Giustizia lumaca, la lettera: «Mi chiamo Raffaele e sono disperato»
Un 59enne di Serra San Bruno attende da anni il pronunciamento di un giudice e si trova ora a scontare anche il blocco delle udienze a causa dell’inagibilità del nuovo Palazzo di giustizia di Vibo. Ecco il suo drammatico appello raccolto dal sindacato Slai Cobas
«L’assetto organizzativo conseguente al recente processo di riordino del settore della Giustizia ha determinato un progressivo smantellamento di molti presidi giudiziari minori presenti sul territorio e un conseguente congestionamento dei Tribunali. Un provvedimento che, in particolare nel Vibonese, ha avuto un effetto domino devastante a discapito delle condizioni di molti cittadini che da anni cercano giustizia, ma che proprio per la grossa mole di procedimenti giudiziari che intasano il Tribunale di Vibo Valentia sono costretti ad attese eterne».
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A riferirlo in una nota è il sindacato Slai Cobas di Serra San Bruno, portando all’attenzione della stampa il caso di un suo assistito giunto sull’orlo della disperazione a causa di una causa di lavoro i cui tempi sono andati dilazionandosi a dismisura, gettando l’uomo, un 59enne serrese, e la sua famiglia in uno stato di estrema difficoltà economica.
«Il tutto – prosegue il sindacato – in un territorio in cui i rappresentanti politici (anche rispetto allo smantellamento dei presidi giudiziari, quali ad esempio le sedi dei Giudici di Pace) hanno saputo produrre nel tempo solo annunci fumosi, condannando ancor di più alla miseria assoluta interi nuclei familiari».
È il caso, come detto, di Raffaele Grillo, invalido civile con tre figli e moglie a carico, che da tre anni attende invano una sentenza che viene reiteratamente rinviata e del quale riportiamo un’emblematica lettera:
Mi chiamo Grillo Raffaele, ho 59 anni, e sono un lavoratore riservista licenziato da circa quattro anni. E sono anche disperato.
Disperato perché da anni non lavoro e non ho la possibilità di mantenere me stesso e la mia famiglia e da anni sono in attesa di una giustizia che non arriva mai. E questa è la mia storia che affido alla stampa ed agli organi di informazione perché le diano voce, perché la mia di voce non basta più, come non basta la fiducia in una giustizia che cessa di essere giusta, a prescindere dai provvedimenti che adotta e dalle sentenze che pronuncia, laddove ritarda, come nel mio caso, a dare risposte ai cittadini che sono costretti a chiederne l’intervento.
Una voce che spero porti dei cambiamenti in un mondo di sordi, o apparenti, tali quale quello in cui mi sembra ormai da anni di vivere, essendo rimaste senza esito le mie richieste ed i miei appelli e, con essi, le mie speranze.
Questi i fatti. Lavoravo sin dal 2010 con una società di pulizie in virtù di un contratto di inserimento e di una pluralità di contratti a tempo determinato protrattisi oltre i termini massimi previsti dalla legge e che inoltre presentavano diverse altre illegittimità che a suo tempo avevano determinato la società datrice di lavoro, Gestione Servizi Integrati di Ivrea, di stipulare un accordo in sede sindacale con il sottoscritto riconoscendo la natura di contratto a tempo indeterminato del proprio rapporto pur di impedire l’altrimenti inevitabile contenzioso.
Ciononostante la Ariete Servizi Integrati di Modugno, subentrata alla prima, decideva di non tener conto di niente non assumendo il sottoscritto che, pertanto, dal 31 luglio 2013, è ormai senza lavoro.
Esauritosi il periodo di fruizione della disoccupazione ordinaria sono ormai anni che non percepisco niente, risultando per di più praticamente impossibile per un uomo della mia età e nelle mie condizioni di salute trovare altra occupazione. Ragion per cui la mia unica speranza era e rimane il giudizio tempestivamente iniziato presso la Sezione Lavoro del Tribunale di Vibo Valentia con ricorso depositato nel marzo del 2014.
Giudizio da cui ragionevolmente, ritenendo fondate le mie ragioni, mi aspetto molto confidando in una sentenza che possa ridare un po’ di luce e di colore alla mia vita e a quella dei miei familiari. Si può quindi immaginare il mio stato d’animo di fronte all’ulteriore rinvio della causa prevista per lo scorso 15 marzo 2017 comunicatomi dal mio legale di fiducia a causa, mi si riferisce, di una sospensione dell’attività della Sezione Lavoro.
Il tutto senza che nei tre anni pieni trascorsi dal momento del deposito del ricorso si sia mai riusciti a fare anche una sola udienza. Di rinvio in rinvio infatti a distanza di tre anni ancora non si è avuta neanche una sola possibilità di discutere la causa. In un’occasione mancava il Giudice titolare, in un’altra era stato trasferito senza essere sostituito, in un’altra ancora si aspettava da un momento all’altro l’arrivo del nuovo Giudice.
E dopo l’arrivo e l’insediamento, un altro rinvio perché il Giudice appena arrivato era stato già trasferito! Tutto vero e verificabile. Oggi le ragioni dell’ulteriore rinvio (non si sa nemmeno a quando…) risiedono nella inagibilità, mi si dice, del nuovo Palazzo di Giustizia tanto che, con poche eccezioni, tutti i procedimenti di lavoro e previdenza sono stati sospesi anche se il problema del Giudice mancante, anche qui a quanto mi si riferisce, continua ad esserci.
Risultato: la mia causa, quella da cui dipende tutto il mio futuro e tutta la mia vita, e che pur poteva risolversi in una sola udienza non necessitando di prove particolari ma solo di un Giudice che la decidesse, a distanza di tre anni, naviga nel limbo o, per meglio dire, nella palude in cui la giustizia italiana in generale evidentemente si trova ed annaspa in maniera irreversibile. A tutto danno dei cittadini.
Io non so se ci sono colpe e responsabilità specifiche e, se vi sono, non ne conosco gli autori. Quello che so è che vorrei che qualcuno – qualcuno che conta e che può fare qualcosa – sentisse il mio che è un vero e proprio grido di dolore e di disperazione e mi desse una risposta.
Una risposta qualsiasi invece dell’assordante silenzio delle istituzioni che, incuranti della sofferenza di chi non chiede altro che di poter lavorare per vivere dignitosamente, fanno scivolare via il tempo senza dare un segno di vita e senza preoccuparsi minimamente del tormento che questo inutile stillicidio di giorni provoca a chi come aspetta di avere giustizia. Sperando di averla.