“Rinascita”: il pentito Arena ed i gruppi mafiosi che si dividono Vibo
La nascita di un nuovo “locale” di ‘ndrangheta, gli accordi fra i Lo Bianco-Barba ed i Pardea, i contrasti con il gruppo Mantella e le riunioni al cimitero
E’ la seconda metà degli anni ’80 e a Vibo Valentia è in atto una profonda trasformazione negli equilibri mafiosi. Una fase iniziata nel 1985 con la scomparsa di Antonio Arena e conclusa nel 1988 con l’omicidio a Pizzo di Francesco Fortuna, alias “Ciccio Pomodoro”, che sino a quel momento aveva preso in mano l’intera “società” di ‘ndrangheta con competenza sulla città. Un fatto di sangue – l’omicidio di Francesco Fortuna – rimasto ad oggi impunito, ma che potrebbe presto essere riaperto incrociando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pasqualino D’Elia e Michele Iannello con quelle dei più recenti fuoriusciti dalla ‘ndrangheta come Andrea Mantella, Raffaele Moscato e Bartolomeo Arena. [Continua dopo la pubblicità]
Proprio Bartolomeo Arena in un recente verbale risalente al 18 ottobre scorso e finito agli atti dell’operazione “Rinascita-Scott” offre la sua chiave di lettura sugli sviluppi criminali a Vibo Valentia. Dopo tale fatto di sangue, il futuro collaboratore si lega infatti ad Andrea Mantella così come un po’ tutti quelli del suo gruppo. “Dopo i 16 anni – racconta Arena – ho frequentato molto il cugino di Andrea Mantella, Giuseppe Mantella, colui che è morto in un incidente di moto, e poi mi sono legato ad Antonio Grillo. Giunto all’età di sedici anni volevo affiliarmi alla ‘ndrangheta per il tramite dei miei amici Antonio Grillo, detto Totò Mazzeo e Nicola Lo Bianco, figlio di Sicarro”.
Il direttore di banca accoltellato. In quel periodo facevo per loro conto danneggiamenti, tagliavo pneumatici alle macchine o le incendiavo, una volta per fare un favore a Ferruccio Bevilacqua ed a Paolino Lo Bianco ho accoltellato il direttore della Bnl di Vibo, un soggetto originario di Messina, il quale abitava sopra la Latteria dei Sole. Restai “dormiente” fino al 2006 su consiglio del predetto Totò Mazzeo in quanto non sapevo ancora cosa c’era dietro l’omicidio di mio padre. Nel frangente me ne andai a Bologna con Fortunato Mantino, suocero di Salvatore Tripodi, perlavorare nel campo delle assicurazioni. Sono stato a Bologna dal 2001 al 2003 circa”.
L’idea di formare un nuovo “locale”a Vibo. Secondo il racconto di Bartolomeo Arena nel 2006 – qualche mese prima degli arresti contro il clan Lo Bianco eseguiti nel febbraio del 2007 nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Nuova Alba” – i vibonesi avrebbero coltivato il proposito di formare un nuovo “locale” di ‘ndrangheta sulla città capoluogo. I maggiorenti della consorteria – Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni” e Domenico Camillò (secondo Arena particolarmente accreditato al Crimine di Polsi, cioè a San Luca) – decisero di andare a trovare a Rosarno Domenico Oppedisano che da lì a poco verrà eletto capo crimine dell’intera ‘ndrangheta. Don Mico Oppedisano avrebbe condotto i vibonesi sino a Marina di Gioiosa Ionica dai fratelli Rocco e Giuseppe Aquino i quali – stando al racconto di Bartolomeo Arena – avrebbero consigliato Carmelo Lo Bianco e Domenico Camillò di discutere del loro proposito anche con Giuseppe Commisso di Siderno, alias “U Mastru”, all’epoca a capo dell’intera struttura di ‘ndrangheta denominata “Provincia”. Tuttavia in quell’occasione Giuseppe Commisso non si trovava in zona e ogni discorso sulla nascita di un nuovo “locale” di ‘ndrangheta a Vibo Valentia venne rimandata. Gli arresti nelle fila del clan Lo Bianco-Barba nell’ambito dell’operazione “Nuova Alba” fecero quindi sfumare nel 2007 il proposito per la nascita della struttura di ‘ndrangheta.
