mercoledì,Febbraio 12 2025

Appello Rinascita Scott, le regole in carcere secondo le doti di ‘ndrangheta e le estorsioni a Maierato

Le gerarchiche dietro le sbarre raccontate dall’ex killer del clan Bonavota Francesco Fortuna: «Oggi nessuno si vuole sedere a capotavola per non dare nell’occhio». Il sostentamento dei detenuti. I Mancuso e le aziende da non toccare

Appello Rinascita Scott, le regole in carcere secondo le doti di ‘ndrangheta e le estorsioni a Maierato

Sedere a capotavola, ricevere rispetto. Tutto dipende, in carcere dalle doti di ‘ndrangheta. È dietro le sbarre che queste hanno un valore, in un luogo nel quale è bene stabilire delle gerarchie. Seduto davanti al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, l’ex killer del clan Bonavota di Sant’Onofrio, Francesco Fortuna, spiega quelle che sono le dinamiche interne alla ‘ndrangheta. Lo fa in uno dei verbali recentemente depositati dalla Dda di Catanzaro nell’appello del processo Rinascita Scott.

Lui, che ha ricevuto la dote di padrino, dice che «tutti noi abbiamo ricevuto delle doti, portando in copiata soggetti comunque di spessore e, per come mi veniva sempre detto, questa cosa serviva soprattutto all’interno delle carceri. Faccio riferimento alle gerarchie che si devono rispettare all’interno delle carceri, dimostrate da alcune regole che devono essere osservate, come ad esempio il fatto che il possessore della carica più elevata deve sedere a capotavola».
Da quando, però, le inchieste hanno svelato queste dinamiche, la prudenza è aumentata: «Tengo a precisare, ad ogni modo – dice Fortuna –, che ormai queste cose stanno scemando, in quanto le condizioni carcerarie sono mutate ed inoltre nessuno vuole più rischiare di dare nell’occhio, sedendo a capotavola o facendo altre cose di questo genere».

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Le doti restano comunque una forma di distinzione importante, recano l’impronta della caratura criminale di un soggetto e il relativo rispetto che gli si deve: «In buona sostanza, in queste situazioni, la dote da noi ricevuta poteva essere spesa in carcere in modo da garantirci il trattamento equivalente al possessore della medesima dote conforme al crimine di Polsi. Qualora qualcuno all’interno del carcere avesse rilevato difformità della copiata con quella ufficiale, aveva comunque modo di verificare le concessioni di quella dote accertandosene presso il soggetto riconosciuto da Polsi presente in copiata».

Il sostentamento dei detenuti

Il discorso carcere porta in sé anche il tema del sostentamento dei detenuti. Francesco Fortuna racconta di essere stato aiutato dalla propria ‘ndrina ma fino a un certo punto: «Quanto al sostentamento in carcere i Bonavota mi hanno dato somme di denaro solo durante il primo anno di detenzione successivo al 2016, poi via via hanno smesso; gli avvocati, dopo il 2016 li ha pagati mio fratello e dal 2019 li ho pagati io, con le somme provenienti dall’ingiusta detenzione patita in conseguenza degli arresti successivi all’operazione Uova del Drago». Un trattamento, quello ricevuto dai Bonavota, che aveva contribuito a far maturare in Fortuna l’intento di collaborare con la giustizia. Un proposito nato già nel 2016 ma portato a compimento nel 2024, una lunga gestazione dovuta al fatto di voler attendere che il figlio della sua compagna diventasse maggiorenne.

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Profilo basso ed estorsioni

Ad ogni modo, Fortuna racconta che una volta uscito dal carcere ha sempre cercato di mantenere un profilo basso. Si accompagnava con incensurati e «cercavo – dice – di farmi vedere il memo possibile con Domenico Bonavota e tutti gli altri del gruppo, con i quali ci vedevamo di nascosto ogni volta che “serviva”. In genere mi incontravo con loro con una frequenza di una due volte a settimana e mensilmente prendevo la parte dei soldi che mi spettavano sulle cose che “attivavano”. Parliamo di somme che potevano corrispondere a 3000 euro, o magari 2000, oppure ancora in alcuni mesi a 1500 euro, in base ai lavori che c’erano sui nostri territori di competenza ed alle relative estorsioni che il mio gruppo riusciva a chiudere».

La zona industriale di Maierato e i Bonavota

Ad ogni modo le estorsioni fruttavano tra gli imprenditori di Sant’Onofrio, la zona industriale di Maierato e Pizzo Calabro. I componenti dei Bonavota non avevano bisogno di mostrarsi, potevano tranquillamente recitare la parte degli onesti cittadini poiché i commercianti vessati erano già bene istruiti. Nella zona industriale di Maierato c’erano anche le fabbriche di competenza dei Mancuso.
Dopo l’omicidio di Raffaele Cracolici, i Bonavota cercarono di espandere il loro predominio su altre attività, come una vetreria e un’attività di lavorazione del tonno, ma «venivano da noi sempre i Mancuso a dirci che si trattava di attività vicine a loro».

La Dmt Petroli e il cambio degli assegni

Francesco Fortuna racconta che «sempre sulla zona industriale di Maierato c’era la Dmt che però non ci pagava estorsioni bensì si occupava di cambiare gli assegni, sui quali la cosca Bonavota tratteneva un percentuale. Faccio un esempio, se uno portava a Domenico Bonavota un assegno di 10.000 euro, questo lo portava alla Dmt che ci dava il corrispettivo in contante, che veniva poi dato al destinatario dell’assegno per 9000 euro, tenendo per la cosca 1000 in cambio di questo servizio. Faccio riferimento alla ditta Dmt dei fratelli D’Amico», condannati a 30 anni (Giuseppe) e 18 anni (Antonio) nel primo grado del processo Petrolmafie.

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