Inchiesta “Robin Hood”: la Cassazione spiega l’accordo per “fregarsi” 850mila euro
La Suprema Corte rigetta i ricorsi dell’amministratore della Cooperfin e del presidente della Fondazione Santa Maria Goretti e parla di un “ampio accordo criminoso” con l’ex assessore Salerno
Resta agli arresti domiciliari Ortensio Marano, 43 anni, di Belmonte Calabro, amministratore delegato della società finanziaria Cooperfin spa con sede a Belmonte Calabro e Milano. Si tratta di uno dei principali indagati dell’inchiesta “Robin Hood” della Dda di Catanzaro. E’ accusato, in concorso con l’ex assessore regionale al Lavoro Nazzareno Salerno, di essersi appropriato dei fondi del Credito sociale. I reati ipotizzati nei suoi confronti sono quelli di turbativa d’asta, peculato e corruzione. Obbligo di dimora, invece, per Bruno Dellamotta, 69 anni, originario di Genova, ma residente a Firenze. Anche il suo ricorso, al pari di quello di Marano e Salerno, è stato rigettato dalla Cassazione.
Secondo l’accusa, il vibonese Nazzareno Salerno da ex assessore regionale al Lavoro avrebbe favorito Ortensio Marano ed una sua società nella gestione dei fondi del Credito sociale in cambio del versamento di denaro a titolo di tangenti, ovvero oltre 230 mila euro.
Le prove che reggono in Cassazione. Per i giudici della Suprema Corte, nel caso di Ortensio Marano (in foto) ci si trova dinanzi ad “una pluralità di elementi probatori e investigativi, segnatamente le risultanze delle intercettazioni, dei servizi di osservazione, degli accertamenti della Guardia di finanza nonché di altre prove dichiarative”. Appare quindi del tutto “irrilevante che anche Fincalabra avrebbe avuto bisogno, per la gestione del progetto Credito Sociale, di avvalersi di un istituto di intermediazione finanziaria, laddove la Fondazione Calabria Etica – cui veniva affidata la gestione del progetto con la regia del Salerno – era del tutto priva delle caratteristiche necessarie per la gestione di tale attività, giusta la totale estraneità della gestione finanziaria dalle finalità istituzionali della Fondazione. Soprattutto, detta Fondazione – scrive la Cassazione – veniva prescelta, in luogo della più idonea Fincalabra, nell’ambito di un disegno criminoso più ampio, e cioè ai fini del successivo affidamento dell’incarico per la materiale gestione del medesimo Credito Sociale alla Cooperfin S.p.A. amministrata da Marano”.
Il “disegno criminoso”. Le diverse condotte ascritte a Marano devono quindi essere guardate “non come singoli ed isolati episodi delittuosi, bensì quali segmenti di un disegno criminoso di più ampio respiro, che prendeva le mosse dalla scelta da parte dell’assessore e coindagato Nazzareno Salerno dei componenti del Comitato di Gestione per l’istruttoria delle domande degli aspiranti al progetto Credito Sociale”. La turbativa dell’asta per l’aggiudicazione della gestione del Fondo Sociale alla Cooperfin secondo i giudici della Cassazione è stata così “realizzata mediante la predisposizione del bando in termini tali da consentire la partecipazione esclusiva della società indicata in violazione delle regole della concorrenza. Condotte cui seguivano – in immediata successione temporale – sia i flussi finanziari disvelati dalle indagini da parte di Ortensio Marano a favore di Salerno, quale illecita remunerazione dell’assegnazione delle risorse pubbliche in forza di un atto contrario ai doveri d’ufficio, sia le distrazioni delle somme del medesimo Fondo da parte della Cooperfin di Marano”.
Il “pactum sceleris”. Vi sarebbe stato quindi quello che anche la Cassazione definisce come un “pactum sceleris comprovato dal versamento della tangente di 230 mila euro da parte di Marano a Salerno”. Anche dalla disamina dei flussi finanziari fra i conti di Nazzareno Salerno e della società al medesimo riferibile (la Salerno Angelo Raffaele Costruzioni Generali s.r.I.) ed i conti delle società Cooperfin e M&M (di cui Ortensio Marano è legale rappresentante) per la Cassazione “emerge per tabulas che Salerno beneficiava di una somma complessiva di circa 230 mila euro, immediatamente dopo il trasferimento delle somme del Fondo Sociale alla Cooperfin, senza causa lecita e quale remunerazione del mercimonio della funzione pubblica”.
L’appropriazione di fondi pubblici. La volontà del Marano di appropriarsi di fondi pubblici – e non soltanto di assicurarsi una remunerazione per il servizio finanziario svolto – è scolpita per i giudici nelle “icastiche parole spese nella conversazione intercettata nella quale Marano – interloquendo con il coindagato Giuseppe Castelli Avolio – asseriva “io, tu, Bruno ci siamo messi d’accordo e ci siamo fottuti 850 mila euro di fondi pubblici”, “è un dato di fatto”, “noi abbiamo cazzeggiato con i fondi pubblici” “perché stiamo parlando di una truffa internazionale con fondi pubblici”.
Dalla documentazione della Cooperfin è stato inoltre rinvenuto l’accordo quadro siglato il 10 marzo 2016 fra la Fondazione Santa Maria Goretti (nella persona del presidente e legale rappresentante Dellamotta), la società svizzera W.B.T. e la M&M Management s.r.I., in persona dell’amministratore e legale rappresentante Ortensio Marano, per la collaborazione nella realizzazione degli obbiettivi mediante lo svolgimento di attività dirette alla raccolta di provviste finanziarie da destinare alle attività della Piattaforma di W.B.T”.
L’accusa di peculato elevata a carico di Bruno Dellamotta risulta invece comprovata “dal contenuto inequivocabile delle intercettazioni telefoniche nelle quali gli stessi interlocutori facevano esplicito e diretto riferimento all’illecita attività ed al coinvolgimento in essa di Bruno Dellamotta. In particolare, il Giudice a quo ha evidenziato che nella conversazione del 21 ottobre 2016, Marano – parlando con il coindagato Castelli Avolio – parlava espressamente dell’appropriazione di denaro del Fondo Sociale da parte dello stesso (“questa è truffa internazionale”; “noi abbiamo cazzeggiato con i fondi pubblici”; “dobbiamo ricostituire il fondo”).
Il peculato in danno di Calabria Etica. Con l’operazione di trasferimento della somma di 825.000,00 euro dal conto della Cooperfin a quello della società svizzera W.B.T., per la Suprema Corte si è così concretizzata una condotta di peculato in danno della Fondazione Calabria Etica, laddove, mediante un artificioso e complesso intreccio tra società riconducibili a Marano, Castelli Avolio e Dellamotta (segnatamente la Fondazione Santa Maria Goretti), la somma veniva sottratta dalla sua destinazione originaria per essere utilizzata in attività di speculazione finanziaria”.
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