‘Ndrangheta: la deposizione di Emanuele Mancuso contro il clan Soriano
Nel processo Nemea in corso a Vibo, il collaboratore ha accusato l’imprenditore Castagna ed ha svelato i rapporti fra la sua famiglia e la consorteria di Filandari fra droga, attentati e summit
Oltre due ore di deposizione nel pomeriggio in Tribunale a Vibo Valentia per il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso nel processo “Nemea” contro il clan Soriano di Filandari. Una deposizione particolarmente attesa, visto che in altro procedimento contro il clan Soriano – il processo “Ragno” – la Corte d’Appello di Catanzaro il 14 gennaio dello scorso anno ha rigettato la richiesta della Procura generale di acquisire i verbali del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso ed il presidente di quella Corte, il giudice Marco Petrini, anche per tale vicenda è stato arrestato il 15 gennaio scorso per corruzione in atti giudiziari in quanto dopo tale rigetto avrebbe ricevuto dall’avvocato Marzia Tassone (che difendeva alcuni imputati del processo “Ragno”) prestazioni sessuali.
Nel processo “Nemea”, invece, Emanuele Mancuso nel pomeriggio ha deposto regolarmente e, collegato in videoconferenza, ha risposto alle domande del pm della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci. Dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Tiziana Macrì, Emanuele Mancuso ha spiegato di aver deciso di collaborare in prossimità della nascita della figlia e da allora di aver subito dalla propria famiglia “insulti, minacce e pressioni” di ogni genere per interrompere la collaborazione. [Continua dopo la pubblicità]
Figlio del boss Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”, Emanuele Mancuso ha spiegato di aver conosciuto Leone Soriano attraverso il nipote Giuseppe Soriano (figlio del defunto Roberto Soriano) con il quale aveva in corso degli affari inerenti le sostanze stupefacenti ed il calcio-scommesse. “Mi occupavo di coltivare marijuana in grandi quantità – ha dichiarato Mancuso – e Giuseppe Soriano mi è stato presentato da Carmine Prestia, figlio dell’imprenditore Antonio Prestia imputato nel processo Black money. Gestivo dei terreni coltivati a marijuana insieme a Francesco De Pietro. C’era un’amicizia fortissima con Giuseppe Soriano a cui ho ceduto degli ordigni esplosivi, provenienti dalle Preserre, nel dicembre 2017. Ero in contatto con Leone Soriano poiché Giuseppe Soriano mi aveva detto di usare tali ordigni contro l’imprenditore Antonino Castagna che fa parte della mia famiglia”.
Si tratta dello stesso imprenditore Antonino Castagna di Ionadi, già processato ed assolto nel processo “Black money” dal reato di associazione mafiosa e parte lesa nel processo Nemea. “Antonino Castagna si è presentato a me come membro della cosca Mancuso – ha rivelato il collaboratore – e mi disse che era intimo di Antonio Mancuso, di Pantaleone Mancuso detto Vetrinetta e diceva di conoscere anche Francesco Mancuso detto Tabacco e di essere legatissimo a Luigi Mancuso. Si sentiva parte della mia famiglia. Andai da Castagna per intercedere per conto della famiglia Bartolotta di Stefanaconi affinchè un componente di tale famiglia, che lavorava per ordine di Pantaleone Mancuso detto Scarpuni nell’impresa di Castagna, non venisse licenziato. Castagna mi disse invece che l’avrebbe licenziato ugualmente per evitare problemi con le misure di prevenzione patrimoniali”.
Il fascicolo di Leone Soriano consegnato a Luigi Mancuso. Il collaboratore di giustizia ha quindi raccontato che Leone Soriano gli consegnò un fascicolo processuale contenente le accuse che l’imprenditore Antonino Castagna aveva rivolto alla famiglia Soriano. “Leone Soriano – ha dichiarato Emanuele Mancuso – sosteneva che i Mancuso avessero dato il via libera a Castagna per accusare i Soriano nel processo Ragno. Luigi Mancuso, che si trovava in casa in compagnia di Salvatore Comerci ed al quale io ho consegnato il fascicolo che mi aveva dato Leone Soriano, mi rispose invece che Leone Soriano aveva inviato all’autorità giudiziaria delle lettere contro la famiglia Mancuso. In ogni caso mi venne detto, anche da Pasquale Gallone, detto Pizzichiju, di non toccare l’imprenditore Castagna se non su autorizzazione di Luigi Mancuso e dello stesso Gallone. Luigi Mancuso mi disse anche che Castagna avrebbe dato ai Soriano diecimila euro a titolo risarcitorio per le accuse che aveva fatto loro. Aggiunse pure che stava monitorando pure me da tempo e sapeva che mi recavo da Leone Soriano”.
La bomba contro Castagna. Nonostante gli incontri e le raccomandazioni di Luigi Mancuso, il 13 febbraio del 2018 Emanuele Mancuso decide ugualmente di lanciare una bomba carta contro l’abitazione di Antonino Castagna unitamente a Massimo Vita di Vena di Jonadi (assolto per non aver commesso il fatto nel processo celebrato con rito abbreviato), Mirco Furchì e Francesco Parrotta, quest’ultimo ritenuto vicinissimo a Leone Soriano.
