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“Rinascita”: il Riesame conferma le accuse per i principali indagati

Carcere per gli esponenti di spicco dei clan Accorinti, La Rosa, Lo Bianco, Soriano, Mancuso e Barba. L’avvocato Renda ai domiciliari, rigetto per il dentista Redi. Libero Scriva

“Rinascita”: il Riesame conferma le accuse per i principali indagati
Ambrogio Accorinti

Regge per la gran parte delle posizioni l’inchiesta “Rinascita-Scott” della dda di Catanzaro e dei carabinieri. Il Tribunale del Riesame ha infatti rigettato i ricorsi dei principali indagati e confermato l’ordinanza di custodia cautelare. In particolare restano detenuti in carcere i fratelli Pietro ed Ambrogio Accorinti, rispettivamente di 59 e 57 anni, di Zungri, Antonio La Rosa, 58 anni, di Tropea, Domenico Polito, 56 anni, di Tropea, Orazio Lo Bianco, 46 anni, di Vibo Valentia, Gaetano Cannatà, 46 anni, di Vibo Valentia, Franco Barba, 58 anni, Antonio Scrugli, 54 anni, di Vibo Valentia, Leone Soriano, 54 anni, di Pizzinni di Filandari, Francesco Parrotta, 37 anni, di Ionadi, Graziella Silipigni, 49 anni, di Pizzinni di Filandari, il dentista Agostino Redi, 58 anni, di Limbadi.

Antonio La Rosa

Passano invece dal carcere agli arresti domiciliari: l’avvocato Vincenzo Renda, 49 anni, di Vibo Valentia (avvocati Diego Brancia e Francesco Gambardella), Mario De Rito, 46 anni, di Ionadi (avvocati Sergio Rotundo e Diego Brancia), Michele Lo Bianco, 21 anni, di Vibo Valentia (avvocati Diego Brancia e Santo Cortese).

Dal carcere ritornano invece liberi: Giuseppe Scriva, 60 anni, di Vibo Valentia, residente a Roma (difeso dall’avvocato Gianni Puteri), Andrea Prestanicola, 34 anni, di Ionadi (avvocati Gianni Puteri e Piero Chiodo). Dagli arresti domiciliari passa all’obbligo di firma Francesco Ruffa, 42 anni, di San Gregorio d’Ippona (difeso dall’avvocato Gianni Puteri).

Pietro Accorinti

Pietro ed Ambrogio Accorinti sono accusati del reato di associazione mafiosa. Avrebbero coadiuvato il fratello Giuseppe nelle attività delittuose del locale di ‘ndrangheta di Zungri. Ad Ambrogio Accorinti viene anche contestato di aver detenuto armi e di aver chiuso arbitrariamente  e abusivamente – in concorso con Paolo e Angelo Accorinti –la strada comunale Zungri-Daffinà per far pascolare il proprio gregge di pecore.

Domenico Polito

Associazione mafiosa è anche il reato contestato a Leone Soriano, promotore e capo dell’omonimo clan di Pizzinni di Filandari al quale avrebbero aderito anche la cognata Graziella Silipigni (moglie del defunto Roberto Soriano), e Francesco Parrotta, quest’ultimo con compiti esecutivi, adoperandosi per la custodia di armi e mezzi logistici, da custodire in luoghi attigui alla propria proprietà sita a Ionadi alla contrada Caravizzi.

Promotore e capo dell’omonimo clan di Tropea l’accusa per Antonio La Rosa, alias “Ciondolino”, che avrebbe operato con accanto Domenico Polito, quest’ultimo indicato come elemento di collegamento fra il clan La Rosa, il clan Mancuso ed Agostino Papaianni.

Gaetano Cannatà

Associazione mafiosa l’accusa anche per Gaetano Cannatà (clan Lo Bianco di Vibo Valentia). Per lui pure la contestazione di concorso in usura aggravata dalle finalità mafiose. Associazione mafiosa il reato anche per Franco Barba (clan Lo Bianco-Barba), che risponde pure di intestazione fittizia di beni in concorso con Luigi Mancuso, Giovanni Rizzo e Pasquale Gallone. Franco Barba è poi accusato insieme ad Enzo Barba, Paolino Lo Bianco ed al defunto boss di Vibo Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni”, di aver attribuito fittiziamente all’imprenditore Peppino Mancini (pure lui deceduto), già controllore del pacchetto di maggioranza azionaria e con incarichi direttivi e di amministrazione, la titolarità di una parte del pacchetto azionario dell’Hotel 501, immettendo nelle casse della famiglia Mancini la somma di euro 1.200.000 (un milione e duecentomila euro), parte dei quali (almeno circa 300.000 euro) facenti parte della cassa del clan Lo Bianco-Barba.

L’imprenditore Antonio Scrugli è invece accusato di far parte del clan Mancuso e, quale reale ed effettivo titolare e gestore della ditta denominata “Naturella Frutta” con sede legale in Vibo Valentia in via Moderata Durant, avrebbe devoluto alla cosca somme di denaro nonché prodotti ortofrutticoli.

Agostino Redi

Agostino Redi è invece accusato (associazione mafiosa) di aver sfruttato la sua veste di professionista (medico dentista), estraneo (apparentemente) ai circuiti più rinomati della criminalità organizzata, per aiutare Luigi Mancuso a muoversi sul territorio, accompagnandolo personalmente, quando necessario, con la propria autovettura, così da garantirgli un sostanziale anonimato, rendendo più complesse e difficoltose le indagini della polizia giudiziaria. Redi avrebbe altresì veicolato messaggi ed imbasciate nei confronti degli accoliti e della consorteria (in generale) e di Luigi Mancuso (nello specifico).

