‘Ndrangheta: Emanuele Mancuso e lo scontro fra i Soriano e gli Accorinti
Terminata la deposizione del collaboratore nel processo “Nemea”. Il ruolo di Luigi Mancuso, i carabinieri di Filandari presi di mira e gli affari con gli stupefacenti
Controesame del collaboratore di giustizia, Emanuele Mancuso, oggi dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia nell’ambito del processo nato dall’operazione “Nemea” contro il clan Soriano di Filandari. Collegato in videoconferenza, rispondendo alle domande dei difensori (avvocati Sergio Rotundo e Diego Brancia), Emanuele Mancuso ha ribadito il “carisma di cui gode Luigi Mancuso in seno alla famiglia di Limbadi” e non solo, un personaggio – zio del collaboratore – in grado di incutere timore e rispetto negli altri associati con poche parole. Sarebbe stato proprio Luigi Mancuso a dire la sua in ordine ai propositi distruttivi di Leone Soriano nei confronti dell’imprenditore Antonino Castagna, con Emanuele Mancuso che avrebbe consegnato allo zio un fascicolo processuale per provare che l’imprenditore aveva accusato il clan Soriano. Fascicolo letto e poi gettato nel caminetto da Luigi Mancuso. [Continua dopo la pubblicità]
“Capitolo” a parte i rapporti fra il clan Soriano e il boss di Zungri Giuseppe Accorinti. Su tale “fronte”, il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso ha confermato che Peppone Accorinti aveva un debito di settemila euro nei confronti di Giuseppe Soriano in relazione ad affari inerenti gli stupefacenti. “I rapporti fra Leone Soriano e Giuseppe Accorinti – ha rivelato Mancuso – non erano buoni e vi erano contrasti per il controllo del territorio. Leone Soriano voleva uccidere Giuseppe Accorinti e stessa cosa voleva fare il boss di Zungri nei confronti di Soriano”. Quindi il progetto dei Soriano di attentare alla vita di Domenico Cichello (coinvolto nell’operazione “Rinascita-Scott”), proprietario di un autosalone e ritenuto vicino agli Accorinti.
L’attacco di Leone Soriano ai carabinieri. Se Emanuele Mancuso ha affermato da un lato che Leone Soriano non gli parlò mai del progetto di attentati alla caserma dei carabinieri di Filandari (circostanza negata anche dallo stesso Leone Soriano nel corso di dichiarazioni spontanee), dall’altro ha ribadito a chiare lettere l’intenzione dello stesso Soriano di danneggiare mediante incendi le auto di alcuni carabinieri. In particolare, era stato preso di mira un militare dell’Arma residente nella zona di Caroniti ma il proposito (doveva dare il suo “contributo” anche Emanuele Mancuso) è poi sfumato per via dei continui controlli dei carabinieri anche perché in quel periodo – fra il 2017 e 2018 – (come riportato a più riprese dalla nostra testata) nella piccola frazione del comune di Joppolo, zona Monteporo, si continuava ad assistere ad un’escalation criminale con attentati di ogni tipo rivolti contro una famiglia di agricoltori della zona.
Leone Soriano e la pistola. Sarebbe stato Emanuele Mancuso a mettere in guardia Leone Soriano sulla possibilità che il clan Mancuso attentasse alla vita del boss di Filandari. “Mio zio Luigi Mancuso, ma anche Giuseppe Accorinti mi fecero capire di essere a conoscenza – ha riferito il collaboratore – di tutti i miei movimenti quando mi recavo dai Soriano a Filandari, ma anche dei movimenti dello stesso Leone Soriano”. Quest’ultimo, però, per nulla preoccupato degli “avvertimenti” di Emanuele Mancuso – a detta del collaboratore – si alzò in piedi e prese una pistola che nascondeva dentro casa spiegando al rampollo del clan di Limbadi che era pronto a scaricare tutto il caricatore nei confronti di chiunque si fosse avvicinato a lui, confidando di portare la pistola sempre con sé, persino quando si recava in caserma dai carabinieri per l’apposizione della firma quale sorvegliato speciale.
Giuseppe Soriano, le armi e gli stupefacenti. Altri particolari sono poi emersi in riferimento al sequestro di diverse micidiali armi da fuoco ritrovate dai carabinieri in alcuni terreni di Filandari. Secondo Emanuele Mancuso, all’atto del ritrovamento Giuseppe Soriano – nipote di Leone e figlio del defunto Roberto Soriano – gli avrebbe inviato dei messaggi via Whats App comunicandogli che tale scoperta gli aveva causato un danno enorme, con la sottrazione di pistole e fucili. In riferimento, invece, al traffico di sostanze stupefacenti, Emanuele Mancuso ha affermato che “Giuseppe Soriano controllava il mercato nel Vibonese e smerciava droga, arrivando nel 2017 a fare il boom con lo smercio di stupefacenti”.
Prima del collaboratore di giustizia, ad essere ascoltato in aula è stato Salvatore Todaro, per quasi vent’anni alla guida dei carabinieri della Stazione di Filandari. Rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, il teste (parte lesa nel processo) ha dichiarato di essere stato destinatario di due missive dal carcere che gli ha inviato Leone Soriano (con insulti e offese verso il comandante), mentre in epoca successiva ad altro carabiniere della Stazione di Filandari è stata incendiata l’autovettura. Dalle indagini dell’operazione “Nemea” – e in particolare dall’ascolto di alcune intercettazioni – è inoltre emerso il proposito del clan Soriano di progettare un attentato alla caserma dell’Arma. Prossima udienza il 18 marzo.
Gli imputati del processo “Nemea” sono: Leone Soriano, 54 anni, di Pizzinni di Filandari; Graziella Silipigni, 49 anni, di Pizzinni di Filandari, moglie del defunto Roberto Soriano (lupara bianca), fratello di Leone; Giuseppe Soriano, 29 anni, di Pizzinni di Filandari (figlio della Silipigni); Giacomo Cichello, 33 anni, di Filandari; Francesco Parrotta, 37 anni, di Filandari, ma residente a Ionadi; Caterina Soriano, 30 anni, di Pizzinni di Filandari (figlia di Graziella Silipigni); Luca Ciconte, 28 anni, di Sorianello, di fatto domiciliato a Pizzinni di Filandari (marito di Caterina Soriano); Mirco Furchì, 27 anni, di Mandaradoni, frazione di Limbadi; Domenico Soriano, 61 anni, di Pizzinni di Filandari (fratello di Leone Soriano); Domenico Nazionale, 34 anni, di Tropea; Rosetta Lopreiato, 51 anni, di Pizzinni di Filandari (moglie di Leone Soriano); Maria Grazia Soriano, 48 anni, di Arzona di Filandari; Giuseppe Guerrera, 25 anni, di Arzona di Filandari; Luciano Marino Artusa, 59 anni, di Arzona di Filandari; Alex Prestanicola, 29 anni, di Filandari.
L’inchiesta è stata condotta “sul campo” dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia con il coordinamento del pm della Dda di Catanzaro Anna Maria Frustaci. Nel collegio di difesa figurano gli avvocati: Giovanni Vecchio, Diego Brancia, Sergio Rotundo, Daniela Garisto, Giuseppe Di Renzo, Francesco Schimio, Mario Bagnato, Vincenzo Brosio, Gianni Russano, Salvatore Staiano e Pamela Tassone.
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