“Mafia capitale” nel racconto di Mantella: i Bonavota e il tesoro «nei boccacci» -Video
Il potere dei santonofresi a Roma. Dalla dolce vita al riciclaggio dei proventi illeciti sino allo «screzio sanato» con gli Alvaro sullo sfondo di due morti ammazzati
L’altra “Mafia Capitale” la racconta Andrea Mantella. Roma, quartier generale del Ros. Ex killer spietato, padrino emergente di Vibo Valentia, oggi gola profonda, il suo narrato – puntualmente riscontrato dal pool di Nicola Gratteri – ha consentito finora di procedere a centinaia di arresti. Viene incalzato sui metodi attraverso i quali i clan del Vibonese – «’ndrangheta di serie A», ha ribadito sin da subito il procuratore capo di Catanzaro – riciclano i propri milionari proventi dentro e fuori la Calabria. [Continua]
Gli sono davanti ufficiali e sottufficiali del reparto d’élite dell’Arma. C’è il pm Annamaria Frustaci. Racconta della dolce vita di Saverio Razionale, il boss di San Gregorio d’Ippona, che alloggiava in un «residence con campo da tennis e piscina». «Sta dicendo il residence quindi di via Aurelia Antica», annota il luogotenente. «Sì, sì». Sì, perché i militari in mephisto per lungo tempo hanno monitorato Razionale, registrandone ogni movimento. Ma il Ros vuole anche altro: «I Bonavota».
Potenza militare ed economica. I santonofresi – quelli che hanno guidato il cartello antagonista ai Mancuso e che gli stessi Mancuso volevano decapitare commissionando ai Patania di Stefanaconi l’omicidio del boss Domenico Bonavota – s’erano presi mezza Roma, dopo essersi divorati mezza provincia di Torino e mezza provincia di Genova. Gente spietata. Dal punto di vista militare capace di esprimere una potenza di fuoco pari a poche cosche della ‘ndrangheta, ciò malgrado la teatrale difesa dello stesso Mico Bonavota nella sala colloqui del carcere finita agli atti di “Rinascita Scott”: «Falsità e infamità – diceva – per tenere gente innocente in galera».
Gente che – secondo alcune intercettazioni – si sarebbe attivata perfino per eliminare proprio Mantella (un tempo poderoso alleato) una volta diffusasi la notizia della sua collaborazione con la giustizia. Gente ricca. Il Ros vuole sapere dove tiene i soldi: «La famiglia Bonavota come ricicla i soldi?». E Mantella spiega come questa cosca capace di diventare padrona di bar e tavole calde, perfino nei pressi dei palazzi del potere, il suo tesoro lo tenga nascosto usando i metodi della vecchia scuola.
«Se no li lasciate in mutande, come me…». Il superpentito: «Allora, adesso purtroppo i gattini hanno aperto gli occhi, perché i soldi li stanno mettendo sottovuoto e li sotterrano, quindi… perché purtroppo per loro… cioè purtroppo per voi che indagate, i soldi non ve li fanno più trovare perché dicono che se investono sul mattone, dopo qualche mese, qualche anno ci arrivate e quindi li lasciate in mutande come avete lasciato me, praticamente. E loro i soldi che fanno? I veri capitali, i veri soldi che prendono li mettono sotto terra, sottovuoto con il riso, con la naftalina nei boccacci e non li trovate più».
Sanno di tutto e di più, gli inquirenti che Andrea Mantella ha davanti, ma non sanno cosa sono «i boccacci». «Sono quelli che si fa la giardiera, quelli che si fa le melanzane», spiega il collaboratore. Insomma, sottovuoto e interrati, in vasetti di vetro. In sostanza, dice il collaboratore, per i Bonavota meglio un capitale liquido che non frutta rendite, ma al sicuro dalle aggressioni patrimoniali dello Stato, che palazzi che prima o poi di verranno portati via.
Gli affari con gli Alvaro. Parla dei traffici di droga intessuti da Bonavota, Mantella: da Torino verso la Calabria, passando per Roma. E racconta quanto il clan di Sant’Onofrio, attraverso il capo società Pasquale, fratello di Domenico, contasse rispetto ad altri giganti del crimine organizzato calabrese. Mantella cita gli Alvaro di Sinopoli. Racconta che, proprio con questi, ebbero degli screzi, poi sanati. E racconta una storia finita nel sangue. È la storia di Domenico Cutrì, giovane genero di Carmine Alvaro, alias “Copertuni”, un mammasantissima: «Il cognato che poi l’hanno ucciso, di Alvaro… Sì, sì, sì, che questo ragazzo che poi è stato ucciso nel suo paese praticamente era un muratore che stava facendo delle… a Roma intendo dire, nelle vicinanze, non lo so di preciso, che stavano facendo pure con Pasquale Bonavota delle villette… Delle villette in questa zona qui con questo ragazzo che poi sfortunatamente l’hanno ammazzato giù al suo paese, quindi…».
Quei due morti nel 2008. Il genero di Carmine Alvaro assassinato è Domenico Cutrì. Fu gravemente ferito a colpi di pistola il 28 settembre del 2008 a Sinopoli. Spirò poche ore dopo in ospedale. La sparatoria si consumò nei pressi del cimitero. Presunto assassino, subito protagonista di una caccia all’uomo avviata dalla Polizia, fu ritenuto Domenico Marsetti, un 32enne il cui cadavere fu ritrovato tre giorni dopo a Frascati, nelle campagne romane. Secondo la prima ricostruzione investigativa, Marsetti, dopo la sparatoria, raggiunse Brancaleone, lasciò la macchina in stazione e prese il treno in direzione Roma. Nella Capitale, anziché consegnarsi alle forze dell’ordine si ritenne potesse aver cercato protezione da qualche “famiglia amica” per sfuggire all’implacabile vendetta degli Alvaro. Non trovò affatto alcuna protezione, così fu giustiziato senza pietà. Non uno, quindi, ma due morti. E sullo sfondo quello che Andrea Mantella definisce come uno «screzio poi sanato» tra i Bonavota e gli Alvaro.