Rocco Anello, il “Patrozzo” dei siciliani: le accuse dell’ex pentito Assinnata – Video
ESCLUSIVO | Le rivelazioni del figlio del boss di Paternò reso celebre dall’inchino di Santa Barbara e dal servizio de Le Iene. Si pentì e poi ritrattò tutto. Armi e droga: quell’interrogatorio acquisito nell’inchiesta Imponimento
Per gli Assinnata di Paternò era il «Patrozzo». Neologismo mafioso, una sorta di vezzeggiativo alla qualifica di padrino. Il «Patrozzo» – dice Domenico, rampollo del casato siciliano – era Rocco Anello, capo del locale ’ndranghetista di Filadelfia, che al clan mafioso federato coi Santapaola-Ercolano di Catania avrebbe assicurato armi e narcotici. Don Rocco era uno che si faceva vivo alle feste comandate, inviando cestini e regali. Uno che ai rapporti ci teneva e che nel Catanese era considerato come «di famiglia».
Il pentito… pentito
Il racconto di questo spaccato è nel verbale che Domenico Assinnata, protagonista di una rocambolesca vicenda social-criminale e processuale, rende alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e alla Guardia di finanza il 12 dicembre del 2018. Reggente del clan che nel nonno omonimo ha il suo patriarca, figlio del boss Salvatore, Domenico junior, dopo un arresto, si pentì. E più tardi si pentì d’essersi pentito e finì condannato a vent’anni di carcere.
L’inchino della santa
In mezzo a questa sua controversa storia, le dichiarazioni acquisite dal pool di Nicola Gratteri e, in particolare, dal sostituto Antonio De Bernardo nelle celle del carcere Bicocca di Catania. Facendo un po’ di mente locale, Assinnata junior è un volto noto. Divenne celebre per l’inchino tributatogli dai portatori della statua di Santa Barbara in occasione dei festeggiamenti patronali che si celebrarono a Paternò nel dicembre del 2015. «Scoppia lo scandalo», disse Giulio Golia per Le Iene che – divenuto virale il video girato con uno smartphone – si occupò del caso recandosi direttamente a Paternò, intervistando l’erede del casato siciliano (che tronfio baciava il portatore e si prendeva l’inchino del simulacro), denunciando e dileggiando la strumentalizzazione dei riti religiosi da parte delle organizzazioni criminali per ostentare il loro potere sui territori.
Gli Assinnata e don Rocco
Il suo racconto su Rocco Anello e sul suo strettissimo legame con gli Assinnata è stato acquisito agli atti dell’indagine Imponimento. Il «Patrozzo» sarebbe stato prodigo di premure verso i siciliani. «Ricordo – rammenta Domenico nel corso di uno degli ultimi interrogatori prima della ritrattazione – che una volta abbiamo avuto un lungo colloquio e lui mi regalò anche una pistola calibro 7.65, che poi ho perso…».
Lo conosceva sin da bambino, ma ebbe contezza degli affari criminali che lo legavano al suo clan solo quando si fece uomo e, col padre e gli atri familiari detenuti, dovette farsi carico di portare fuori dal carcere, dopo i colloqui, disposizioni e messaggi. Così accadde che una volta, dopo un blitz delle forze dell’ordine, l’arsenale degli Assinnata fu sequestrato. Bisognava pertanto rimpiazzare subito l’artiglieria e, per farlo, Salvatore Assinnata, allora detenuto, mandò il figlio proprio da Anello. Abbisognavano di «kalashnikov e armi da guerra». Così, alla prima occasione utile lo incontrò e tempestivamente gli fornì «numerose armi».
«Avrebbe dato la vita»
«Mio padre – dice Domenico Assinnata al pm De Bernardo – mi diceva sempre che questo Rocco Anello era il suo Patrozzo e che per lui avrebbe dato anche la vita. Io all’epoca non capivo bene il significato di questa affermazione, ma l’ho compreso successivamente. Significa che mio padre e la sua famiglia si consideravano a completa disposizione di Rocco Anello e della sua famiglia, così come questi e la sua famiglia erano disposti ad aiutarci per qualunque nostra necessità».
Le armi e gli stranieri
Anello era di casa in Sicilia, vi scendeva spesso. Portava armi e consegnava anche – a dire dell’ormai ex collaboratore – schede telefoniche “pulite” per poter concordare ogni appuntamento. Anello sarebbe stato un grosso fornitore e gli Assinnata ottimi clienti: «In una prima occasione acquistai 10 kalashnikov che lui mi vedeva al prezzo di 1.750 euro». Pagamento alla consegna, che avveniva in una campagna ad opera di alcuni stranieri, tutti ben vestiti, pieni di gioielli, che viaggiavano a bordo di una Bmw X6.
Non sa dire se fossero «turchi o rumeni, comunque avevano un accento straniero ed erano molto in gamba». Di certo sa che il boss di Filadelfia aveva «importanti contatti con soggetti russi, svizzeri, albanesi sia per la fornitura di armi che di droga». In una seconda occasione il campionario di fornitura delle armi fu ancora più vasto: «Mi furono consegnati oltre a due kalashnikov uzy, delle pistole 7.65, 9×21 e calibro 38, anche bombe a mano, fucili di precisione e mitragliatrici con treppiedi».
Uno di famiglia
Per quanto attiene la droga, invece, Anello avrebbe rifornito anche «altre famiglie del Catanese, quali la famiglia Nizza e quella di Saro ‘u Ruosso». Trafficava marijuana e cocaina, un po’ con tutti. Ma con gli Assinnata c’era un rapporto speciale, anche personale, al netto degli affari. Un rapporto tale che Domenico varcò perfino lo Stretto e Rocco Anello si recò a Reggio per prenderlo e portarlo nelle sue campagne a Filadelfia: «Aveva un bellissimo cavallo nero e un allevamento di asini».