venerdì,Gennaio 24 2025

Riciclaggio in Emilia: 11 i vibonesi condannati a Ravenna nel processo “Radici” scaturito dall’inchiesta della Dda di Bologna

Diversi gli imputati, ritenuti vicini ai clan Mancuso, Fiarè e Piromalli, che avrebbero riciclato denaro attraverso la gestione di alcune società a Imola. Ecco la sentenza per i 24 imputati e i singoli ruoli delineati dal pm e dalla Guardia di finanza

Riciclaggio in Emilia: 11 i vibonesi condannati a Ravenna nel processo “Radici” scaturito dall’inchiesta della Dda di Bologna
L'aula del Tribunale di Ravenna dove si è celebrato il processo nato dall'operazione "Radici"
Saverio Serra

Ci sono anche 12 vibonesi tra i 24 imputati dell’inchiesta “Radici” andata oggi a sentenza dinanzi al Tribunale collegiale di Ravenna (presidente Cecilia Calandra, a latere i giudici Federica Lipovscek e Cristiano Coiro). La camera di consiglio è durata quasi 80 ore (un record a Ravenna). Regge in buona parte l’impianto accusatorio messo in piedi dal pm della Dda di Bologna, Marco Forte, che il 3 dicembre scorso aveva concluso la requisitoria con le richieste di pena. Le condanne sono 21 per complessivi 98 anni di carcere rispetto ai 110 chiesti dalla Procura distrettuale. Tre le assoluzioni. Questa la sentenza per i vibonesi imputati nel processo: 13 anni e 3 mesi di reclusione per Saverio Serra, di 54 anni, di Vibo Valentia, residente a Cervia (il pm aveva chiesto 15 anni e 11 mesi); 3 anni e 7 mesi per Annunziata Gramendola, di 50 anni, di  Vibo Valentia ma residente a Cervia (chiesti 6 anni e 6 mesi); 5 anni e 10 mesi per Giovanni Battista Moschella, di 66 anni, di Vibo Valentia, ma residente a Modena (chiesti 7 anni e 3 mesi); 5 anni e 11 mesi per Antonino Carnovale, di 50 anni, di Piscopio, domiciliato a Imola (chiesti 7 anni e 8 mesi, caduta l’aggravante mafiosa); 3 anni e 6 mesi per l’avvocato del Foro di Vibo Valentia, Domenico Arena, di 49 anni, di Vibo, residente a Modena e con in precedenza uno studio legale a Spilinga (chiesti 3 anni e 8 mesi); 2 anni e 4 mesi per Pietro Piperno, di 64 anni,  di Piscopio e residente a Dozza (chiesti 2 anni e 6 mesi, caduta l’aggravante mafiosa); 2 anni per Eleonora Piperno, di 31 anni, di Piscopio, residente a Dozza (chiesti 2 anni, venuta meno l’aggravante mafiosa); 3 anni per Patrizia Russo, di 47 anni, di Piscopio (chiesti 4 anni e 3 mesi, caduta l’aggravante mafiosa); 2 anni e 8 mesi per Michele Scrugli, di 33 anni, di Vibo Valentia (chiesti 4 anni); 4 anni per Leoluca Serra, di 24 anni, di Vibo Valentia, residente a Cervia (figlio di Saverio, chiesti 4 anni e 6 mesi); 3 anni e 9 mesi per Giuseppe Maiolo, di 55 anni, di Vibo Valentia, residente a Lonato del Garda (chiesti 4 anni); assoluzione per Gianluca Cannatelli, di 30 anni, di Vibo Valentia (chiesta assoluzione pure da parte del pm).

