Le vacche sacre di Peppone, «Per rispetto o paura vanno ovunque»
Rinascita Scott, un’antologia del crimine. Ecco il racconto di uno dei totem della ’ndrangheta: la holding criminale più potente al mondo che non rifugge dalle sue origini pecoraie. La tracotanza del boss e la sfida di un contadino coraggioso
Fortunato La Rosa ci rimise la vita. Denunciò, reiteratamente e invano, le scorribande della vacche sacre sui suoi terreni nella Locride, e fu ammazzato. Correva l’8 settembre del 2005. A Scaliti di Filandari, il 27 dicembre del 2010, l’ennesima invasione di bestie intoccabili fu invece all’origine di una carneficina, quella consumata dai fratelli Ercole e Francesco Vangeli che, esasperati dalle angherie a cui erano sottoposti, sterminarono un’intera famiglia: Domenico Fontana e i suoi quattro figli. Le vacche sacre restano, storicamente, anche sullo sfondo di faide, come la prima che si consumò a Cittanova, tra i Facchineri e i Raso-Gullace Albanese, deflagrata nel 1964. Furono causa anche di disastri ferroviari che solo per una serie di fortunate coincidenze non si tramutarono in un massacro: Cittanova, 16 ottobre ’87; Taurianova, 15 ottobre ’92.
Il totem che resiste
Esse rappresentano un simbolo del potere mafioso e del controllo asfissiante sulle campagne. Perché la ’ndrangheta oggi sarà anche la più grande holding criminale al mondo, che interagisce coi santuari del potere e dell’alta finanza, ma le sue origini sono rurali e nei pascoli. E certi totem, malgrado l’evoluzione della specie criminale, resistono ancora.
E così Rinascita Scott, la colossale maxioperazione dei carabinieri che ha disvelato il potere del superboss Luigi Mancuso e di un sistema mafioso articolato, pervasivo, sofisticato, connesso a lobby di potere, presunti circuiti massonico-deviati, traffici illeciti e affari, è un’antologia del crimine che parla anche di questo retaggio che resiste: le vacche sacre. Ciò avviene grazie alle attività di una delle Stazioni della Benemerita più battagliere delle Calabria, quella di Zungri. Perché è vero che il pool di Gratteri ha impiegato l’élite dell’Arma la quale ha svolto una formidabile attività inquirente – il Ros di Roma e di Catanzaro e il Nucleo investigativo di Vibo Valentia – ma è altresì vero che i presidi territoriali dei carabinieri hanno svolto nell’ombra e in silenzio un lavoro straordinariamente prezioso.
«Dove per rispetto, dove per paura»
Zungri, per intenderci, è il feudo di Peppone Accorinti, il boss – descritto dai pentiti come un tipo spietato e sanguinario – divenuto celebre per la sua toccata e fuga dalla processione della Madonna della Neve, nell’agosto del 2018. Il sedicente «uomo di fede» che – tra una imprecazione e l’altra – diceva intercettato di voler fare «pezzi pezzi» il maresciallo del paese. Il capomafia che, al suo passaggio, narrano i collaboratori di giustizia, seminava cadaveri. «Le pecore di Peppe – raccontava uno degli indagati di Rinascita Scott ascoltato dai militari dell’Ama – dove per rispetto e dove per paura vanno da tutte le parti». Perché Peppone, uno dei componenti della Caddara, il direttorio criminale che governava una provincia cerniera per la ‘ndrangheta, quella di Vibo Valentia, uno che trafficava armi e droga a fiumi, ufficialmente è un bracciante che vive da campagnolo, tra mandrie e greggi.
Un contadino coraggioso
Il ritratto che ne traccia il Nucleo investigativo di Vibo Valentia, nell’informativa finale di Rinascita vergata dal maggiore Valerio Palmieri, è chiaro. E tra gli allegati a questa informativa ci sono anche le denunce per i pascoli abusivi presentate alla Stazione carabinieri di Zungri da un cittadino che ha avuto coraggio, l’unico a cui sono stati devastati terreni e colture dalle vacche sacre e che si è rivolto ai carabinieri denunciando gli Accorinti. Il suo terreno stava a Briatico e le bestie sacre del boss erano arrivate fin lì, distruggendo intere coltivazioni di pesche, prugne, mele e pere, pronte per essere raccolte e vendute.
Per una famiglia che vive della fatica sui campi e dei frutti della terra da rivendere al mercato è come subire un attentato. Il contadino riusciva a salvare il campo di gran turco allontanando a fatica la mandria e chiamava i carabinieri, i vigili del fuoco e l’Asp. Bloccarne alcune era però un proposito inattuabile. Dalla sua denuncia: «Si è tentato di immobilizzarle ma poiché queste mucche, cosiddette “vacche sacre” non sono abituate ad essere mantenute in stalla, ma vivono allo stato brado, oltre ad essere pericoloso non è stato possibile».
«Denuncio da quattro anni»
E ancora: «Posso riferire che non è la prima volta che succede un fatto simile, infatti tempo fa ho denunciato un fatto analogo e anche in quel caso gli animali erano riconducibili ai soggetti che ormai da quattro anni denuncio quasi quotidianamente, cioè la famiglia Accorinti di Zungri». Era esasperata questa famiglia a cui, peraltro, in passato erano stati rubati anche i bovini, poi finiti con l’ingrassare le mandrie proprio degli Accorinti.
Così fan gli altri…
Non era certo il solo a subire la tracotanza mafiosa di quelle invasioni. Altri, anziché denunciare, però, si recavano direttamente dal capomafia per risolvere il problema. In una relazione all’autorità giudiziaria il comandante della stazione carabinieri di Zungri Davide Sirna segnalava come il comportamento di un altro agricoltore della zona rappresentasse «uno dei modi che la cittadinanza attua per ovviare ai danneggiamenti che numerosi contadini e privati cittadini subiscono» a causa delle invasioni delle vacche sacre. L’agricoltore raccontava in via confidenziale ai carabinieri di essere «esasperato dai continui danneggiamenti subiti all’interno di alcuni suoi terreni agricoli». Precisava di essersi recato da Peppone Accorinti, perché la mandria era sua. «Veniva invitato (l’agricoltore, nda) a denunciare l’accaduto – è scritto nel rapporto dell’Arma – ma rispondeva di non essere intenzionato a farlo, in quanto convinto di aver risolto il problema».
Il dio Peppone
Così facevan tutti o quasi, perché – come racconta Elisabetta Melana (ex compagna di Ambrogio Accorinti, fratello del boss), testimone di giustizia – «Peppone a Zungri è considerato come un dio». E quando quel pregiudicato intercettato diceva che «le pecore di Peppe dove per rispetto e dove per paura vanno a tutte le parti», aveva ragione. «Le vacche sacre che ci sono a Zungri – raccontava Elisabetta Melana – sono di Peppe. Lui ride quando sa dei danneggiamenti che vengono fatti nelle campagne. A proposito, ricordo di un’occasione in cui le vacche di Peppe arrivarono, nel periodo in cui c’era la festa della Madonna, in piazza Garibaldi…».