Moscato: storie di mafia, omicidi e… quella moto fuori dal comune – Video
VIDEO ESCLUSIVO Il filmato agli atti dell’inchiesta Rimpiazzo che lo ritrae su una custom davvero singolare. Oggi pentito, getta un fascio di luce su delitti dimenticati, come la scomparsa dei fratelli Covato
Una moto decisamente fuori dal comune. Perché Raffaele Moscato, il killer, il freddo, il lupo solitario del clan dei Piscopisani, all’epoca maneggiava armi, droga e soprattutto soldi a palate. Viene fermato dai carabinieri, a Vibo Marina. È un posto di blocco improvvisato, lo vedono arrivare, senza casco, lo attendono, lo fanno accostare. Non si scompone, gesticola senza frenesia, toglie gli occhiali da sole appariscenti. Si muove disinvolto imponendo la sua fisicità. Il filmato è agli atti del procedimento Rimpiazzo. Oscuriamo i volti. Ieri Moscato, del quale si conoscono le fattezze grazie ad una foto segnaletica, era un trafficante ed un sicario del clan dei Piscopisani, oggi invece è un collaboratore di giustizia. Anzi, è colui il quale ha inaugurato una stagione del pentitismo che a Vibo Valentia ed in provincia potrebbe divenire, per le cosche, uno tsunami, proprio come avvenne a Lamezia Terme. [Continua]
C’è un altro filmato che lo ritrae. È al tavolo di un pub, scherza con i presenti, cellulare in mano. Un giovane uomo, apparentemente come tanti altri, sicuro di sé, sornione nello sguardo. Era lui uno dei tre moschettieri della cosca, bocca di fuoco dell’ala militare, assieme a Rosario Battaglia, il capo, e Rosario Fiorillo, descritto come un tipo sanguinario e spietato. Lui, Moscato, il killer reoconfesso di Fortunato Patania, boss di Stefanaconi, il cui omicidio, in risposta a quello di Michele Mario Fiorillo, scatenò la guerra di mafia che tra il 2011 e il 2012 terrorizzò la provincia di Vibo: doveva sparare Franco La Bella, alias “Camagna”, ma l’arma s’inceppò e allora intervenne lui, freddando il capobastone a colpi di pistola.
Tutti credevano avesse sparato Francesco Scrugli, descritto come una sorta di semidio con la pistola in mano legatosi ai Piscopisani alla cui uccisione la vedova Patania s’inginocchiò per terra ringraziando la Madonna. Così quando Moscato, dopo un arresto, disse di essere stato lui ad assassinare Patania, acquisì immediatamente una indiscutibile patente di credibilità.
Un uomo d’azione, Moscato, la cui collaborazione nelle vesti di pentito con il pool di Nicola Gratteri oggi è devastante. Si è autoaccusato ed ha accusato. Lucido, freddo, privo di acredine e sentimenti di rivalsa. Racconta le malefatte sue e quelle di altri di cui è stato testimone diretto. Ma racconta anche fatti ascoltati, offre elementi utili per ricostruire cold case, delitti dimenticati. Racconta, ad esempio, cosa avvenne tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, a Porto Salvo. Una storia sulla quale già uno storico pentito, Gerardo D’Urzo, oggi deceduto, aveva raccontato una sua verità, anch’essa dimenticata come i morti che caddero all’epoca.
Erano gli anni in cui a Porto Salvo comandavano i Tripodi in simbiosi coi Mancuso. Il collante era Nazzareno Colace, luogotenente di Pantaleone Mancuso “Scarpuni”. Un giorno qualcuno sparò alla saracinesca di un’attività commerciale di Colace, che successivamente cadde in un agguato assieme ad un presunto sodale, Umberto Artusa. Colace fu gravemente ferito al torace, ma sopravvisse. «Fu Franco Covato a sparare», racconta Moscato, che venne a conoscenza di ciò grazie alle confidenze di Rosario Battaglia, il capo dell’ala militare dei Piscopisani e suo amico. La risposta a quell’agguato fu inclemente. Franco Covato fu fatto sparire e qualche anno dopo toccò al fratello Massimiliano, appena ventenne.
Era un’altra epoca, quando i Tripodi, il clan del boss Nicola, era arringato ai Mancuso. Ma il tempo sarebbe passato e i Piscopisani sarebbero cresciuti, divenendo assieme ai Tripodi, i nuovi padroni di Vibo Marina e Porto Salvo, deponendo e relegando ai margini i Mancuso da un’area cuscinetto tra la costa e l’entroterra. Poi la guerra di mafia e il pentimento del killer su quella stranissima custom. Per lui l’inizio di una vita di redenzione, per altri la fine.