i D’Andrea. Gaetano Cannatà spiega poi quanto accadeva nel mese di dicembre a Vibo Valentia con le piantine delle stelle di Natale. “Carmelo D’Andrea ed il figlio Giovanni erano soliti vendere delle piantine nel periodo natalizio, con modalità che tradivano la natura estorsiva della cessione, letteralmente imposta, in quanto lo stesso Giovanni ebbe modo di ammettere, mentre distribuiva queste piante agli esercizi commerciali, che lui lasciava la piantina davanti al negozio e successivamente passava a riscuotere il prezzo della vendita. L’acquirente non poteva rifiutarsi di acquistarla perché Giovanni D’Andrea mi disse che “la devono volere per forza”. Tale attività di Giovanni D’Andrea era posta in essere insieme al padre Carmelo D’Andrea, anche perché so – conclude Cannatà – che Giovanni non faceva nulla senza il consenso del padre”.
Le visite in ospedale scavalcando le liste d’attesa. Gaetano Cannatà, che ha ammesso le proprie responsabilità in ordine all’usura praticata nei confronti del commerciante di Vibo Sergio Baroni (testimone di giustizia il quale ha denunciato tutto facendo scattare l’operazione “Insomnia” che ha portato allal condanna anche dell’odierno collaboratore), ha dichiarato agli inquirenti di non essere mai stato formalmente affiliato alla ‘ndrangheta e di non essere mai entrato a far parte di alcuna consorteria. “Mantenevo buoni rapporti con tutti – ha fatto mettere a verbale Cannatà – e soprattutto con i miei cugini Giovanni e Carmelo D’Andrea, ai quali mi rivolgevo qualche volta per chiedere favori. Ad esempio, a loro mi rivolgevo nel caso in cui dovevo prenotare una visita medica all’ospedale di Vibo, in quanto gli stessi erano in grado di intercedere con alcuni sanitari ed ottenere delle agevolazioni, quale quella di anticipare la prenotazione della visita medica”.