Della formazione del “locale” di ‘ndrangheta a Vibo Valentia – riconosciuto come tale dal Crimine reggino – se ne ritornò a parlare, quindi, nel 2011 con l’idea di ricomprendere sia gli esponenti legati ai Lo Bianco-Barba, sia quelli legati ai Pardea, detti Ranisi, anche perché nel frattempo iniziarono le scarcerazioni di alcuni sodali precedentemente tratti in arresti nell’operazione “Nuova Alba” (ad ulteriore conferma che il carcere, così come attualmente strutturato, non svolge quasi mai alcuna funzione rieducativa dei condannati).
L’affiliazione di Bartolomeo Arena. “Mio zio Mimmo Camillò, che precisamente è primo cugino di mio padre, ma mi ha cresciuto come uno zio, è colui il quale ha le doti più elevate nella provincia di Vibo Valentia in virtù dei rapporti – spiega Bartolomeo Arena – che intrattiene con gli esponenti di vertice del locale di Rosarno, quali Umberto Bellocco e don Mico Oppedisano. Verso il 2011 invitai nuovamente mio zio a formare il locale di ‘ndrangheta a Vibo, ma lo stesso non era convinto e, soprattutto, cercando da uomo saggio sempre la pace, non voleva assumere questa iniziativa senza coinvolgere i Lo Bianco. A seguito della scarcerazione di alcuni sodali dell’operazione Nuova Alba, chiesi a Lele Franzè, detto “Lo Svizzero”, di poter essere affiliato, il quale decise di parlarne con lo zio Mimmo e con Antonio Macrì, padre di Domenico”.
Il timore per Andrea Mantella. Il racconto del collaboratore di giustizia svela quindi l’evoluzione della vicenda, con Raffaele Franzè (deceduto lo scorso anno e condannato in Nuova Alba quale “contabile” del clan Lo Bianco) ed Antonio Macrì che “inizialmente temevano la possibile irritazione che avrebbe potuto avere Andrea Mantella dopo la sua scarcerazione. Tuttavia – rivela Arena – si decise di non attendere la sua scarcerazione, ma di informarlo successivamente. In particolare Andrea Mantella sarebbe stato avvisato da Antonio Macrì, mentre Carmelo Lo Bianco sarebbe stato avvisato da mio zio Mimmo Camillò. La cerimonia avvenne nel 2012 alla presenza dello zio Mimmo Camillò, Raffaele Franzè, Antonio Macrì e Raffaele Pardea.
Venne battezzato il locale con la tipica formula e successivamente mi venne fornita la dote di picciottoed anche quella della camorra, con la pronuncia della relativa formula di iniziazione che per la camorra prevedeva la fuoriuscita di sangue dal braccio attraverso pungitura, cioè la “tirata”. Io fui il primo della famiglia ad essere battezzato e successivamente portai tutti gli altri giovanotti ad essere battezzati”.
Bartolomeo Arena indica quindi agli inquirenti una serie di soggetti che sarebbero stati affiliati alla ‘ndrangheta di Vibo Valentia e sui quali sono in corso i necessari approfondimenti investigativi. Al gruppo di Bartolomeo Arena e compagni, secondo il collaboratore, avrebbe aderito anche Salvatore Furlano, 52 anni, di Vibo Valentia, arrestato nell’operazione “Rinascita-Scott”, il quale si sarebbe “chiamato il posto di camorrista , dote avuta in carcere e, successivamente, gli venne conferito lo sgarro”.
La “tragedia” nei confronti di Lello Pardea. “Ad altri soggetti venne quindi conferita una dote di ‘ndrangheta più elevata – sottolinea Bartolomeo Arena – come nel caso di Lello Pardea cui doveva essere conferita la Santa. A seguito di ciò i Lo Bianco erano risentiti, tanto che venne architettata una tragedia da parte di un cugino di Andrea Mantella, ovvero Salvatore Mantella. Venne portata avanti l’accusa nei confronti di Lello Pardea, che avrebbe detto cose compromettenti mentre era intercettato in carcere, circostanza che però non fu mai dimostrata con l’esibizione di carte o documenti, ragion per cui alla fine gli fu conferita la dote della Santa e successivamente anche doti più alte”.
