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“Rinascita”: le infiltrazioni del clan Lo Bianco fra sanità ed Inps

Un capitolo dell’inchiesta della Dda è dedicato alle ingerenze mafiose nell’ospedale di Vibo, nelle cliniche private ed in diversi settori della pubblica amministrazione

“Rinascita”: le infiltrazioni del clan Lo Bianco fra sanità ed Inps
L'ospedale di Vibo Valentia

Non avrebbe risparmiato la sanità vibonese e neanche l’Inps il clan Lo Bianco nell’intenzione – riuscita, secondo gli inquirenti – di infiltrarsi pure in tali settori per accrescere il proprio potere sulla città di Vibo Valentia. Un intero capitolo dell’inchiesta “Rinascita-Scott” della Dda di Catanzaro e dei carabinieri è infatti dedicato all’infiltrazione dei clan nella “sanità vibonese e nell’Inps”. Le indagini hanno infatti consentito di appurare come gli uomini della consorteria mafiosa di Vibo Valentia si siano “infiltrati all’interno dell’ospedale civile Jazzolino – scrivono i magistrati della Dda – ponendo sotto controllo tutte le attività del nosocomio, dall’aspetto sanitario a quello amministrativo”. [Continua dopo la pubblicità]

Orazio Lo Bianco

In particolare, è emersa la figura di Orazio Lo Bianco, 46 anni, di Vibo Valentia, arrestato con l’accusa di associazione mafiosa, voto di scambio ed altri reati (nonché fratello del consigliere comunale di Vibo Alfredo Lo Bianco, finito ai domiciliari) quale figura predominante nella struttura sanitaria, “punto di riferimento per l’intera popolazione – anche per alcuni uomini delle istituzioni – da interessare per la risoluzione di qualsiasi tipo di problematica o per una semplice raccomandazione in campo sanitario”. La capacità penetrativa di Orazio Lo Bianco, stando alle indagini dei carabinieri, si sarebbe estesa anche sulla struttura sanitaria “Villa dei Gerani”, clinica privata ubicata a Vibo Valentia nei pressi del quartiere Cancello Rosso, in cui Orazio Lo Bianco “vantava la capacità di prenotare visite mediche ai propri amici a titolo di favore, finanche evitando di far pagare ai pazienti il ticket sanitario, nonostante fosse dovuto”.

Le complicità dei medici. La Dda di Catanzaro con il procuratore Nicola Gratteri ed i pm Camillo Falvo (attuale procuratore di Vibo), Annamaria Frustaci, Antonio De Bernardo ed Andrea Mancuso, è chiara su un punto: il clan Lo Bianco ha goduto negli anni – e tuttora gode – di complicità all’interno delle strutture sanitarie. “Tali poteri venivano riconosciuti ad Orazio Lo Bianco soprattutto in virtù delle complicità di medici e dipendenti delle strutture sanitarie, completamente asserviti ai desiderata del sodale”. Un dato che emerge, oltre che dalle indagini su Orazio Lo Bianco, anche dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Mantella.

Andrea Mantella

“Quest’ultimo delineava un quadro generale ancora più apocalittico, – sottolinea la Dda – rappresentando come il nosocomio vibonese fosse diventato col tempo un centro di potere per l’intera consorteria, dove venivano assunti i maggiori esponenti di quest’ultima a titolo di “favore”, i quali assumevano il controllo delle prestazioni erogate dalla struttura sanitaria”.

Tale capacità operativa dei sodali del clan Lo Bianco in seno alla sanità vibonese veniva riconosciuta persino da appartenenti alle Istituzioni. Infatti, tra i soggetti che avrebbero richiesto un intervento in proprio favore in campo sanitario vi erano anche agenti della Sezione di Polizia Stradale di Vibo Valentia. Con l’accusa di corruzione è infatti indagata (ha lasciato gli arresti domiciliari ma è scattata l’interdizione dal servizio per sei mesi) Daniela De Marco, 44 anni, di Filadelfia, poliziotta della Polizia stradale di Vibo Valentia.

Le infiltrazioni all’Inps. Le indagini hanno portato ad accertare che un cognato di Orazio Lo Bianco, trovandosi nella sede dell’Inps, veniva contattato da Lo Bianco al fine di “procurarsi una  visura (“stampata”) inerente le indennità di disoccupazione percepite da Rosario Raffa anche quest’ultimo cognato del Lo Bianco, poiché a suo dire quest’ultimo si stava appropriando indebitamente – ricostruisce la Dda – di una consistente somma di denaro che riteneva spettante a sé (ammontante a quattromila euro)”.

La visura di Raffa da recuperare. Il cognato di Orazio Lo Bianco avrebbe quindi rappresentato tutte le possibili difficoltà per  ottenere la visura di Rosario Raffa, ma Orazio Lo Bianco sarebbe stato categorico, “utilizzando toni imperativi con i quali costringeva il proprio interlocutore – rimarcano gli inquirenti – a soddisfare la sua richiesta. Il primo giungeva persino a ricattare il cognato, ipotizzando che qualora quest’ultimo non fosse riuscito ad ottenere quanto richiesto, Orazio Lo Bianco di conseguenza non avrebbe ritirato la cartella clinica della madre del cognato l’interlocutore: “Devi fartela fare, devi trovare la persona per fartela fare, vedi che cazzo devi fare per fartela fare…va bene? Anche a me – diceva Orazio Lo Bianco nelle intercettazioni – se me la fanno la prendo la cosa…la cartella clinica di tua madre, se voglio la prendo se non voglio non me la fanno no…devi trovare la soluzione per farla fare”.

Una cassa abbandonata nel cimitero di Bivona

Gli investigatori precisano a questo punto che Rosario Raffa risulta essere stato assunto dalla società Paradiso srl (attiva nel campo delle onoranze funebri) di Orazio Lo Bianco negli anni 2016 e 2017 per complessivi otto mesi. Lo stesso Orazio Lo Bianco, ascoltato a sommarie informazioni dai carabinieri, ha precisato che aveva assunto il cognato Rosario Raffa al fine di agevolarlo nell’ottenere dei permessi a seguito di misure restrittive della libertà personale applicate a suo carico.

Evidentemente la somma che Orazio Lo Bianco riteneva che il cognato Rosario Raffa gli stesse “ingiustamente sottraendo corrispondeva alle indennità di disoccupazione percepite da quest’ultimo, che lo stesso Lo Bianco pretendeva di incassare a fronte della “cortesia” di averlo assunto”.

Nicola Gratteri in conferenza stampa

Orazio Lo Bianco, dunque – che da ultimo gli inquirenti collocano all’interno della ‘ndrina dei Cassarola (ovvero la famiglia Pugliese guidata da Rosario Pugliese, allo stato irreperibile) – avrebbe sfruttato le proprie potenzialità per infiltrarsi negli ambienti della pubblica amministrazione, dall’ospedale all’Inps passando per il Comune di Vibo ed anche la Provincia (negli scorsi anni il fratello Alfredo è stato anche presidente della Provincia dopo la caduta di Andrea Niglia) al fine di ottenere uno scambio di favori, consistenti “in condotte comunque illecite – conclude la Dda – accrescendo la propria capacità di assoggettamento ed il prestigio criminale”. E le sorprese non finiscono qui…

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