Queste le altre condanne: 2 anni e 8 mesi per Massimo Antoniazzi, 59 anni, di Porto Valtravaglia (Va); 3 anni e 8 mesi per Marcello Bagalà, 38 anni, di Gioia Tauro (chiesti 4 anni); 2 anni per Claudia Bianchi, di43 anni, di Reggio Emilia; assoluzione per Renato Brambilla, di 83 anni, di Milano (chiesti 3 anni e 6 mesi); 3 anni per Giorgio Caglio, di 85 anni, di Milano; 3 anni e 8 mesi per Gregorio Ciccarello, 45 anni, di Catanzaro ma residente a Modena; 6 anni e 8 mesi per Alessandro Di Maina, 53 anni, di Cesenatico; 2 anni e 5 mesi Carmelo Forgione, 38 anni, di Sant’Eufemia d’Aspromonte; 2 anni e 5 mesi Giovanni Forgione, 35 anni, di Sant’Eufemia d’Aspromonte (Rc); 11 anni e 2 mesi Francesco Patamia, 37 anni, di Gioia Tauro, residente a Milano; 10 anni e 6 mesi Rocco Patamia, 61 anni, di Oppido Mamertina (Rc), residente a Monte San Pietro (Bo); assoluzione Giuseppe Sarto, 53 anni, di Taurianova, residente a Cento (Fe, chiesta assoluzione pure da parte del pm).

I risarcimenti alle parti civili

Gli imputati, a vario titolo, sono stati condannati a risarcire le parti civili, alle quali sono state riconosciute delle provvisionali. Tra queste, 250mila euro alla società Forno Imolese, 200mila alla Dolce Idea srl di Cervia più 35mila al suo legale rappresentante, 10mila ciascuno ai Comuni di Bagnacavallo e Imola, 20mila a quelli di Cervia e Cesenatico; 5mila ciascuno ai sindacati Cgil, Cisl e Uil; 5mila all’associazione contro le mafie Libera. Tra i risarciti, con cinquemila euro, anche l’ex portiere di serie A, Marco Ballotta, in quanto nel 2021 ritenuto vittima di minacce aggravate dal metodo mafioso dopo essersi rivolto a un intermediario per coprire un cospicuo debito bancario. Tutti gli imputati condannati dovranno anche pagare le spese processuali. Saverio Serra, i due Patamia e Moschella sono stati condannati anche al pagamento delle spese di custodia cautelare carceraria.

I reati contestati ai vibonesi

Il reato di associazione a delinquere veniva contestato a Saverio SerraGiovanni Battista MoschellaAntonino Carnovale e all’avvocato Domenico Arena. Per la Dda di Bologna Saverio Serra e Giovanni Battista Moschella avrebbero operato “manovre patrimoniali distrattive in favore di società riferibili ai sodali”, come nel caso della Transer srl, “formalmente intestata ad Annunziata Gramendolamoglie di Saverio Serra, amministratore nei fatti della medesima società”.  Altre “manovre patrimoniali distrattive” venivano contestate a Giovanni Battista Moschella con la Tda Packaging Design srl di Reggio Emilia e la Tda Packaging Eu srl di Modena, entrambe amministrate da Moschella in concorso con Gregorio Ciccarello. Gli imputati avrebbero compiuto condotte di autoriciclaggio rispetto ai profitti procurati attraverso i delitti di intestazione fittizia relative alla società Dolciaria italiana srl ed in relazione alle distrazioni inerenti i delitti fallimentari della società Transer srl mediante successivo trasferimento occulto degli illeciti profitti di tali azioni nella neo costituita azienda La Dolciaria Italia srl di Saverio Serra.

Le affiliazioni

Ad avviso della Guardia di finanza e della Dda di Bologna, Saverio Serra sarebbe formalmente affiliato al clan Mancuso di Limbadi con il grado mafioso di “camorrista” e venova inoltre indicato come genero di un soggetto ritenuto “prestanome per il clan Mancuso con riferimento ai rapporti commerciali intrattenuti con Pantaleone Mancuso, alias Vetrinetta”.
Giovanni Battista Moschella, detto “Il Nonno”, veniva invece indicato quale affiliato dei Mancuso di Limbadi e dei Piromalli di Gioia Tauro ed anche soggetto a disposizione del clan Tripodi-Mantino di Portosalvo e Vibo Marina.
Antonino Carnovale veniva poi ritenuto “non affiliato a nessuna cosca”, ma “a disposizione di vari clan di ‘ndrangheta come i Piscopisani, i Lo Bianco di Vibo Valentia ed i fratelli Bonavota di Sant’Onofrio” (per lui è comunque caduta l’aggravante mafiosa).

