Comune di Pizzo e infiltrazioni, l’incontro fra sindaco e Mazzotta
Mentre non mancano i commenti dopo il decreto di commissariamento sulla Gazzetta ufficiale, dall’ordinanza del gip emergono nuovi particolari sulle contestazioni rivolte agli indagati
Non mancano i commenti a Pizzo Calabro dopo la recente pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del decreto di scioglimento per infiltrazioni mafiose degli organi elettivi del Comune. Una decisione deliberata il 26 febbraio dal Consiglio dei ministri che ha accolto così la richiesta pervenuta dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che a sua volta ha fatto propria la relazione della prefetto di Vibo Valentia, Francesco Zito.
Pesa sullo scioglimento del Consiglio comunale di Pizzo Calabro l’operazione antimafia della Dda di Catanzaro, “Rinascita-Scott”, che ha portato all’arresto in carcere del sindaco Gianluca Callipo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Le risultanze investigative di tale inchiesta sono apparse per la Prefettura di Vibo Valentia talmente “evidenti” che, per la seconda volta nel Vibonese (il primo caso si era registrato a Limbadi nel 1984 quando neanche esisteva la legge sugli scioglimenti per mafia, ma fra i primi eletti in Consiglio risultava esserci il boss Ciccio Mancuso), il Comune è stato commissariato per infiltrazioni mafiose senza neppure la necessità di nominare una Commissione di accesso agli atti che andasse a “spulciare” fra delibere e determine. [Continua dopo la pubblicità]
Le dichiarazioni degli ex amministratori di Pizzo. Ancora una volta però – come già successo a Limbadi, Mileto, Nicotera, Soriano, Briatico, Ricadi e altri Comuni sciolti in passato per infiltrazioni mafiose – c’è chi fra gli ex amministratori continua a confondere il commissariamento di un ente locale per infiltrazioni mafiose con l’immagine dell’intero paese.
«Gli episodi contestati – hanno affermato gli ex vicesindaci di Pizzo Maria Pascale e Fabrizio Anello – sono circoscritti e non possono certamente pesare su tutto l’apparato amministrativo. Pizzo non è un paese mafioso. Vogliamo togliere questa “macchia” perché non ci sono state infiltrazioni mafiose nell’amministrazione. Si tratta di episodi contestati al sindaco, all’ex assessore all’Urbanistica e a due dirigenti tecnici, che sono ancora oggetto di approfondimento e processo. Al momento non si può affermare questa permeabilità dell’istituzione all’assoggettamento della mafia. Presenteremo ricorso anche perché per sette anni e sette mesi abbiamo lavorato col sindaco Callipo e dentro il Comune non c’è mai stato alcun assoggettamento che svilisce il lavoro di un’istituzione e di due amministrazioni che hanno ben lavorato per il paese».
Due dati emergono dalle dichiarazioni degli ex assessori comunali di Pizzo. Il primo: allo stato – contrariamente a quanto sostenuto da Pascale ed Anello – si può certamente affermare che la permeabilità del Comune agli interessi della criminalità è provata. Se un Comune è infiltrato dalla ‘ndrangheta lo stabilisce infatti solo chi, per legge, ha il potere di commissariare un ente locale: il Consiglio dei ministri, sentito il ministro dell’Interno il quale a sua volta fa proprie le conclusioni del prefetto. Il presidente della Repubblica controfirma e dà il via libera al commissariamento. Il ricorso al Tar da parte degli ex amministratori per chiedere l’annullamento del decreto di scioglimento è solo eventuale (può benissimo non essere presentato) e, anche in caso di presentazione, sin tanto che il giudice amministrativo non annulla (eventualmente) il provvedimento di scioglimento, si può tranquillamente parlare di permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalità. Secondo dato: gli episodi contestati all’ex sindaco Callipo, al comandante della polizia municipale Caria, all’ex assessore all’Urbanistica Marino ed alla dirigente Stuppia non sono naturalmente al momento nella fase di alcun processo.
Il Comune di Pizzo e le omissioni sui Mazzotta. Ma cosa si trova spulciando nella stessa ordinanza del gip distrettuale che ha firmato l’operazione “Rinascita-Scott” con la contestazione nei confronti del sindaco, Gianluca Callipo (oltre che del reato di concorso esterno in associazione mafiosa) anche del reato di abuso d’ufficio per omissione, aggravato per aver agevolato l’operatività del clan Mazzotta? La ricostruzione del giudice è in tal senso illuminante.
“Per quanto riguarda Gianluca Callipo, giova precisare – scrive il gip Barbara Saccà – che l’introduzione della c.d. legge Bassanini, con il trasferimento delle competenze in tema di violazioni edilizie ai funzionari, non lo esimeva dal dovere di controllo e direttiva nei confronti degli uffici tecnici ed amministrativi del Comune, affinché fosse assicurata la corretta osservanza delle procedure”.
La vicenda ruota tutta attorno alle ordinanze del settore urbanistico del Comune di Pizzo, aventi ad oggetto la demolizione di opere abusive e la delibera di sgombero forzato riguardante i box commerciali detenuti da Paola De Caria e Francesca Mazzotta.
