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“Rinascita”: il Riesame lascia in carcere gli imprenditori Artusa

I due fratelli, attivi nel settore dell’abbigliamento e con negozi a Vibo e Lamezia, sono accusati di molteplici reati e di essere partecipi al clan Mancuso

“Rinascita”: il Riesame lascia in carcere gli imprenditori Artusa
Mario e Maurizio Umberto Artusa

Restano in carcere gli imprenditori, attivi nel settoredell’abbigliamento, Mario e Maurizio Artusa, di 54 e 52 anni, di Vibo Valentia, indagati nell’operazione “Rinascita-Scott” della Dda di Catanzaro e condotta sul “campo” dai carabinieri. Il Tribunale del Riesame ha infatti respinto la loro richiesta di scarcerazione o gradazione della misura cautelare, confermando l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip distrettuale, Barbara Saccà. Si tratta di due figure centrali nell’inchiesta antimafia, accusati del reato di associazione mafiosa e altri reati come estorsione e turbata libertà degli incanti. In particolare, quali reali ed effettivi amministratori e gestori della società “Ottantasei srl”, con sede legale a Vibo Valentia su Corso Vittorio Emanuele III nr 23, sono accusati di aver reimpiegato denaro del clan Mancuso nell’attività societaria, offrendo abbigliamento a prezzi fortemente scontati, nonché collaborando nella gestione di attività estorsive e nella trasmissione di “imbasciate”, consapevoli “del ruolo svolto sul territorio dalla consorteria e dai suoi associati”, instaurando con l’una e con gli altri un rapporto di reciproci vantaggi, sfruttando la forza di intimidazione della cosca nei rapporti commerciali ed economici con i propri interlocutori. [Continua dopo la pubblicità]

In un caso il reato di estorsione  sarebbe stato messo in atto dai fratelli Artusa per riottenere la locazione degli immobili dove hanno sede le loro attività commerciali (a Vibo e Lamezia Terme). La prima ipotesi delittuosa contestata vede indagati per estorsione i vibonesi Maurizio Artusa, 52 anni, Mario Artusa, 54 anni, Gianfranco Ferrante, 56 anni, Emanuele La Malfa, 33 anni, di Limbadi, Vittorio Tedeschi, 77 anni, gioielliere anche lui di Vibo Valentia. Secondo l’accusa, i primi quattro avrebbero contattato il gioielliere Vittorio Tedeschi affinché si facesse latore delle loro pretese estorsive da riferire, tramite Vittorio Brancia, alla titolare dell’immobile sito a Vibo Valentia in via Vittorio Emanuele III n. 14, di proprietà della famiglia De Riso Paparo. I soggetti indagati, ed interessati alla locazione dell’immobile per le attività commerciali degli Artusa, avrebbero quindi evocato i loro collegamenti con il boss di Limbadi Luigi Mancuso, tentando di costringere Anna De Riso Paparo non solo a stipulare un contratto di locazione da lei non voluto, ma anche a subire condizione contrattuali deteriori rispetto a quelle da loro richieste (da 1.500 a mille euro) e, inoltre, peggiori rispetto a quelle offerte da altri potenziali contraenti. Il tentativo di estorsione (siamo nel novembre del 2015) non si verificava per la mancata presentazione, da parte dei fratelli Artusa, della fidejussione richiesta dai locatori.

Saverio Razionale

Altra ipotesi di estorsione viene poi contestata a Mario Artusa in concorso con Francesco Iannello, 40 anni, di San Gregorio d’Ippona ed il boss Saverio Razionale. I tre avrebbero dissuaso Pasquale Trimboli dal prendere in locazione (siamo nel gennaio 2015) lo stesso immobile dei De Riso Paparo benchè le parti si fossero già messe d’accordo per la locazione. Ancora estorsione per lo stesso immobile da parte dei due Artusa e del boss di San Gregorio, Saverio Razionale, anche nei confronti di Marco Fiorillo che nell’agosto del 2016 aveva ottenuto la disponibilità dell’immobile e stava effettuando dei lavori.

