‘Ndrangheta: operazione Habanero, la Cassazione lascia in carcere Giuseppe Taverniti
Viene ritenuto elemento di spicco del “locale” di Ariola di Gerocarne e della ‘ndrina dei Maiolo di Acquaro
Resta in carcere Giuseppe Taverniti, 48 anni, di Gerocarne, arrestato nel giugno dello scorso anno nell’operazione antimafia denominata Habanero con le accuse di associazione mafiosa, turbativa d’asta aggravata dal metodo mafioso e concorso in rapina pluriaggravata. E’ quanto deciso dalla quinta sezione penale della Cassazione che ha così confermato la decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro presa il 9 luglio scorso. Anche per la Suprema Corte, nei confronti di Giuseppe Taverniti – ritenuto affiliato al clan Maiolo di Acquaro – esistono “gravi indizi di colpevolezza” in ordine ai reati contestati costituiti dagli esiti delle intercettazioni e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (il fratello Enzo Taverniti, Francesco Loielo e Andrea Mantella). Già condannato per associazione mafiosa nell’operazione “Luce nei boschi” (accertata nel 1994, locale di ‘ndrangheta di Ariola di Gerocarne), Giuseppe Taverniti avrebbe continuato a gestire gli affari della ‘ndrina dei Maiolo di Acquaro pur trasferendosi a Brandizzo, in provincia di Torino. La detenzione già patita, ad avviso dei giudici, non avrebbe reciso il vincolo associativo di Taverniti e il collaboratore di giustizia Andrea Mantella l’ha accusato di aver inviato in carcere a Parma una missiva contenente la richiesta di affiliazione, in carcere, di Francesco Maiolo c1 ‘83, da Mantella poi “battezzato dandogli la dote del camorrista, durante una comune detenzione nella casa circondariale di Torino, riscontrate dal dato formale della detenzione del ricorrente Taverniti presso il carcere di Parma dal 16 febbraio 2007 al 13 dicembre 2014”.
Giuseppe Taverniti sarebbe stato quindi uomo di assoluta fiducia dei fratelli Angelo e Francesco (cl ’79) Maiolo, indicati quali vertici dell’omonima ‘ndrina di Acquaro. Anche “l’interessamento all’approvvigionamento di narcotico, i contatti e le cointeressenze con i sodali, oltre al ruolo formale di affiliato come delineato dai collaboratori di giustizia”, per i giudici costituiscono “elementi che conducono a ritenere attuale la partecipazione del ricorrente Taverniti al sodalizio senza sostanziale soluzione di continuità rispetto alla condotta partecipativa accertata nella sentenza irrevocabile” nata dall’operazione “Luce nei boschi”. Infine, anche i reati di “turbativa d’asta – finalizzata ad impedire in maniera minacciosa la partecipazione di eventuali acquirenti all’asta giudiziaria della vendita dell’abitazione del cugino, Cosimo Bertucci – e la rapina aggravata in concorso e porto in luogo pubblico di armi, “attualizzano la partecipazione al sodalizio mafioso” di Giuseppe Taverniti che resta così in carcere vedendosi rigettare dalla Cassazione il suo ricorso.
LEGGI ANCHE: Inchiesta Habanero, il collaboratore Walter Loielo: «Mio cugino Vincenzo voleva tagliare la testa al fratello»