“Il mantenimento nella propria disponibilità materiale, da parte della madre e della sorella di Salvatore Mazzotta, in violazione alle ordinanze, è dato acquisito dalle dichiarazioni rese dalla stessa indagata De Caria e accertato dalla polizia giudiziaria che il 18 settembre 2017 ha constatato l’occupazione abusiva dei locali di proprietà comunale. Invero Paola De Caria è risultata possedere le chiavi di tutti i box oggetto dell’ordinanza di sgombero. L’assenza di titoli legittimanti la detenzione o il possesso dei locali è stata affermata anche dal responsabile dell’Ufficio Urbanistico del Comune di Pizzo, arch. Maria Alfonsina Stuppia, la quale ha riferito che le risultava che gli stessi non fossero occupati e che le chiavi erano nella disponibilità del comandante della polizia municipale, Enrico Caria”. Quest’ultimo riferiva che a seguito dell’esecuzione dell’ordinanza di sgombero da lui personalmente eseguita a settembre 2013, successivamente aveva riscontrato all’interno del locale sito sulla sinistra la presenza di Leonardo Greco, il quale continuava ad occupare abusivamente i locali, e che pertanto veniva da lui denunciato senza però procedere al sequestro dei locali stessi di piazza Mercato. Nel 2014 veniva inoltre emessa un’ordinanza di interdizione al pubblico traffico di piazza Mercato in quanto pericolante.
“Si appurava così che Paola De Caria aveva occupato abusivamente, in maniera continuata, senza essere in possesso di alcun titolo, i locali siti in Piazza Mercato del Comune di Pizzo, come si dimostrava dal fatto che la medesima forniva personalmente le chiavi e – rimarca il gip – dal fatto che all’interno dei locali vi fossero custoditi oggetti dalla medesima utilizzati per la conduzione della sua attività di ittica”.
Si può allora ritenere “pacificamente configurata l’omissione dolosa di cui all’art. 323 c.p (abuso d’ufficio) – conclude il giudice – rappresentata dall’inattività della pubblica amministrazione per non aver dato seguito all’ordinanza di sgombero. L’omissione si è tradotta consapevolmente nel vantaggio assicurato al privato di mantenere nella disponibilità dei locali pubblici per fini egoistici. Si configura il dolo di abuso d’ufficio anche in capo al sindaco Gianluca Callipo, il quale era bene a conoscenza della situazione di illegittimità che si stava protraendo. Ciò emerge altresì dal tenore delle conversazioni intercettate tra la De Caria e il figlio Salvatore Mazzotta e da una serie di conversazioni captate nel contesto di incontri tra il sindaco Callipo, il Mazzotta, Leonardo Greco (dipendente del Mazzotta) e Daniele Pulitano nel mese di maggio 2017”.
L’incontro del sindaco al bar. E’ una delle vicende centrali nella ricostruzione degli avvenimenti. Il 15 maggio 2017, i carabinieri riescono infatti a monitorare – attraverso un apposito servizio di osservazione – un incontro nel bar gestito da Daniele Pulitano alla presenza di Salvatore Mazzotta – all’epoca sorvegliato speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per quattro anni, già condannato nell’operazione “Ghost” per traffico di stupefacenti –, Leonardo Greco ed il sindaco Gianluca Callipo. “La polizia giudiziaria – sottolinea il gip – ha accertato la presenza di Gianluca Callipo, all’epoca sindaco uscente e in lizza per la competizione elettorale, lo stesso Pulitano e altri soggetti.Occorre precisare, altresì, che nel comunicare al Mazzotta l’appuntamento fissato con una terza persona – poi identificata nel sindaco Callipo – Pulitano Daniele precisava che quell’incontro era necessario per poter parlare di “quel discorso della piazzetta”, termine con il quale viene indicata comunemente a Pizzo la locale piazza del Mercato. All’interno del bar i carabinieri hanno trovato seduti attorno ad un tavolino il sindaco Callipo, Leonardo Greco, detto Nardo, ritenuto uomo di fiducia di Mazzotta Salvatore, ed un terzo soggetto.
Precisavano, inoltre, che la saletta del bar era dotata di un ulteriore accesso, costituito da una porta finestra che affaccia sulla via B. Musolino, quindi un’uscita secondaria, la quale al momento dell’accesso dei carabinieri risultava semi aperta”. E’ però un’intercettazione telefonica sull’utenza di Salvatore Mazzotta che lascia “ritenere – scrive il gip – che pure lui si trovasse seduto poco prima all’interno del bar di Pulitano in compagnia dei predetti soggetti e di essersi allontanato repentinamente. Infatti quando Leonardo Greco si trovava all’interno del bar ed in corrispondenza con l’ingresso dei carabinieri nel locale, Salvatore Mazzotta lo contattava al telefono esortandolo a raggiungerlo, adottando un’esternazione tipica – aggiunge il giudice – di quando due soggetti si trovavano insieme e si sono da poco separati (“E non te ne vieni?”). Va messo in evidenza che Leonardo Greco (al quale viene contestato insieme a Salvatore Mazzotta il reato di associazione mafiosa) è lo stesso soggetto che è stato visto continuare ad “occupare abusivamente i locali della “piazzetta”, adibiti a deposito dell’ittica della De Caria e dei Mazzotta, anche successivamente all’esecuzione dello sgombero forzato avvenuto nel settembre 2013”.
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