«Quando il mio compare d’anello mi mise una bomba sotto casa». Le guerre intestine nel clan Mancuso raccontate dal pentito Megna
La testimonianza durante il processo d’appello Rinascita. L’agguato a Giovanni e alla madre Romana e la fuga in Argentina di Pantaleone l’Ingegnere. La lite con i Campisi e la pace imposta dal boss Luigi

Un agguato finito senza morti per puro caso, un compare d’anello che comanda di mettere una bomba sotto casa dello sposo, risse che coinvolgono tutto un casato di ‘ndrangheta. Questo avveniva all’interno di quella che è una delle cosche più importanti, prolifiche e ricche. Lo racconta Pasquale Megna che all’interno di quel casato di ‘ndrangheta ci è nato.
Si è deciso a collaborare con la giustizia a febbraio 2023 Pasquale Alessandro Megna, figlio di Assunto Megna e nipote del boss Pantaleone Mancuso alias Scarpuni. «Pantaleone Mancuso era sposato con mia zia Santa Buccafusca, morta ingerendo acido muriatico. Era sorella di mia madre», racconta mentre è collegato con l’aula bunker di Catanzaro, durante l’udienza d’appello del processo Rinascita Scott.
La sua vita Megna l’ha trascorsa in seno alle consorterie di ‘ndrangheta, legato da rapporti criminali e di parentela.
Sua moglie è nipote di Francesco Mancuso, detto Ciccio Tabacco. Suo fratello è stato fidanzato dal 2008/9 al 2013/14 con la figlia di Pantaleone Mancuso detto l’Ingegnere. E anche quando i due ragazzi si sono lasciati, Assunto Megna è sempre rimasto accanto all’Ingegnere. Anche quando questi fuggì in Argentina dove si diede latitante in seguito alla vicenda del duplice tentato omicidio di Romana Mancuso e del figlio Giovanni Rizzo.
Assunto Megna in Argentina per aiutare l’Ingegnere
In quell’occasione «mio padre è dovuto andare a provvedere al suo sostegno quando è stato arrestato in Argentina», dice il collaboratore. La vicenda del tentato duplice omicidio, racconta Megna, segnò l’inizio delle divisioni all’interno della famiglia Mancuso, tanto che «al mio matrimonio, nel 2008, la famiglia dell’Ingegnere non è venuta perché c’erano già screzi. Giovanni Rizzo detto Mezzodente era mio compare d’anello».
La lite con Totò Campisi
«Sono saltato dalla moto e li ho aggrediti». Così Pasquale Megna racconta la lite avuta con Antonio Campisi, figlio di Domenico (ucciso in un agguato tempo dopo), Nicola Drommi, figlio di Salvatore, Francesco Mancuso di Comerconi e un altro ragazzo del quale non ricorda il nome. «I Campisi pensavano che io dessi le armi ai Piccolo con i quali avevano degli attriti». Per questa ragione Pasquale Megna sarebbe stato oggetto di diverse intimidazioni. Tra queste «una bomba diretta a me ma messa, per sbaglio, al portone di un professore che poi ha denunciato».
Megna racconta che Campisi e i suoi tre amici «stavano camminando verso la macchina a Nicotera Marina e io li ho fermati con la moto». Megna spiega di aver preso la moto di un amico, di essersi lanciato a tutta velocità verso l’auto e di essere saltato giù dalla moto lasciando questa che si schiantasse contro la Panda 4×4 del gruppo.
L’intervento delle famiglie
Dopo il pestaggio intervengono le famiglie. In particolare Giovanni Rizzo e Domenico Mancuso, detto Mico Nihji si presentarono a casa di Assunto Megna e Mancuso «mi disse che dovevo lasciare Nicotera Marina». Domenico Mancuso, ricorda Megna, avrebbe anche rincarato la dose affermando che Pasquale Megna, dopo la lite, si sarebbe presentato a casa della mamma di Antonio Campisi rivolgendole «parole non belle».
In quella occasione si presentò anche Antonio Mancuso che, in difesa di Pasquale Megna, rivolgendosi a Domenico Mancuso, ha detto: «Hai visto cosa hanno fatto a lui?», riferendosi a Giovanni Rizzo e all’agguato che questi aveva subito con la mamma Romana Mancuso. Un esempio, insomma, da non seguire.
L’agguato organizzato dal compare d’anello
In seguito Pasquale Megna venne a sapere chi erano stati i mandanti della bomba sotto casa sua e chi l’esecutore materiale.
«È successo a un pranzo organizzato da Giovanni Rizzo, ricordo che è stato lo stesso giorno in cui Ciko Olivieri ha fatto la strage a Nicotera. A quel pranzo ho saputo che i mandanti della bomba erano Giovanni Rizzo e Antonio Campisi mentre l’esecutore materiale è stato un ragazzo di origine bielorussa».
Pasquale Magna ricorda che quegli attriti crearono «una frattura tra i Megna e il ramo Mbrogglia della famiglia Mancuso». «Mantenevamo rapporti di facciata» perché questa era la politica del boss Luigi Mancuso che era stato scarcerato da poco e che aveva intimato alla famiglia di cessare le ostilità intestine.