La latitanza di Andrea Mantella a Sant’Onofrio e le imbasciate di Gianfranco Ferrante per conto di Luigi Mancuso
Le rivelazioni del collaboratore di giustizia Francesco Fortuna. Gli assegni staccati dall’imprenditore vicino ai Mancuso in favore di Domenico Bonavota e i messaggi alla sua cosca per rassicurarli: «Non credete ai giornali, Scarpuni non vuole uccidervi»

«… sono a conoscenza del fatto che Andrea Mantella abbia trascorso dei periodi di latitanza. In particolare ricordo la sua latitanza nell’anno 2005, trascorsa in parte nel comune di Sant’Onofrio…». Il collaboratore di giustizia Francesco Salvatore Fortuna, ex killer della cosca Bonavota, il 21 febbraio scorso ha concluso l’ultimo verbale al momento conosciuto, parlando della latitanza di Andrea Mantella – oggi collaboratore di giustizia e un tempo a capo di un gruppo criminale scissionista a Vibo Valentia – coperta dal clan Bonavota. «…sia io che i Bonavota ci siamo recati più volte da lui all’interno di questa campagna mentre si nascondeva lì e sarei in grado di descriverla nel dettaglio. In particolare ricordo che c’erano due manufatti attaccati l’un l’altro, fatiscenti ma attrezzati per viverci», dice Fortuna davanti al sostituto procuratore della Dda Andrea Buzzelli. Il collaboratore ricorda che la latitanza di Mantella nel territorio di Sant’Onofrio, feudo dei Bonavota, terminò nel momento in cui il boss Domenico Bonavota si diede uccel di bosco in seguito all’operazione Van Helsing. «Andrea Mantella – racconta Fortuna – non venne più a nascondersi in Sant’Onofrio, sapendo che lì erano in corso anche le ricerche di Domenico Bonavota».
Francesco Salvatore Fortuna ha portato nei colloqui con gli inquirenti un manoscritto con degli appunti. Risalgono al 14 ottobre scorso e riguardano vari personaggi e fatti che il collaboratore ritiene siano di interesse investigativo. Un capitolo riguarda Gianfranco Ferrante, imprenditore ritenuto intraneo alla cosca Mancuso.
Su di lui Fortuna scrive: «Domenico Bonavota aveva un rapporto molto intimo con Gianfranco Ferrante di Vibo Valentia anche in questo caso ad interfacciarsi con lui era Giuseppe Barbieri. Non sono a conoscenza se il rapporto con il Ferrante nacque per la vicinanza del Ferrante a Luigi Mancuso, ma so che il Ferrante cambiava assegni a Domenico Bonavota e gli prestava somme di denaro quando il Bonavota ne aveva la necessità. So che il Ferrante come già ho detto era molto vicino a Luigi Mancuso e che per lo stesso si recava nelle varie famiglie per portare sue notizie “imbasciate”».
Gli inquirenti chiedono conto a Fortuna di questi appunti e lui conferma «quanto descritto negli appunti e nei precedenti verbali…». In particolare Fortuna si riferisce alla vicenda che vide coinvolti i Bonavota nel corso della faida tra Patania e Piscopisani. Il clan di Sant’Onofrio cercò di fermare la serie di omicidi che si era innescata con questa guerra di mafia. Ma dovettero arrendersi davanti all’ostinazione di Pantaleone Mancuso detto Scarpuni che spalleggiava i Patania e li avrebbe incitati a non cercare la pace. In seguito i Bonavota avrebbero saputo che Sacarpuni avrebbe voluto la loro morte. «Se non ricordo male, è stato Gianfranco Ferrante a portare l’imbasciata da parte di Luigi Mancuso ai Bonavota dicendo di non credere a quanto era emerso dai giornali in relazione alla volontà di Pantaleone “Scarponi” Mancuso di uccidere i Bonavota nel periodo in cui era in corso la faida tra Patania e Piscopisani». Il racconto di Francesco Salvatore Fortuna prosegue ed entra nei particolari, opportunamente omissato nella ipotetica ricerca di riscontri.