mercoledì,Marzo 19 2025

Omicidio Di Costa a Tropea: assolto in Assise l’imputato, il delitto rimane impunito

Il fatto di sangue è avvenuto il 23 marzo 2010. La riapertura del caso era avvenuta solo grazie al gip e al legale della moglie della vittima

Omicidio Di Costa a Tropea: assolto in Assise l’imputato, il delitto rimane impunito
Gli inquirenti sul luogo dell’omicidio

Assoluzione per non aver commesso il fatto. Questa la sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro, presieduta dal giudice Massimo Forciniti, nei confronti di Filippo Saragò, 43 anni, di Tropea, accusato dell’omicidio aggravato ai danni di Vincenzo Di Costaucciso colpi d’arma da fuoco all’età di 46 anni nella serata del 23 marzo 2010. Un omicidio dalle modalità mafiose consumato in località Campo di Sotto di Tropea mentre la vittima – fra le ore 20 e le ore 21 – stava parcheggiando il ciclomotore nel piazzale antistante la propria abitazione. Un fatto di sangue che, alla luce della sentenza odierna, continua a rimanere impunito. Anche il pm della Dda di Catanzaro, Irene Crea, al termine della requisitoria aveva chiesto per l’imputato l’assoluzione, così come avevano fatto i difensori di Filippo Saragò, gli avvocati Giovanni Vecchio e Sandro D’Agostino. La riapertura del caso si era registrata nel luglio del 2022 quando il gip distrettuale di Catanzaro, Pietro Carè, aveva ordinato al pubblico ministero di procedere entro dieci giorni alla formulazione dell’imputazione nei confronti di Filippo Saragò con l’accusa di omicidio aggravato, disponendo invece l’archiviazione per Francesco Saragò, 40 anni, di Tropea. Il pm aveva chiesto per entrambi gli indagati l’archiviazione, ma il gip si era invece opposto ordinando di formulare l’imputazione a carico di Filippo Saragò, accogliendo così le richieste dell’avvocato Giovanna Fronte che assisteva Moira Lo Tartaro, moglie della vittima. A contribuire a formulare l’accusa nei confronti dell’imputato, soprattutto la prova dello stub risultata positiva (con l’utilizzo di un’arma da fuoco da parte dell’indagato nell’immediatezza del fatto di sangue la sera del 23 marzo 2010).Un elemento che evidentemente non ha retto al vaglio delle valutazioni della Corte che si è riservata di depositare le motivazioni dell’assoluzione entro 90 giorni.

La personalità della vittima

“La vittima – secondo il gip e l’ufficio di Procura – era soggetto incline a commettere atti intimidatori a mezzo incendio (come quelli del 22 gennaio 2010 ai danni di De Rito Antonietta, del 31 gennaio 2010 ai danni di Lorenzo Domenico, del 6 febbraio 2010 ai danni del minimarket di Crigna Alessandro e della farmacia Taccone a Parghelia e del 23 febbraio 2010 ai danni di Taccone Maria in viale Stazione a Tropea) ed appena due giorni prima dell’omicidio, in data 20 marzo 2010, veniva denunciato l’incendio dell’autovettura Smart di Seminara Vanessa, fidanzata di Francesco Saragò, in passato utilizzata dal fratello Filippo (destinatario, peraltro, in data 2 novembre 2007 di una lettera minatoria contenente l’allusione ad un attentato dinamitardo che la polizia giudiziaria ha ipotizzato coincidere con quello denunciato dal Di Costa il 17 aprile 2005 e invero commesso da Peter Cacko)”.
Gli inquirenti hanno rinvenuto tracce di un possibile appostamento del killer (di cui, dopo gli spari, Di Costa Giuseppe, abitante a pochi metri dal fratello, non aveva udito alcun rumore di auto o moto) in un terreno coperto di erba e rovi posto dinanzi all’abitazione della vittima, in posizione rialzata di circa due metro e mezzo, attraversato da un sentiero conducente anche all’abitazione di Filippo Saragò.

Dagli atti di indagine della polizia (Squadra Mobile di Vibo) relativa all’operazione antimafia denominata “Peter Pan”, scattata nel dicembre del 2012, emergeva inoltre la contiguità di Vincenzo Di Costa agli ambienti della criminalità organizzata”. In tal senso assumevano rilevanza alcune intercettazioni del 2009 e del 2010 in cui esponenti della cosca La Rosa di Tropea commentano il comportamento “esuberante” di Vincenzo Di Costa, mentre il collaboratore di giustizia Peter Cacko il 7 ottobre 2009 si è autoaccusato di aver posizionato su mandato di Pasquale Quaranta di Santa Domenica di Ricadi (attualmente condannato all’ergastolo per l’omicidio di Saverio Carone) un ordigno esplosivo per danneggiare il chiosco adibito alla vendita delle cipolle dello “zingaro”, alias con il quale era conosciuto Vincenzo Di Costa.
La moglie della vittima aveva invece riferito agli inquirenti che a partire dall’estate del 2009, in coincidenza con ogni danneggiamento che avveniva a Tropea, Francesco La Rosa, detto “U Bimbu”, si recava presso il loro negozio per incolpare il marito di quanto accadeva ed “in un’occasione il figlio del “Bimbo”, Alessandro La Rosa, lo aveva accusato di un danneggiamento avvertendolo che a Tropea non doveva succedere niente che non volessero i La Rosa.

Altri moventi per l’omicidio

Altro verosimile movente dell’omicidio – aveva rimarcato il gip – è stato indicato dalla moglie della vittima nella gambizzazione, da parte di Vincenzo Di Costa, di Nicola Zangone, nipote di Giuseppe Accorinti (cl.  ’81) fatto per il quale la vittima, anche rivolgendosi ai La Rosa, aveva cercato inutilmente un “chiarimento”, rifiutato dallo Zangone, circostanza che gli faceva temere una possibile “risposta”. Un ulteriore motivo era stato riferito agli inquirenti da Giuseppe Di Costa, fratello della vittima, il quale era in lite per futili motivi con la vicina di casa (come attestato anche da una sorta di denuncia manoscritta rinvenuta in un cassetto del comodino della sua camera da letto) ed il cui marito aveva fatto la sera dell’omicidio una inusuale visita di cortesia a casa della madre del Di Costa.
Per il gip era risultato inoltre “compatibile un eventuale movente personale con un mandato di terzi – quali il clan La Rosa oppure Zangone Nicola (recatosi, significativamente, proprio presso l’officina dei fratelli Saragò – aveva sottolineato il gip – subito dopo aver ricevuto il biglietto di invito in Questura nell’ambito delle indagini) – per l’eliminazione di un soggetto pazzo, del tutto insubordinato rispetto alle regole di governo del territorio tipiche delle organizzazioni mafiose”. I La Rosa e Nicola Zangone non risultavano in ogni caso indagati.
I familiari della vittima – in particolare la moglie Moira Lo Tartaro – sono stati assistiti dall’avvocato Giovanna Fronte che si era opposta all’archiviazione presentata dal Pm riuscendo quindi a far riaprire le indagini.

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