“Massimo Vita – ha raccontato Emanuele Mancuso – era un mio amico e dei fratelli Giuseppe e Valerio Navarra di Pernocari e trattavano gli stupefacenti, mentre Mirco Furchì prima si accompagnava a Saverio Spasari e poi nel 2016 ha iniziato a camminare con me. Avevo avuto un conflitto con i fratelli Navarra che stavano sia con i Mancuso che con gli Accorinti di Zungri. Ricordo di aver preso a colpi di faccetta Valerio Navarra. Peppone Accorinti mi disse invece che Luigi Mancuso gli aveva demandato la questione da risolvere con i Soriano”.
Quindi il racconto su quanto gli avrebbe raccontato Leone Soriano in ordine al fatto che lo stesso in passato si era diviso i soldi derivanti da appalti pubblici con Francesco Mancuso, detto “Tabacco”, e con Domenico Mancuso, figlio del boss Giuseppe Mancuso (cl. ’49), alias “Mbrogghija”.
Luigi Mancuso sarebbe poi intervenuto per far recapitare a Leone Soriano altro messaggio tramite Emanuele Mancuso: “ Mi disse – ha ricordato il pentito – di dire a Leone Soriano che Romano Pasqua, proprietario di un distributore di carburanti nel territorio di Filandari non doveva pagare nessuna estorsione ma che quando si sarebbe liberato un posto, qualcuno della famiglia Soriano sarebbe stato assunto al distributore”.
Gli affari con la droga. Rapporti inerenti la cessione di stupefacenti vi sarebbero stati poi fra Peppone Accorinti di Zungri e Giuseppe Soriano, con quest’ultimo che doveva restituire settemila euro ad Accorinti. A trattare droga, secondo Emanuele Mancuso, vi sarebbe stato anche Alex Prestanicola, genero di Gaetano Soriano, mentre altro fratello di Alex, vale a dire Andrea Prestanicola, aveva sposato la figlia del boss di San Gregorio d’Ippona Saverio Razionale, personaggio indicato dal collaboratore come “di alto spessore criminale e vicinissimo a Luigi Mancuso”. Giuseppe Soriano avrebbe inoltre trattato anche l’eroina, proveniente da Napoli, mentre altro canale di eroina era stato aperto dai clan di Comparni e San Giovanni di Mileto, con un consumo notevole nelle zone di Spilinga, Pernocari, Rombiolo, Ionadi e Zungri.
Il summit. Emanuele Mancuso ha quindi svelato che “a casa di Gaetano Soriano si era tenuto un summit alla presenza – ha svelato il collaboratore – di Leone Soriano, Alex Prestanicola, e Saverio Razionale che voleva saperne di più su un atto intimidatorio ai danni di un imprenditore di Ionadi. Leone Soriano negò di essere l’autore dell’attentato, ma Luigi Mancuso non si fidò della versione di Leone Soriano ed incaricò me di appurare la verità. Io mi recai con Giuseppe Mancuso, figlio di Giovanni Mancuso, al distributore Ies ad incontrare Giuseppe Soriano il quale mi confermò invece che l’atto intimidatorio l’avevano compiuto proprio i Soriano”
La deposizione di Emanuele Mancuso – che riprenderà il 29 gennaio – si è conclusa con il racconto della volontaria cessione di 300 euro da parte del gestore del bar “la Perla Nera” di Filandari, Davide Contartese, ad Emanuele Mancuso affinchè aiutasse nelle spese legali Giuseppe Soriano che era stato arrestato. In precedenza lo stesso Giuseppe Soriano si sarebbe opposto alla pretesa dello zio Leone Soriano di sottoporre ad estorsione anche tale attività commerciale.
Gli imputati del processo “Nemea” sono: Leone Soriano, 54 anni, di Pizzinni di Filandari; Graziella Silipigni, 49 anni, di Pizzinni di Filandari, moglie del defunto Roberto Soriano (lupara bianca), fratello di Leone; Giuseppe Soriano, 29 anni, di Pizzinni di Filandari (figlio della Silipigni); Giacomo Cichello, 33 anni, di Filandari; Francesco Parrotta, 37 anni, di Filandari, ma residente a Ionadi; Caterina Soriano, 30 anni, di Pizzinni di Filandari (figlia di Graziella Silipigni); Luca Ciconte, 28 anni, di Sorianello, di fatto domiciliato a Pizzinni di Filandari (marito di Caterina Soriano); Mirco Furchì, 27 anni, di Mandaradoni, frazione di Limbadi; Domenico Soriano, 61 anni, di Pizzinni di Filandari (fratello di Leone Soriano); Domenico Nazionale, 34 anni, di Tropea; Rosetta Lopreiato, 51 anni, di Pizzinni di Filandari (moglie di Leone Soriano); Maria Grazia Soriano, 48 anni, di Arzona di Filandari; Giuseppe Guerrera, 25 anni, di Arzona di Filandari; Luciano Marino Artusa, 59 anni, di Arzona di Filandari; Alex Prestanicola, 29 anni, di Filandari.
L’inchiesta è stata condotta “sul campo” dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia con il coordinamento del pm della Dda di Catanzaro Anna Maria Frustaci. Nel collegio di difesa figurano gli avvocati: Giovanni Vecchio, Diego Brancia, Daniela Garisto, Giuseppe Di Renzo, Francesco Schimio, Mario Bagnato, Vincenzo Brosio, Gianni Russano, Salvatore Staiano e Pamela Tassone.