Donne scomparse: indaga pure la Dda. Da Maria Chindamo a Giuseppina Pronestì e Tita Buccafusca (VIDEO)
I magistrati antimafia di Reggio Calabria non credono al suicidio della moglie di Tonino Digiglio, arrestato nell’operazione “Lex”. Ed intanto spuntano le dichiarazioni del pentito Dimasi
Non solo la Procura di Vibo Valentia, ma anche la Dda di Reggio Calabria prova a far luce sulla scomparsa di Maria Chindamo, la commercialista ed imprenditrice di Laureana di Borrello rapita e scomparsa nel maggio 2016 dinanzi alla sua tenuta agricola di Limbadi. E’ il pm della Procura distrettuale di Reggio Calabria, Giulia Pantano, a rivolgere delle precise domande sulla scomparsa di Maria Chindamo al nuovo collaboratore di giustizia Giuseppe Dimasi, imprenditore ritenuto legato al clan Ferrentino di Laureana e che da qualche mese ha deciso di “vuotare il sacco”. «Con riferimento alla scomparsa di Maria Chindamo, Marco Ferrentino diceva “secondo me gliel’hanno fatta pagare“ e alludeva – racconta il pentito Dimasi – al fatto che la donna aveva avuto una relazione extraconiugale e il marito non accettando la separazione si era suicidato».
Le rivelazioni sul “caso” di Maria Chindamo sono contenute nel medesimo verbale di interrogatorio in cui lo stesso magistrato chiede al collaboratore di giustizia se ha mai sentito parlare di un omicidio a proposito della coniuge di Tonino Diglio, 42 anni, arrestato con l’accusa di essere un affiliato di spicco del clan Ferrentino-Chindamo nell’ambito dell’operazione “Lex”. Un possibile omicidio, dunque, quello di Giuseppina Pronestì, avvenuto il 29 marzo dello scorso anno e che la cronaca aveva registrato come un suicidio. Non così, invece, per la Dda di Reggio Calabria. Lo si ricava dalle carte dell’inchiesta “Lex”, un’inchiesta chiusa da qualche mese ma che continua a riservare diversi particolari inediti e colpi di scena. I magistrati della distrettuale antimafia reggina hanno infatti da tempo aperto un fascicolo d’inchiesta a carico di ignoti relativo alla morte di Giuseppina Pronestì, moglie di Tonino Digiglio.
Non la Procura ordinaria di Palmi, dunque, territorialmente competente ad indagare sui fatti di reato con epicentro Laureana di Borrello, ma la Dda di Reggio Calabria. Segno che i magistrati hanno in mano qualche elemento per sospettare il coinvolgimento della ‘ndrangheta nel decesso di Giuseppina Pronestì. A ciò si aggiungono ora le dichiarazioni di Giuseppe Dimasi che ha spiegato al pm Giulia Pantano come i parenti di Giuseppina Pronestì ritenessero il marito Tonino Digiglio il “responsabile morale” del suicidio della moglie. Una circostanza che Giuseppe Dimasi avrebbe appreso da Marco Ferrentino, ritenuto al vertice dell’omonimo clan di Laureana di Borrello. “Poverino Tonino. Si trova in una situazione del cavolo che i parenti della moglie pensano che è successo per lui”. Questo ciò che sarebbe stato confidato da Marco Ferrentino a Giuseppe Dimasi. Quanto basta agli inquirenti per riannodare i fili su un suicidio al quale non hanno mai creduto.
Ma anche un caso che – benché distante nel tempo e nel contesto mafioso – finisce per presentare diversi aspetti analoghi al suicidio di Tita Buccafusca, la moglie del boss di Nicotera e Limbadi Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”, morta nel 2011 dopo aver ingerito acido muriatico e sul quale indaga la Dda di Catanzaro.
Tre casi – Tita Buccafusca, Maria Chindamo e Giuseppina Pronestì – slegati fra loro ma con in comune l’ombra della criminalità organizzata. Quella capace di mascherare omicidi in suicidi e quella che del caso di Maria Chindamo sembra essere stata in possesso di particolari importanti.