Morì precipitando con l’auto in un burrone del Vibonese: ecco perché due imputati torneranno dinanzi al giudice civile
La Cassazione ha depositato le motivazioni con le quali ha annullato con rinvio – limitatamente agli effetti civili – il verdetto che mira a far luce sul decesso della giovanissima Elisabetta Arena


Depositate dalla Cassazione le motivazioni della decisione con la quale il 19 dicembre scorso ha annullato – limitatamente agli effetti civili – la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro (in sede penale) che nel maggio 2024 ha confermato le assoluzioni dal reato di omicidio colposo decise in primo grado dal Tribunale di Vibo nei confronti del dirigente della Provincia di Vibo, Isaia Capria, e nei confronti di Gianfranco Fabiano, titolare della Edil Fabiano, la ditta esecutrice dei lavori sulla strada provinciale lungo la quale la mattina del 4 ottobre del 2011 Elisabetta Arena, 22 anni, di Zungri, è precipitata con la sua auto in un dirupo perdendo la vita. La ragazza stava percorrendo la strada provinciale che collega Zambrone a Parghelia per recarsi al lavoro. Una morte che si sarebbe potuta evitare se su quel tratto di strada fossero stati segnalati i lavori in corso e anche la chiusura dell’arteria. E’ invece risultata assente la collocazione di idonee barriere utili a impedire il transito su una strada interdetta alla circolazione. L’avvocato Carmine Pandullo, che assiste la famiglia Arena, costituita parte civile nel procedimento penale, aveva impugnato il verdetto assolutorio in Cassazione (ai soli effetti civili, non avendo la Procura di Vibo impugnato la sentenza assolutoria di primo grado). Il rinvio per nuovo giudizio dinanzi al giudice civile d’appello viene quindi ora motivato dalla Cassazione con dieci pagine di sentenza con le quali vengono accolti i motivi prospettati dall’avvocato Pandullo che è riuscito a superare anche lo “scoglio” della richiesta di inammissibilità del suo ricorso avanzata dal sostituto procuratore generale della Cassazione, Lucia Odello.
La posizione di Capria
Con riferimento “all’accertamento della responsabilità civile di Isaia Angelo Antonio Capria”, il rinvio al giudice civile competente viene motivato dalla Cassazione “in quanto l’elemento soggettivo della responsabilità per colpa” è stato escluso dalla Corte d’Appello di Catanzaro “con un iter motivazionale illogico e frutto di travisamento sulla prova”. Secondo la Suprema Corte, l’essersi il Capria “ripetutamente prodigato per l’effettiva interclusione della strada provinciale” sarebbe riferito “ad una precedente fase di interdizione della circolazione della strada provinciale n.83 Daffincello-Parghelia, risalente a oltre due anni e mezzo prima del sinistro, mentre l’ulteriore sollecitazione risulterebbe promossa da Capria in epoca successiva allo stesso”.
Per la Cassazione, “l’argomento posto a fondamento della decisione di assoluzione, rappresentato dal fatto che nel giorno del sinistro la cartellonistica ivi presente era stata sottratta e rimossa, mentre le barriere che precludevano la circolazione erano presenti ma erano state spostate, si fonda su un dato travisato, in quanto lo stesso – sottolineano i giudici della Cassazione – non appartiene al patrimonio probatorio del processo ma, al contrario, risulta escluso dalla prova dichiarativa di tutti i testimoni escussi (che hanno negato la presenza di divieti e di interclusioni) e contrastato da una prova documentale”.
La posizione di Fabiano
Il giorno dell’incidente, dunque, per la Cassazione “la strada era normalmente percorribile e non erano presenti segnalazioni di chiusura e barriere new jersey”. L’annullamento con rinvio in sede civile in ordine alla posizione di Gianfranco Fabiano viene quindi motivato dalla Suprema Corte con il fatto che sullo stesso “concorrevano obblighi, previsti nel contratto di cottimo e nell’ordinanza di chiusura della strada provinciale, di procedere all’apposizione della segnaletica di cantiere e di vigilare sulla relativa osservanza”. I lavori presentavano invece “gravissime anomalie” e per la Cassazione “la motivazione delle sentenze impugnate si appalesa manifestamente illogica, laddove non è stata adeguatamente esplorata la funzione contenitiva e riparativa degli ammassi di terra realizzati dalla ditta del Fabiano i quali, secondo gli accertamenti tecnici richiamati dai giudici di merito, e tenuto conto della certificata ultimazione dei lavori, non costituivano la prova della insistenza di lavori in corso, ma rappresentavano una vera e propria insidia all’interno del sedime stradale”. Un’insidia, che secondo la sentenza della Cassazione, avrebbe dovuto “essere eliminata dallo stesso appaltatore, il quale avrebbe altresì dovuto curare l’apposizione della cartellonistica di cantiere”.
Da qui l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili in relazione ad entrambi gli imputati, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente.
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