Il tentativo dei Bonavota di fermare la faida di Stefanaconi affossato dalle parole di Scarpuni ai Patania: «Pace? Io un padre lo vendicherei»
Il collaboratore Fortuna racconta che la cosca di Sant’Onofrio cercò di mediare nella guerra con i Piscopisani ma si scontrò con i sibillini consigli di Pataleone Mancuso. Le regole della ‘ndrangheta quando si sigla una tregua. Il proposito (fallito) di uccidere i figli del boss Fortunato Patania
![Il tentativo dei Bonavota di fermare la faida di Stefanaconi affossato dalle parole di Scarpuni ai Patania: «Pace? Io un padre lo vendicherei»](https://www.ilvibonese.it/wp-content/uploads/2018/01/omicidio-patania2-1-768x528.jpg)
Sì, la pace si sarebbe potuta anche fare ma questo voleva dire rinunciare a vendicare la morte di un padre.
È questo il pensiero che il boss Pantaleone “Scarpuni” Mancuso, ha espresso ai rappresentanti della cosca Bonavota nel momento in cui questi sono andati a chiedere di mettere un freno alla faida tra Patania e Piscopisani che da settembre 2011 stava portando a una vera e propria mattanza.
A raccontare di questa pace sfiorata è il collaboratore di giustizia Francesco Fortuna, già killer ed esponente di spicco dei Bonavota.
«O la pace o la vendetta»
Il 28 gennaio 2025, seduto davanti ai magistrati della Dda Antonio De Bernardo (oggi applicato su Reggio Calabria per la Dna) e Andrea Buzzelli, il collaboratore racconta che Scarpuni – storico alleato dei Patania e acerrimo rivale dei Piscopisani i quali cercavano di strappare terreno ai Mancuso – «disse che per lui poteva anche mettersi pace, ma che, se fosse stato al posto dei Patania, non avrebbe accettato di non vendicare la morte di un padre. A questo punto i Bonavota hanno capito che la strada per giungere alla pace non era praticabile, in quanto Pantaleone Mancuso, sebbene avesse negato il proprio dissenso alla tregua, stava istigando i Patania a perseguire i propri intenti vendicativi. Nella sostanza Mancuso Scarpuni non voleva passare per “tragediatore”, e per questo aveva finto di non avere interesse allo scontro tra quei due gruppi, ma in realtà stava spronando i Patania ad andare avanti».
La faida di Stefanaconi
Come raccontano le cronache, la guerra tra Piscopisani e Patania, nota come faida di Stefanaconi, ebbe inizio a settembre 2011 quando venne ucciso un allevatore, Michele Fiorillo, che aveva una proprietà al confine con quella dei Patania. A scatenare l’omicidio pare fossero proprio problemi di confini. Fiorillo era legato da rapporti di parentela con i Piscopisani che reagirono immediatamente e, due giorni dopo la morte dell’agricoltore, venne assassinato Fortunato Patania, il capostipite della famiglia che stava giocando a carte nella sua stazione di servizio nella Valle del Mesima quando venne raggiunto dai colpi mortali. Da allora, tra 2011 e 2012 gli omicidi e i tentati omicidi si susseguirono senza tregua. A farne le spese furono soprattutto i Piscopisani.
Il tentativo pacificatore dei Bonavota
I Bonavota, che avevano stretto un legame con i Piscopisani, cercarono, per volere di Domenico Bonavota, di mettere pace già dall’omicidio di Fortunato Patania.
«A seguito di quest’ultimo omicidio, Domenico Cugliari e Domenico Bonavota (che in quel periodo erano sottoposti a misure restrittive) – dice Fortuna – hanno cercato di favorire la pace tra le due famiglie, incaricando Basilio Caparrotta per interfacciarsi con le due famiglie per cercare di giungere ad una tregua, dal momento che questi aveva buoni rapporti con entrambe le fazioni».
Le cose però non andarono come sperava la cosca di Sant’Onofrio perché, nonostante Patania e Piscopisani fossero propensi a giungere alla pace, «i fratelli Patania (figli di Fortunato, ndr) si ponevano il problema se Pantaleone Mancuso detto Scarpuni fosse a conoscenza di questo proposito di rappacificazione che i nostri stavano portando avanti».
Mancuso si mette in mezzo
I Bonavota cercarono di portare i Patania alla ragione affermando che «nessuno potesse avere interesse ad ostacolare la pace, men che meno Mancuso Scarpuni». Eppure furono gli stessi Patania a spiegare ai Bonavota che, dopo essersi confrontati con Mancuso, avevano deciso di non concedere alcuna pace.
La cosca di Sant’Onofrio tentò l’ultima carta mandando un messaggero dallo stesso Scarpuni ma la sua risposta fu sibillina: si poteva anche mettere un freno alla faida ma il costo era rinunciare a vendicare un padre. Un suggerimento sibillino dato, secondo Fortuna, per portare avanti la guerra.
Come si sigla una pace nella ‘ndrangheta
La faccenda era delicata e i Bonavota non andarono oltre con la loro azione pacificatrice anche perché, spiega Fortuna: «Quando nella ‘ndrangheta si sigla una pace, con l’intermediazione di altre importanti famiglie, i gruppi impegnati nella tregua hanno il dovere di tener fede alla parola data, in quanto, se si sottraggono al proprio impegno, si troveranno contro le stesse famiglie che hanno garantito per loro e si sono interessate ad ottenere la pace. Dico questo in quanto, nel caso di specie, se si fosse riusciti a fermare la faida, i Patania ed i Piscopisani avrebbero dovuto invitare delle famiglie di spessore della ‘ndrangheta, che avrebbero fatto da garanti all’accordo e che si sarebbero poi rifatte su di loro nel caso di violazioni della pace».
La riunione (fallita) per organizzare l’agguato ai fratelli Patania
Fallito il tentativo di mediazione per un attimo i Bonavota pensarono a intervenire con le armi, ossia organizzando un agguato contro i fratelli Patania. In quel periodo l’aria era tesa perché uno dei Piscopisani, Francesco Scrugli, era da poco scampato alla morte (l’assalto mortale lo raggiungerà più tardi, a marzo 2012).
«Si tenne pertanto una riunione – racconta Francesco Fortuna – presso una abitazione di proprietà di una parente di Domenico Bonavota, in presenza mia, di Domenico Bonavota, Domenico Cugliari, Basilio Caparrotta, Rosario Fiorillo e Raffaele Moscato in cui si stava per organizzare l’agguato, ma Domenico Bonavota disse che non era il caso di procedere, in quanto vi era la presenza di numerose forze dell’ordine sul territorio. Inoltre, per pura coincidenza, in quella stessa circostanza, nei momenti in cui si stava discutendo, si alzò in volo un elicottero dei carabinieri che fece direttamente chiudere qualsiasi tipo di discorso».
Secondo Fortuna, Domenico Bonavota non aveva comunque intenzione di procedere a quell’omicidio. «In ogni caso, coloro che avrebbero dovuto materialmente commettere l’agguato ai danni di uno dei fratelli Patania erano appunto Rosario Fiorillo, Moscato attuale collaboratore di giustizia ed appunto Basilio Caparrotta».