Gianfranco Ferrante

Quindi, l’estorsione alla famiglia Corigliano ed in particolare all’ex comandante della polizia municipale di Vibo Valentia Domenico Corigliano. In questo caso, insieme ai due Artusa, a Gianfranco Ferrante (imprenditore del Cin Cn bar) ed a Saverio Razionale, è indagato pure Giovanni Giamborino di Piscopio. I Corigliano erano intenzionati alla vendita dell’immobile e non alla sua locazione. “I fratelli Artusa – ricostruisce la Dda – parallelamente alle trattative per rientrare in possesso dell’immobile di Lamezia Terme, sfruttavano il legame con Saverio Razionale e l’appoggio economico di Gianfranco Ferrante anche per riavere in locazione l’unità immobiliare – sempre da adibire a negozio di abbigliamento – sita a Vibo Valentia su corso Vittorio Emanuele III nr. 31/33, anch’essa un tempo riconducibile alla società A S.r.l. In data 30 ottobre 2014 veniva avviata la procedura fallimentare della predetta società con procedimento del Tribunale di Vibo Valentia – Sezione Fallimentare”. La curatela, insediatasi a seguito della procedura fallimentare, aveva preso in carico l’immobile – comprensivo di arredi – prima locato dai Corigliano agli Artusa per il loro negozio. In data 16 luglio 2015 l’immobile veniva riconsegnato ai proprietari (i Corigliano) per il tramite del loro legale.

Giovanni Giamborino

In tale contesto, gli Artusa si mettevano a contrattare con il solo Domenico Corigliano. “Detta contrattazione veniva seguita e facilitata” da Giovanni Giamborino – spiega la Dda di Catanzaro –il quale, agendo su espresso mandato di Saverio Razionale e grazie allo storico rapporto di conoscenza che legava il proprio padre Giamborino Salvatore Giuseppe, detto Fiore, a Corigliano Domenicantonio, faceva da tramite tra le parti affinché si raggiungesse l’accordo finale, ovvero la locazione dei locali in favore degli Artusa. Lo stesso Giovanni Giamborino, d’altro canto, in più occasioni faceva chiaramente intendere che la sua opera di intermediazione non era tanto dettata dal rapporto che lo legava ai fratelli Artusa, ma conseguenza dell’esplicito “mandato” ricevuto da Saverio Razionale e dellagaranzia economica fornita da Gianfranco Ferrante, che, ancora una volta, fungeva da “cassiere” per gli investimenti delle cosche Mancuso e Razionale-Gasparro”.

La “spendita” del nome di Saverio Razionale “costituisce quella carica intimidatoria utilizzata per vincere le iniziali resistenze del Corigliano che non intendeva più locare l’immobile agli Artusa, quanto, piuttosto, venderlo per ottenere una maggiore liquidità da dividere con gli altri fratelli/comproprietari”.

L’intervento di Saverio Razionale – attraverso Giamborino e Ferrante – avrebbe quindi costretto Domenicantonio Corigliano, non solo a cedere nuovamente in affitto il locale agli Artusa (diversi gli incontri fra Corigliano e Giamborino), pur conoscendoli come “cattivi pagatori”, ma a farlo alle condizioni più favorevoli per questi ultimi, a discapito degli interessi personali e dei propri familiari, comproprietari dell’immobile in questione.

Luigi Mancuso

In tale circostanza, il boss di Limbadi Luigi Mancuso non si sarebbe mai esposto direttamente in favore degli Artusa, “lasciando tuttavia che se ne occupassero direttamente gli altri affiliati, ovvero Giovanni Giamborino – come mediatore – Gianfranco Ferrante – per la parte economica – e Saverio Razionale , per l’aspetto più marcatamente intimidatorio, confermando ancora una volta il suo ruolo di vertice rispetto agli assetti criminali locali”.

Turbata libertà degli incanti è poi il reato contestato ai due fratelli Artusa in concorso con Antonio Lopez Y Royo, 46 anni, di Vibo Valentia, imprenditore indagato a piede libero. In tale vicenda sono indagati pure Gianfranco Ferrante ed Emma Scarpino. Al fine di impedire la vendita a terzi di un’autovettura Range Rover, modello Evoque, di proprietà della società “A s.r.l.” (società dei fratelli Artusa) – dichiarata fallita dal Tribunale di Vibo Valentia con sentenza del 9 maggio 2014 – nel corso della procedura di vendita dei beni del patrimonio societario e, in particolare della suddetta autovettura, con mezzi fraudolenti avrebbero presentato a nome di Antonio Lopez Y Royo (in realtà – secondo l’accusa – mero prestanome dei fratelli Artusa) un’offerta d’acquisto pari ad 21.500,00 euro, senza avere realmente intenzione di provvedere al saldo del prezzo, ma solo al fine di evitare che altri si aggiudicassero il bene e di consentire che, successivamente, si procedesse nelle forme della trattativa privata. 

