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‘Ndrangheta: escalation criminale a Vibo, i nuovi equilibri mafiosi nella città capoluogo

 La riorganizzazione dei clan dopo il pentimento di Andrea Mantella ed il decesso dei due capi storici della “famiglia” Lo Bianco

‘Ndrangheta: escalation criminale a Vibo, i nuovi equilibri mafiosi nella città capoluogo

Cinque intimidazioni pesanti in meno di un mese in città. Messaggi chiari ed inequivocabili di chi vuol così far sentire sul territorio tutto il “peso” del proprio ritorno criminale dopo anni segnati da arresti, scarcerazioni, di nuovo arresti e poi la sottoposizione alla sorveglianza speciale. I clan rialzano la testa e lo fanno nel peggiore dei modi: quello più “primitivo” e brutale che va a colpire e condizionare il tessuto economico cittadino con l’invio di cartucce inesplose e taniche di benzina. Ad essere presi di mira, prima il locale Filippo’s sito su corso Umberto I, qualche giorno dopo la pizzeria Schiavello nella centralissima via Dante Alighieri, quindi l’incendio di un mezzo della De Angelis Arredamenti su viale Affaccio ed infine proiettili all’ingresso del negozio di autoricambi Mangiardi (sempre su viale Affaccio) e una tanica di benzina in via Lacquari per la ditta “Vibo Gru” attiva da anni nel noleggio di mezzi per l’edilizia. Un’escalation criminale con pochi precedenti che dà il “benvenuto” al nuovo anno nella città di Vibo Valentia, con buona pace della politica degli Sportelli Antiracket targata Comune e Camera di Commercio. Un 2017 che si preannuncia “caldo” già dai primi mesi invernali.

Lo scenario. Ancora presto per dire che dietro tali cinque intimidazioni vi sia la stessa mano, ma gli “indizi” vanno tutti in tale direzione. Le modalità di recapito del “messaggio” in tre casi sono identiche (proiettili lasciati dinanzi all’ingresso delle attività commerciali), in un altro si è invece preferito ricorrere alla tanica di benzina ed in un ultimo episodio (il camion incendiato alla De Angelis Arredamenti) si è fatto direttamente uso dell’accendino e del fuoco.

A rileggere la “geografia” mafiosa che vien fuori dalle ultime inchieste giudiziarie e da recenti atti investigativi colpisce la zona dove sono avvenute tali cinque intimidazioni: la città di Vibo, dal centro alla periferia. Non una sola intimidazione in tale arco temporale ha infatti colpito fuori dai “confini” cittadini che, nella geografia mafiosa, hanno limiti ben precisi rappresentati da una sola consorteria criminale – magari divisa al suo interno in più “anime” – capace di estendere il proprio “controllo” dal castello di Vibo sino alla linea di “confine” rappresentata dalla piscina comunale e dall’altro lato sino alla Stazione di Vibo-Pizzo. Non oltre, poiché varcate tali linee geografiche si entra nella “competenza” mafiosa di altre consorterie criminali: quella dei Fiarè di San Gregorio d’Ippona e dei Mancuso di Limbadi lungo la Statale 18 superata la piscina comunale; quella del clan dei Piscopisani dal campo sportivo di Piscopio a scendere per il paese e verso la Valle del Mesima; quella dei Tripodi, dei Mantino e degli stessi Piscopisani dalla Stazione ferroviaria di Vibo-Pizzo sino alle Marinate; quella dei Bonavota dalla zona del carcere andando verso Sant’Onofrio e la zona industriale di Maierato.

Il clan Lo Bianco e la città di Vibo.  La consorteria criminale capace di controllare gli affari criminali ed il racket delle estorsioni in città ha sempre avuto un solo nome: clan Lo Bianco. Lo dicono le sentenze ormai definitive, lo ribadiscono da ultimo anche i nuovi collaboratori di giustizia Raffaele Moscato e Andrea Mantella. Un clan diviso in più articolazioni al suo interno, capace però sino al 2006 di marciare unito per imporre il proprio “dominio” sugli affari illeciti a Vibo Valentia. Da un lato il “ramo” dei Lo Bianco guidati dal boss Carmelo Lo Bianco (cl. ’32), alias “Piccinni”, dall’altro il cugino omonimo, Carmelo Lo Bianco (cl. ’45), detto “Sicarro”. In mezzo alcuni nipoti che avrebbero tentato di mettere l’un contro l’altro i due cugini per far scoppiare una faida tutta interna al clan e prendere il “bastone” del comando (tentativo fallito per il chiarimento ed il riavvicinamento fra i due omonimi cugini), ma soprattutto Andrea Mantella, il ragazzo “ribelle” del clan capace di finire su “Cronaca Vera” già all’età di 12 anni dopo aver compiuto un’estorsione e che dal maggio del 2016 ha deciso di “saltare il fosso” e “vuotare il sacco” per collaborare con la giustizia.

Il nuovo scenario mafioso. Deceduto nel marzo 2014 all’età di 82 anni Carmelo Lo Bianco (alias “Piccinni” o “U Formaggiaru”) all’ospedale di Parma dove si trovava ricoverato in stato di detenzione, e morto il 10 dicembre scorso pure il 71enne Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro”, in città sono rimasti tutti gli altri affiliati al clan, da poco ritornati in totale libertà dopo aver scontato condanne definitive per il reato di associazione mafiosa rimediate al termine dei processi nati dalle operazioni “Nuova Alba” e “Goodfellas”. Da un lato i fedelissimi dei due boss deceduti, dall’altro i nipoti “ribelli” che da tempo si muovono in autonomia, dall’altro lato ancora gli ex fedelissimi di Andrea Mantella e Francesco Scrugli, quest’ultimo rimasto vittima di un agguato a Vibo Marina nel marzo 2012 nel corso della faida fra i Piscopisani (ai quali si era alleato) ed i Patania di Stefanaconi.

 Un gruppo di persone, alle quali si potrebbero unire altri elementi rimasti sinora all’ombra dei due boss e dello stesso Mantella, che avrebbe deciso di riaffermare il proprio “prestigio” criminale offuscato da anni di galera e dalla collaborazione con la giustizia di Andrea Mantella, alias “A Guscia”. Un gruppo mafioso “assetato” di denaro che potrebbe aver deciso di unire le forze per non perdere la propria “roccaforte”: Vibo Valentia, la città il cui controllo degli affari illeciti – come sottolineava già negli anni ’80 un rapporto dei carabinieri  – non rappresenta solo “un fatto meramente di prestigio, ma soprattutto di facile arricchimento”.  

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