Le singole condotte

Foto repertorio

Saverio Serra sarebbe stato uno degli organizzatori dell’associazione, “manifestando tutto il suo ruolo di preminenza” nei momenti di tensione, incontrandosi di persone con i fratelli Patamia di Gioia Tauro per discutere riservatamente delle questioni organizzative del sodalizio criminale e concordare le strategie.
Giovanni Battista Moschella nelle prime fasi dell’indagine avrebbe avuto un ruolo paritetico a quello di Saverio Serra e poi di subordine a quest’ultimo, operando anche per gli interessi economici dei Patamia, nonché “intrattenendo stretti legami con l’avvocato Domenico Arena quale consigliere in alcune delle operazioni scolte dai correi”.
Antonino Carnovale avrebbe invece operato in qualità di partecipe dell’associazione, collaborando con Saverio Serra e Francesco Patamia di Gioia Tauro (35enne finito in carcere e candidato alle ultime Politiche alla Camera dei deputati con “Noi Moderati”, la formazione politica di Maurizio Lupi) nella gestione occulta del Forno Imolese srl e della Dolciaria italiana srl.

L’avvocato Domenico Arena – che da anni esercita nel territorio emiliano pur facendo parte del Foro di Vibo Valentia – era accusato di essere un partecipe dell’associazione con il ruolo di “consigliere e mediatore” rispetto alle situazioni più critiche manifestatasi nel corso dell’indagine con riferimento ad equilibri e rapporti interni tra i sodali e le persone che professionalmente si interfacciavano con loro ed in particolare quale “referente dei sodali Giovanni Battista Moschella e Saverio Serra, pur non risultando aver rivestito nei loro confronti alcun formale incarico di tutela penale rispetto alle questioni indagate”.  Le condotte criminose contestate agli indagati vibonesi si sarebbero svolte nelle province di Forlì, Ravenna, Reggio Emilia e Modena dall’inizio del 2018.

Pietro Pipernodi Piscopio e residente a Dozza (Bo), Antonino Carnovale, Saverio Serra, Francesco Patamia (candidato alla Camera nelle ultime Politiche con “Noi Moderati”), Eleonora Piperno erano invece accusati del reato di trasferimento fraudolento di valori.  In particolare, Pietro Piperno (ritenuto dagli inquirenti “contiguo alla ‘ndrina dei Fiarè” di San Gregorio d’Ippona) e il nipote Antonino Carnovale avrebbero fittiziamente attribuito a Eleonora Piperno la titolarità della società “Forno Imolese srl” con sede ad Imola.

Il contratto di cessione sarebbe stato stilato al modesto prezzo corrispondente al valore nominale del capitale, non tenendo quindi conto del valore commerciale dell’azienda ed in un clima intimidatorio consistito nella rimozione violenta ed all’insaputa del precedente rappresentante legale.  L’acquisto dell’azienda sarebbe stato “commercialmente ingiustificabile anche con riferimento alla complessiva situazione patrimoniale della famiglia Piperno che non avrebbe potuto giustificare l’investimento e l’effettiva gestione della società”.

Il collegio di difesa

Antonino Carnovale e Patrizia Russo erano difesi dagli avvocati Giuseppe Monteleone e Francesco Calabrese; Pietro ed Eleonora Piperno dagli avvocati Raffaele Manduca e Pasquale Andrizzi; Saverio Serra dagli avvocati Tiziana Barillaro e Domenico Ippolito; Leoluca Serra dall’avvocato Ippolito; Domenico Arena dagli avvocati Daniela Bondi e Lamberto Carraro; Gianluca Cannatelli dall’avvocato Nazzareno Latassa; Annunziata Gramendola dagli avvocati Nicoletta Cavani e sara Pavone; Giuseppe Maiolo dall’avvocato Francesco Nizzari; Giovanni Battista Moschella dall’avvocato Antonio Piantedosi; Michele Scrugli dagli avvocati Giuseppe Gervasi e Vincenzo Sorgiovanni.

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