Vincenzo Renda

Associazione mafiosa (clan Mancuso) anche l’accusa per l’avvocato Vincenzo Renda. “Quale direttore tecnico e comproprietario della società “Genco Carmela e Figli Srl”, con sede legale in Vibo Valentia – si legge nel capo di imputazione – nonché amministratore unico delle società “Calfood srl e Itc srl” con sede a Vibo, avrebbe devoluto al clan Mancuso “somme di denaro secondo prestabilite scadenze temporali, consapevole del ruolo svolto sul territorio dalla consorteria e dai suoi associati, instaurando con l’una e con gli altri un rapporto di reciproci vantaggi”: il clan avrebbe ricevuto risorse economiche a scadenze fisse, l’imprenditore avrebbe goduto di “tutela e protezione da possibili aggressioni da parte di altre consorterie”.

Mario De Rito (accusato del reato di associazione mafiosa), ad avviso degli inquirenti, dopo aver servito Giovanni Mancuso, sarebbe stato “reclutato” da Andrea Mantella in nome e per conto del quale avrebbe svolto l’attività di recupero crediti con modalità mafiose, riscuotendo i proventi delle estorsioni nella zona di Vena Superiore e Vena di Ionadi.

Michele Lo Bianco

Michele Lo Bianco (cl. ’99) avrebbe invece coadiuvato i “sodali Orazio Lo Bianco e Rosario Pugliese (alias “Cassarola”) nella gestione del settore delle pompe funebri, fornendo – secondo l’accusa – il suo contributo per ottenere, in maniera truffaldina, il pagamento di commesse da parte del Comune di Vibo Valentia e, rendendosi disponibile, a farsi intestare fittiziamente attività imprenditoriali, di fatto, riconducibili a Rosario Pugliese e collaborando nella gestione delle stesse”.

Giuseppe Scriva

Il commerciante, e già testimone di giustizia, Giuseppe Scriva è pure lui accusato del reato di associazione mafiosa. Per il gip distrettuale di Catanzaro,  pur non risultando formalmente affiliato quale “uomo d’onore” della ‘ndrangheta vibonese, avrebbe operato per conto di essa, a sostegno di esponenti della cosca Fiarè-Gasparro-Razionale di San Gregorio d’Ippona e della cosca Mancuso di Limbadi e Nicotera, “riciclando sistematicamente il denaro provento delle attività illecite di tali clan, , anche attraverso il cambio di assegni post datati, giungendo a riciclare (per sua stessa ammissione, nel corso delle conversazioni intercettate) fino a venti/trenta milioni si vecchie lire al giorno – rimarca il gip – e fino a seicento milioni di lire al mese dal 1990 all’attualità, al punto che Razionale ne tesseva le lodi sottolineando come Giuseppe Scriva fosse divenuto un vero e proprio punto di riferimento nel panorama criminale vibonese poiché riciclava per tutti”. 

Andrea Prestanicola

Associazione mafiosa (clan Mancuso), l’accusa anche nei confronti di Andrea Prestanicola. Quale reale ed effettivo titolare e gestore del bar-ristorazione denominato “Mi Ami”, sito a Pizzo Calabro, insieme a Domenico Anello, avrebbe devoluto alla cosca somme di denaro secondo prestabilite scadenza temporali, consapevole del ruolo svolto sul territorio dalla consorteria e dai suoi associati. Per Prestanicola, quindi anche l’accusa di concorso in intestazione fittizia di beni in quanto l’attività del bar sarebbe stata fittiziamente attribuita nel maggio del 2016 a Carmelita Isolabella, pure lei indagata.

Francesco Ruffa

Concorso in ricettazione, con l’aggravante della finalità mafiosa, l’accusa mossa a Francesco Ruffa il quale, al fine di procurare a Mario Artusa un profitto ingiusto, avrebbe acquistato, o comunque ricevuto da Antonio Mondella l’autovettura Range Rover, modello Evoque, di illecita provenienza, a lui nota (in virtù – secondo l’accusa – anche del suo vincolo familiare con Saverio Razionale, quest’ultimo marito di Ruffa Anna, sorella di Francesco), in quanto provento di estorsione ai danni di Mondella.

Orazio Lo Bianco

Infine, Orazio Lo Bianco è accusato dei reati di associazione mafiosa ed in particolare di essere l’organizzatore della ‘ndrina dei “Cassarola” (facente capo alla famiglia Pugliese guidata da Rosario Pugliese, al momento irreperibile). Orazio Lo Bianco si sarebbe reso disponibile a farsi intestare fittiziamente attività imprenditoriali – soprattutto nel settore delle pompe funebri – di fatto riconducibili a Rosario Pugliese, collaborando nella gestione delle stesse ed intrattenendo rapporti con esponenti dell’amministrazione comunale di Vibo Valentia e con altri imprenditori del settore, ponendo in essere reati di truffa aggravata e turbativa d’asta (nella vicenda della sepoltura dei migranti nel cimitero di Bivona), fungendo da collegamento tra il vertice e gli altri sodali ed occupandosi dell’assistenza ai sodali detenuti. Orazio Lo Bianco si sarebbe altresì occupato anche direttamente di attività estorsive (come al titolare di un circo), ed avrebbe orientato il pacchetto di voti “a disposizione” della famiglia in favore dei politici vicini al sodalizio (il fratello Alfredo Lo Bianco, già consigliere comunale di Vibo e finito ai domiciliari) contribuendo alla loro elezione, mantenendo i rapporti con gli stessi. Altra contestazione si riferisce al reato di scambio elettorale politico mafioso in concorso con il fratello Alfredo Lo Bianco (che è stato anche vicepresidente e presidente della provincia di Vibo) e l’ex assessore all’Ambiente del Comune di Vibo Vincenzo De Filippis.

Francesco Barba
Franco Barba

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