L’appello del testimone di giustizia Caminiti dopo 30 anni di lotta alla ‘ndrangheta: «Ridatemi la scorta»
Dopo l'ennesima intimidazione, l'imprenditore teme per la sua vita e si rivolge al procuratore nazionale antimafia Melillo e al ministro Piantedosi, denunciano anche «l'indifferenza istituzionale»
di Elisa Barresi
Teme per la sua vita ed è stanco. Non trova il lieto fine la storia dell’imprenditore reggino Gaetano Caminiti che per metà della sua vita, oltre 30 anni, è stato e continua ad essere nel mirino della ‘ndrangheta che non perdona e non dimentica.
Adesso, in seguito all’ennesima intimidazione, dopo 7 anni il testimone di giustizia torna a chiedere la scorta perché teme per la sua vita.
L’appello accorato è indirizzato tra gli altri al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e alla presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo. Il motivo va ricercato in quanto vi abbiamo raccontato raccogliendo la testimonianza dello stesso Caminiti: l’ennesima minaccia di morte arrivata il 13 dicembre scorso. Nell’appello si fa riferimento a come nel corso degli anni Caminiti sia stato «destinatario di agghiaccianti atti delittuosi, non soltanto in pregiudizio di beni patrimoniali, ma anche e soprattutto della persona, nel cui contesto spiccano il tentato omicidio consumato in data 12/02/2011, e l’altro attentato alla vita verificatosi il 29/12/2016».
Adesso i motivi sembrano essere tornati di stretta attualità. E ad emergere ed essere cristallizzata anche nella richiesta è «l’indifferenza istituzionale, a vivere in una inquietante, quotidiana condizione, di lacerante solitudine». Continua a leggere su LaC News24
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