Mario Artusa

Antonio Lopez Y Royo insieme a Mario Artusa è poi indagato anche per il reato di trasferimento fraudolento di valori per l’intestazione fittizia di tale auto (con l’aggravante mafiosa) avvenuta nel maggio del 2017, mentre altra contestazione si riferisce al reato di ricettazione (sempre aggravato dalle finalità mafiose). Al fine di procurare a Mario Artusa un profitto, Antonio Lopez Y Royo “dopo avere acquistato o, comunque, ricevuto da Ruffa Francesco l’autovettura Range Rover, modello Evoque, di illecita provenienza, a lui nota, in quanto provento della estorsione a danno di Mondella”, avrebbe sostituito la targa originariamente apposta con una nuova, ostacolando così l’identificazione della provenienza delittuosa dell’autovettura”.

Umberto Maurizio Artusa

I rapporti con gli Artusa costano la contestazione del reato di turbata libertà degli incanti anche a Raffaele Lo Schiavo, 49 anni, di Vibo, commerciante nel settore dell’abbigliamento. In questo caso, nel luglio del 2016 al fine di impedire la vendita a terzi di uno stock di abbigliamento uomo/donna, di proprietà della società “A s.r.l.” degli Artusa – dichiarata fallita – nel corso della procedura di vendita di tale stock, sarebbe stata presentata a nome di Raffaele Lo Schiavo (ritenuto in realtà dagli inquirenti un mero prestanome dei fratelli Artusa) un’offerta d’acquisto pari a tremila euro, “senza avere realmente intenzione di provvedere al saldo del prezzo, ma solo al fine di evitare che altri si aggiudicassero il bene e di consentire che, successivamente, si procedesse nelle forme della trattativa privata”.

Gli Artusa sono poi indagati per concorso in tentata estorsione unitamente al gioielliere Vittorio Tedeschi, 77 anni, di Vibo Valentia, Gianfranco Ferrante (imprenditore del Cin Cin bar) ed Emanuele La Malfa. Secondo l’accusa, tramite “l’avvicinamento di Vittorio Tedeschi, “amico” di Luigi Mancuso nonché di Vincenzo Brancia, gli indagati Maurizio e Mario Artusa, Gianfranco Ferrante ed Emanuele La Malfa” avrebbero tentato di convincere il Brancia a locare l’immobile di proprietà della nobildonna Anna De Riso Paparo, sito a Vibo Valentia, in via Vittorio Emanuele III, n. 14 nel quale gli Artusa avevano intenzione di allestire il proprio negozio di abbigliamento.

Il matrimonio degli sposi in elicottero. Per il reato di  concorso in estorsione, aggravata dal metodo mafioso, sono infine indagati Mario Artusa,  Pasquale Gallone, di Nicotera, 59 anni, e Francesco Tomeo, 47 anni, di Nicotera. In particolare, Pasquale Gallone e Mario Artusa, dopo aver convocato nell’abitazione di Gallone il rappresentante legale della società “Lo Schiavo Catering srl” con sede a Vibo, ovvero Antonio Lopez Y Royo, gli avrebbero imposto un forte sconto per il servizio di ristorazione in occasione del matrimonio fra Antonio Gallone (figlio di Giuseppe Gallone, fratello di Pasquale) ed Aurora Spasari, figlia di Vincenzo Spasari, altro indagato ritenuto dall’accusa vicino al boss Luigi Mancuso. Secondo gli inquirenti, i tre indagati – Pasquale Gallone, Mario Artusa e Francesco Tomeo – avrebbero fatto intendere ad Antonio Lopez Y Royo che al matrimonio ed allo sconto ci “teneva assai lo zio”, ovvero quello che i carabinieri ritengono aver individuato nella persona di Luigi Mancuso.

Così facendo, gli indagati avrebbero costretto gli imprenditori Antonio Lopez Y Royo (titolare del servizio di catering) e Antonio Iellamo (titolare della Tenuta Klopè a Francavilla Angitola ove il banchetto nuziale aveva avuto luogo) a ricevere, complessivamente, 40 euro circa per invitato, in luogo del prezzo abituale (e precedentemente offerto) pari ad euro 115 per invitato (per un totale ricevuto pari a circa 13.000 euro per 300/320 invitati -) in luogo di circa 34.000 euro, procurando in tal modoa Giuseppe Gallone (padre dello sposo), Antonio Gallone (lo sposo) ed Aurora Spasari (la sposa) un ingiusto profitto, consistente nella differenza tra il prezzo abitualmente praticato e quello concesso a loro (pari a circa 20mila euro). Fatto di reato risalente al 14 settembre 2016.

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