mercoledì,Aprile 16 2025

‘Ndrangheta: i La Rosa e l’estorsione a Tropea con i soldi nascosti nei pacchi della rosticceria

L’assoggettamento dei titolari di una pizzeria, gli accordi con il boss e l’intervento per proteggere gli imprenditori anche da possibili richieste del clan Mancuso

‘Ndrangheta: i La Rosa e l’estorsione a Tropea con i soldi nascosti nei pacchi della rosticceria
Tropea vista dall'alto e nei riquadri Francesco La Rosa, Antonio La Rosa e Tomasina Certo
Antonio e Francesco La Rosa

Estorsioni portate avanti pure dal carcere e chiuse con le vittime costrette a pagare. Il clan La Rosa di Tropea non avrebbe risparmiato davvero nessuno e la nuova inchiesta della Guardia di Finanza, coordinata dalla Dda di Catanzaro e denominata Call Me, porta alla luce le richieste di denaro avanzate anche nei confronti di una nota pizzeria di Tropea. Del reato di concorso in estorsione, aggravata dalle finalità mafiose, devono rispondere i fratelli Antonio e Francesco La Rosa, di 63 e 54 anni, Tomasina Certo, 61 anni (moglie di Antonio La Rosa) e Cristina La Rosa, 33 anni (figlia di Antonio La Rosa e della Certo). Secondo l’accusa, gli indagati (tutti ora arrestati), consapevoli che il loro sodalizio criminale esercita da anni a Tropea “il controllo assoluto di tutte le attività imprenditoriali ed economiche della zona”, mediante minacce implicite alla tranquillità delle attività imprenditoriali, che si rendeva possibile solo mediante il pagamento di denaro, avrebbero costretto i fratelli Claudio e Fortunato Vardaro, rispettivamente titolare e gestore della pizzeria Rusti & Co., con sede a Tropea, a versargli (così “mettendosi a posto” con la ‘ndrangheta locale) somme di denaro a titolo estorsivo, in almeno due occasioni”. In particolare, il 9 agosto 2019 gli indagati sono accusati di aver costretto i fratelli Vardaro a consegnare diecimila euro in contanti ad Antonio La Rosa (all’epoca in stato di libertà), il quale a sua volta avrebbe consegnato il denaro al fratello Francesco La Rosa affinché lo custodisse e si annotasse l’avvenuta dazione. Il 31 agosto 2020, invece, pur trovandosi Antonio La Rosa in carcere, “ma continuando a esercitare il suo potere sul territorio”, i fratelli Vardaro sarebbero stati ugualmente costretti a consegnare una somma “di denaro non determinata a Francesco La Rosa, il quale a sua volta la consegnava a Cristina La Rosa affinché la mettesse a disposizione della madre Tomasina Certo e annotasse la dazione”.

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Il gip sui rapporti Vardaro-La Rosa

Fra i soggetti che durante la detenzione di Antonio La Rosa si mostrano vicini alla famiglia con dazioni di denaro – sottolinea il gip – vi è Fortunato Vardaro, gestore di fatto di una pizzeria a Tropea, la Rusti & Co, che vede il fratello Claudio titolare formale. Già nell’ambito dell’indagine sfociata nell’operazione Olimpo erano emersi i rapporti fra Vardaro e Antonio La Rosa. In particolare – ricorda il gip distrettuale – in quella sede era emerso come Vardaro aveva voluto interloquire con Antonio La Rosa per proporgli un affare, ovverosia un investimento per sessantamila euro per l’apertura di una nuova unità di impresa a Taormina, prospettando poi, a seguito del primo anno di attività, guadagni per almeno trecentomila euro che Vardaro gli avrebbe fatto avere in soli cinque anni”. Il legame tra Vardaro e Antonio La Rosa era emerso anche in una conversazione intercettata il 7 agosto 2019 quando l’imprenditore si era lamentato con il boss per via del fatto che “alcuni soggetti si erano avvicinati, nonostante lui avesse sempre adempiuto al suo dovere” che per il gip era quello di aver già pagato a La Rosa, con quest’ultimo intenzionato quindi ad “intervenire a protezione riconoscendo la fedeltà di Vardaro e invitandolo pertanto a dire a tali persone di rivolgersi a lui”.

La Rosa pronto a fronteggiare pure i Mancuso

Luigi Mancuso

Sul proprio territorio – Tropea – il boss Antonio La Rosa non avrebbe gradito la presenza di nessuno all’infuori degli accoliti del suo clan. Secondo il gip “è evidente come Antonio La Rosa venga interpellato dalla vittima quale soggetto che, dirigendo la realtà locale, era in grado di dirimere tali questioni e fronteggiare eventuali richieste di altri. Una posizione – annota il gip – che Antonio La Rosa rivendica anche nell’ipotesi in cui non fossero stati cani sciolti a formulare tali pretese ma addirittura il clan dei Mancuso”. La Rosa ipotizza con Vardaro che l’autore della richiesta di denaro al titolare della pizzeria potesse essere stato “Pino Mangone di Mileto, legato al boss Michele Mancuso”, con quest’ultimo in tale caso “vero mandante della richiesta”. Antonio La Rosa, in ogni caso, si sarebbe dimostrato con Vardaro disponibile ad intervenire sia con Pino Mangone che, al limite, anche con il boss Luigi Mancuso, fratello di Michele.

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I soldi al clan occultati nei pacchi di rosticceria

Davide Surace

Ad avviso del giudice, dall’attività investigativa è emerso che “Vardaro era chiaramente assoggettato alle dazioni verso i La Rosa, avvisandoli di avere lasciato delle ‘polpette con qualcosa dentro’, con un chiaro commento di Antonio La Rosa: “Ci sono i soldi di coso dentro, non li scordo che li devo segnare’. Quindi la consegna di alimenti tipici della rosticceria serviva – spiega il gip – per camuffare la dazione di denaro dovuta al boss del luogo, con i soldi occultati nel pacco della rosticceria”. Per il gip, la gravità indiziaria per l’estorsione gestita a livello familiare deve “ritenersi integrata per essere coinvolta l’intera famiglia La Rosa”. Il quadro che ne fuoriesce è che durante la detenzione di Antonio La Rosa per l’operazione Rinascita Scott, fosse comunque la famiglia La Rosa ad assicurare, al netto di qualche prima mancanza, l’assoggettamento estorsivo di Vardaro e della pizzeria”, al di là se poi a riscuotere il denaro sia andato Davide Surace di Spilinga (genero di Antonio La Rosa in quanto compagna della figlia Cristina) oppure Domenico La Rosa (figlio di Antonio) “emergendo comunque la mancanza di fiducia verso Francesco La Rosa che – conclude il gip – probabilmente avrebbe trattenuto i soldi per sé. Le dazioni direttamente a Surace o a Cristina La Rosa venivano invece regolarmente segnate e registrate”.

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