‘Ndrangheta: ripreso il processo “Dinasty” a carico di Domenico Mancuso
E’ accusato di associazione mafiosa ed il dibattimento è stato per anni sospeso in attesa del deposito di una perizia medico-legale sulla capacità dell’imputato di stare in giudizio
Due testi chiamati a deporre stamane nel processo stralcio scaturito dall’operazione antimafia denominata “Dinasty” che vede sul banco degli imputati per associazione Domenico, alias “Mico”, Mancuso, 42 anni, figlio del boss della ‘ndrangheta Giuseppe Mancuso (alias “’Mbroghja”) di Limbadi. Il dibattimento si sta svolgendo dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto dal giudice, Lucia Monaco, e stamane sono statei sentiti in aula Giuseppe Palmieri e Francesco Valenti, quest’ultimo imprenditore di San Calogero. Tale ultimo teste, parte offesa nel troncone principale del processo “Dinasty” già concluso da anni con verdetti definitivi della Cassazione che hanno sancito per la prima volta in sede giudiziaria l’esistenza del potente clan di Limbadi, su molte circostanze ha riferito di ricordare ben poco, trattandosi di fatti risalenti a quasi venti anni fa.
L’imprenditore, attivo nel settore del calcestruzzo, ha riferito del suo coinvolgimento nella prima operazione contro il clan Mancuso risalente al giugno 1984 (Francesco Mancuso + 199) dalla quale è stato però assolto con formula ampia. Una vicenda giudiziaria che ha portato poi l’imprenditore ad allontanarsi dalla realtà locale. Per la prossima udienza è previsto l’esame in aula dell’ispettore della Squadra Mobile di Vibo, Antonio Condoleo, uno dei principali investigatori dell’inchiesta “Dinasty”.
La ripresa del processo a carico di Domenico Mancuso (in foto) era stata resa possibile dal deposito di una perizia del professore Giulio Di Mizio, medico legale e perito del Tribunale che aveva riscontrato nell’imputato un deficit cognitivo di grado lieve non incidente sulla capacità di stare in giudizio.
Domenico Mancuso viene indicato dalla Dda di Catanzaro, sulla scorta delle indagini svolte all’epoca dalla Squadra Mobile di Vibo, come esponente di spicco dell’articolazione mafiosa della “famiglia” Mancuso che fa capo al padre Giuseppe Mancuso ed allo zio Diego Mancuso.
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