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‘Ndrangheta: i Restuccia e le accuse del pentito vibonese Andrea Mantella

I rapporti del costruttore Angelo Restuccia con Luigi e Pantaleone Mancuso ed i contatti con l’imprenditore Alfonso Annunziata

‘Ndrangheta: i Restuccia e le accuse del pentito vibonese Andrea Mantella

Ci sono anche le dichiarazioni di Andrea Mantella, il pentito della ‘ndrangheta di Vibo Valentia che dal maggio dello scorso anno sta collaborando con gli inquirenti, alla base delle accuse che hanno portato il Tribunale di Reggio Calabria a sequestrare beni per 28 milioni di euro ad Angelo Restuccia, 80 anni, originario di Rombiolo ma con aziende aventi sede a Mesiano di Filandari. [Continua in basso]

Andrea Mantella

Sono dichiarazioni recentissime, quelle di Andrea Mantella, datate 13 marzo 2017, e che permettono ai giudici reggini di sottolineare come “anche alla luce di tali indicazioni fornite dal collaboratore di giustizia, deve ritenersi che tutto il percorso imprenditoriale di Angelo Restuccia sia avvenuto sotto l’ala protettiva delle famiglie mafiose e pertanto, tenuto conto che la ditta individuale di Restuccia è stata avviata nel 1978,  la vicinanza di Restuccia alle cosche mafiose e la sua pericolosità sociale si deve collocare temporalmente a partire da tale epoca”.

Per il Tribunale Misure di Prevenzione di Reggio Calabria, Angelo Restuccia costituisce quindi “un esempio emblematico di imprenditore mafioso, che ha instaurato con la ‘ndrangheta, tanto reggina quanto vibonese, un rapporto interattivo fondato su legami personali di fedeltà e orientato ad un vantaggio economico, avendo certamente tratto dall’attiguità agli ambienti criminali un beneficio per la propria attività imprenditoriale”.

Le accuse di Mantella

Pantaleone Mancuso (“Vetrinetta”)

Sentito il 13 marzo 2017, Andrea Mantella ha affermato di aver “conosciuto Angelo Restuccia, detto don Angelo, nel periodo in cui Annunziata stava realizzando i lavori per la realizzazione di un centro commerciale a Ionadi”. Ha inoltre dichiarato che “Angelo Restuccia era nelle mani di Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni”, in un’epoca che gli inquirenti sulla scorta delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia collocano nel 2010. “So che don Angelo scendeva lì da Pantaleone e si incontrava nelle campagne – dichiara Mantella -, tanto è vero che io stavo acquistando a chiacchiere un capannone da questo Angelo” facendo “chiaramente intendere – sottolineano i giudici – che Restuccia fosse legato da tempo legato al predetto”.  Il Tribunale di Reggio Calabria evidenzia poi che “Andrea Mantella – scrivono – ha fatto chiaramente intendere che gli imprenditori Restuccia Angelo e Restuccia Vincenzo, indicati come fratelli da Mantella, erano da sempre stati nelle mani delle famiglie Mancuso e Piromalli”, con il collaboratore che sul loro conto così si esprimeva: “Storicamente tutti e due hanno fatto i soldi con i soldi dei Mancuso, poi può essere però che don Angelo – concludeva il collaboratore di giustizia – rispetto a Vincenzo la fa meno schifosa”.

I matrimoni dei Mancuso

Sono poi una serie di intercettazioni in cui a parlare è lo stesso Angelo Restuccia a svelare alcuni particolari che per i giudici appaiono significativi della vicinanza dell’imprenditore ai Mancuso. “Angelo Restuccia spiega al suo interlocutore – rimarca il Tribunale di Reggio – di essere stato invitato al matrimonio del figlio del boss Pantaleone Mancuso, alias “Vetrinetta” declinando però l’invito, ma di aver invece partecipato a quello di Luigi Mancuso celebrato a Nicotera il 2 ottobre 1988”.

Pantaleone Mancuso (Scarpuni)

Restuccia lasciava inoltre intendere come “l’invito al matrimonio del figlio di Pantaleone Mancuso, alias “Vetrinetta” rappresentasse una sorta di ricompensa per l’acquisto di 500 mila euro di materiale edile che gli era stato imposto da Salvatore Cuturello, genero del boss Giuseppe Mancuso e già condannato per associazione mafiosa”.

Sempre Angelo Restuccia rivelava poi di aver “intrattenuto rapporti pure con Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, che incontrava in un esercizio commerciale di Nicotera Marina ad insegna “Il Dodici” che fa capo alla ditta individuale di Roberto Giuseppe Cuturello, cugino di Salvatore Cuturello”.

Bastava il cognome

In occasione invece di un lavoro che Angelo Restuccia “stava eseguendo a Sant’Eufemia d’Apromonte, alcuni personaggi del luogo” si sarebbero recati da lui per chiedergli delle somme di denaro. Secondo quanto svelato dallo stesso imprenditore e ricostruito dai giudici, gli interlocutori reggini appena sentito il cognome Mancuso erano però scappati via, mentre in occasione di lavori da eseguire a Crotone risalenti ai primi anni ’90, Restuccia avrebbe “contattato Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta, che lo aveva fatto attendere alcuni giorni prima di iniziare i lavori, ricevendo appena iniziati gli stessi il benvenuto da tale Vrenna non meglio identificato”. Un “benvenuto” che lo stesso imprenditore così racconta al suo interlocutore nel corso di un’intercettazione:Benvenuto tra di noi, signor Restuccia, alla faccia del cazzo… tra di noi”.

Alfonso Annunziata e l’incontro a Caroni

Luigi Mancuso

Ancor più interessante è per i magistrati un dialogo del 21 dicembre 2013 in cui “Restuccia Angelo rivelava alla moglie di aver accompagnato Annunziata Alfonso ad un incontro avvenuto nella frazione Caroni di Limbadi al quale era presente tra gli altri tale Luigi. Il tenore della conversazione e i dettagli riportati da Restuccia circa le cautele adottate per raggiungere la suddetta località, atteso che non gli era stata rivelata preventivamente, nonché gli argomenti trattati nel corso di tale incontro, uniti agli elementi emersi da altri dialoghi intercettati, lasciano presupporre – concludono i giudici – che il predetto Luigi possa identificarsi in Mancuso Luigi”.

Da altri elementi investigativi (quali il luogo dell’incontro e l’età della persona da incontrare) gli inquirenti ritengono infatti seriamente che i due – Restuccia e Annunziata – si siano potuti incontrare con Luigi Mancuso. In ogni caso, i presenti all’incontro, appena appreso che Annunziata era stato accompagnato da Angelo Restuccia – sottolinea il Tribunale – erano “accorsi immediatamente a salutare Restuccia e ad abbracciarlo, chiamandolo con l’appellativo “il Padre Nostro”.

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