La riunione al cimitero di Vibo. Nel 2012, in prossimità della ricorrenza della commemorazione dei defunti, venne così organizzata una riunione al cimitero di Vibo Valentia, alla quale presero parte gli esponenti dei due gruppi che avevano da poco formato il nuovo locale di ‘ndrangheta, ciò affinché ciascun affiliato potesse conoscere gli affiliati dell’altro gruppo e comprendere se la dote da ciascuno posseduta era maggiore, minore o uguale alla propria.
“La riunione venne organizzata al cimitero di Vibo Valentia –ricorda Bartolomeo Arena – con la nomina a capo società di Enzo Barba, mentre Totò Macrì venne nominato contabile in modo da rappresentare le due “anime” del nuovo locale di ‘ndrangheta. Furono poi fatte tutte le altre cariche e, successivamente, furono rimpiazzati altri ragazzi dell’una e dell’altra parte ed anche io ho rimpiazzato un ragazzo dei Lo Bianco. Io sono stato il primo ad essere nominato picciotto di giornata”.
Le nuove doti di ‘ndrangheta a Vibo. “Prima di tale riunione ricevetti la dote dello Sgarro da parte di Paposcia e Antonio Macrì, che è stato colui che mi ha tagliato il pollice della mano destra, e poi abbiamo bruciato il santino di San Michele. Intuendo l’elevarsi delle nostre doti anche i Lo Bianco-Barba si riunirono per alzare le doti ai soggetti vicini a loro. Si trattava di un locale di ‘ndrangheta comunque non formalmente riconosciuto da Polsi. I vibonesi preferivano non essere riconosciuti perché il riconoscimento comportava una serie di oneri e responsabilità, obblighi di fare favori alle altre consorterie, mentre i vibonesi hanno sempre preferito accontentarsi di comandare a Vibo Valentia, senza però essere vincolati all’esterno”.
Morelli, Mommo Macrì e Antonio Pardea e i Pugliese. Della nuova formazione ‘ndranghetista a Vibo Valentia, secondo Bartolomeo Arena, nel 2012 non entrarono a fame parte tre esponenti del gruppo guidato da Andrea Mantella che in quel momento si trovava detenuto in carcere. Si tratta di Salvatore Morelli, Domenico (Mommo) Macrì, e Antonio Pardea i quali “avevano ottenuto elevate doti in carcere e temevano il mancato riconoscimento delle medesime”. Dal nuovo locale di ‘ndrangheta di Vibo rimanevano nel 2012 esclusi anche i componenti della famiglia Pugliese, alias Cassarola, “in virtù degli insanabili contrasti con i Pardea, detti “Ranisi”. Salvatore Morelli e Rosario Pugliese si sono resi irreperibili a dicembre per sfuggire l’operazione “Rinascita-Scott” che li vede raggiunti da ordinanza di custodia cautelare in carcere.
In tale contesto a Domenico Rubino (60 anni, di Vibo Valentia, già condannato in Nuova Alba e arrestato in “Rinascita-Scott”), secondo Bartolomeo Arena, Enzo Barba non avrebbe riconosciuto la dote di ‘ndrangheta del “Quartino” che gli sarebbe stata conferita in carcere dagli Oppedisano e da Papaluca, esponenti della ‘ndrangheta reggina.
I due gruppi dell’unico locale. Nonostante facessero parte di un’unica struttura di ‘ndrangheta, i due gruppi criminali Lo Bianco-Barba e Pardea (“Ranisi”), ad avviso del collaboratore di giustizia, sarebbero rimasti due anime distinte: i Lo Bianco-Barba intenzionati a mantenere l’influenza che i Mancuso avevano sulla città di Vibo, i Pardea (ai quali aveva aderito Bartolomeo Arena) intenzionati invece a non accettare l’ingerenza dei mafiosi di Limbadi e Nicotera.
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