Traffico di reperti archeologici a Vibo: pm chiede processo per 11 indagati
L’inchiesta “Purgatorio 3” del Ros di Catanzaro, dalla Dda è passata alla Procura ordinaria una volta cadute le aggravanti mafiose. Fissata anche l’udienza preliminare
Associazione a delinquere finalizzata al traffico di reperti archeologici. Questa l’accusa per la quale il pm della Procura di Vibo Valentia, Filomena Aliberti (in foto), ha avanzato al gup richiesta di rinvio a giudizio per 11 indagati coinvolti nell’inchiesta denominata “Purgatorio 3” che mira a far luce sulle attività di alcuni presunti “tombaroli”.
La richiesta di processo interessa: Giuseppe Tavella, 55 anni, di Vibo Valentia (difeso dall’avvocato Giuseppe Pasquino); Francesco Staropoli, 57 anni, di Nicotera, commerciante di auto a Vibo (avvocati Sebastian Romeo e Maria Grazia Pianura); Giuseppe Braghò, 69 anni, di Vibo Valentia (avvocati Diego Brancia e Francesco Sabatino); Gaetano Scalamogna, 56 anni, di Vibo Valentia; Pietro Proto, 53 anni, di San Nicolò di Ricadi (avvocato Mario Santambrogio); Orazio Cicerone, 43 anni, di Nicotera (avvocato Francesco Miceli); Alberto Di Bella, 45 anni, di Vibo Valentia (avvocato Santino Cortese); Francesco Agnini, 61 anni, di Vibo Valentia (avvocato Sandro Franzè); Carmelo Pardea, 47 anni, di Vibo Valentia (avvocato Francesco Sabatino); Rosario Pardea, 55 anni, di Vibo Valentia (avvocato Dorotea Rubino); Luigi Fabiano, 48 anni, cittadino svizzero residente a Thun (avvocato Wanda Bitonte).
L’udienza preliminare. Il gup del Tribunale di Vibo Valentia, Lorenzo Barracco, letta la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm, ha fissato l’udienza preliminare per il 5 ottobre prossimo.
Le accuse. Il reato associativo fa riferimento allo scavo abusivo di un cunicolo in via De Gasperi a Vibo Valentia – in zona sottoposta a vincolo archeologico – nei pressi dell’area dedicata un tempo alla ninfa Scrimbia, finalizzato a condurre scavi archeologici non autorizzati per sottrarre, trafugare e commercializzare i numerosi reperti archeologici tutti di età compresa fra il quarto e sesto secolo A.C..
Al vertice della presunta associazione, la pubblica accusa – originariamente rappresentata dalla Dda di Catanzaro – collocava il boss della ‘ndrangheta di Limbadi Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta” (in foto, deceduto in carcere nell’ottobre 2015).
Il gip – e successivamente il Tdl – non ha ravvisato però alcuna aggravante mafiosa nelle contestazioni, rigettando le misure cautelari per come proposte dalla Dda di Catanzaro sulla scorta delle indagini del Ros di Catanzaro.
Le singole contestazioni. Giuseppe Tavella è accusato di essere stato il coordinatore e il finanziatore della presunta associazione, mentre altri presunti finanziatori del sodalizio vengono indicati in Francesco Staropoli, Orazio Cicerone e Pietro Proto, con Giuseppe Braghò ritenuto il presunto “anello di congiunzione” per la vendita e l’esportazione di reperti illecitamente trafugati. Agli scavi abusivi avrebbero invece provveduto, secondo l’accusa, i fratelli Rosario e Carmelo Pardea, mentre Alberto Di Bella viene indicato come l’affittuario dell’immobile di via Alcide De Gasperi sotto il quale era stato realizzato il tunnel abusivo per trafugare i reperti archeologici. Luigi Fabiano, ritenuto vicino a Braghò e Proto, si sarebbe infine occupato della commercializzazione dei reperti in Svizzera. Tali ultimi tre indagati si sarebbero anche impossessati di un capitello bizantino sottratto nel 2011 dal sito archeologico dell’Abbazia della Trinità di Mileto e trasportato per la vendita in Svizzera.
Altra contestazione. Escluso Fabiano, a tutti gli altri indagati viene contestato anche il reato di danneggiamento per la realizzazione nel 2010 del cunicolo sotterraneo fra via Scrimbia e via De Gasperi, al confine con i giardini dell’hotel “Vecchia Vibo”, per una lunghezza di 50 metri. Per una parte dei reperti qui rinvenuti, gli stessi indagati sono accusati di aver provocato la rottura. Secondo l’accusa, l’associazione avrebbe trafugato dall’antica stipe votiva di Scrimbia alcune statue e reperti fittili di ingente valore. Delle somme di denaro avrebbe beneficiato pure il defunto boss Pantaleone Mancuso. A causa di contrasti interni all’associazione, nei confronti di Braghò sarebbe stata ipotizzata – secondo l’accusa – pure una grave ritorsione.
Carmelo Pardea è il coniuge di un’attuale consigliera comunale di Vibo Valentia.