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Usura ed estorsione nel Vibonese: chieste due condanne in appello a 13 anni dall’operazione Business Cars

Il blitz della Guardia di finanza e dei carabinieri, coordinati dalla Procura di Vibo, risale al 10 novembre del 2011. Due gli imputati rimasti nel secondo grado di giudizio. Cinque le parti civili

Usura ed estorsione nel Vibonese: chieste due condanne in appello a 13 anni dall’operazione Business Cars

E’ arrivato in secondo grado alla discussione delle parti – a ben tredici anni dall’operazione –, il processo nato dall’inchiesta denominata “Business Cars” coordinata dalla Procura di Vibo Valentia. Dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro (presidente Loredana De Franco, a latere i giudici Grillone Mastroianni), la Procura Generale ha oggi chiesto la conferma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale collegiale di Vibo: 7 anni di carcere per Giovanni Battista Tassone, 69 anni, di Soriano; 3 anni per Nazzareno Pugliese, 75 anni, di San Costatino Calabro. L’assoluzione dei due imputati è stata invece chiesta dall’avvocato Francesco Calabrese per Tassone e dagli avvocati Giuseppe Di Renzo e Giuseppe Bagnato per Pugliese.

Iter giudiziario infinito

Giovanni Battista Tassone

Il nome dato all’operazione (Business Cars), portata avanti grazie al lavoro investigativo della Guardia di Finanza e dei carabinieri, trae spunto dal fatto che un imprenditore, Giuseppe Iennarella (parte civile nel processo), titolare di un autosalone a Serra San Bruno, sarebbe stato costretto a pagare i debiti – quando non era in grado di farlo in contanti – attraverso la cessione auto di lusso che i presunti usurai, dopo averle utilizzate per un periodo, avrebbero rivenduto a commercianti compiacenti.
L’operazione è scattata il 10 novembre del 2011 e le contestazioni coprono un arco temporale che va dal 2005 al 2010. Nonostante fosse stato disposto per gli imputati il giudizio immediato (saltando quindi l’udienza preliminare), la sentenza di primo grado del Tribunale di Vibo (presidente Vincenza Papagno, giudici a latere Graziamaria Monaco e Adriano Cantilena) è  arrivata solo sei anni dopo: il 14 settembre 2018. Oltre alle condanne per gli imputati che ora si trovano in appello, in primo grado si erano registrate le assoluzioni di: Girolamo Macrì, di 46 anni, di Soriano Calabro (chiesti all’epoca dal pm 4 anni); Luigi Carè, 62 anni, di Serra San Bruno (chiesti dal pm 6 anni); Carmine Franco, 48 anni, di Catanzaro (chiesti 4 anni); Maurizio Camera, 49 anni, di Ardore (chiesti 7 anni e 8 mesi); Massimo Zappia, 48 anni, di Bovalino (chiesti 4 anni); Luciano Latella, 61 anni, di Ardore (chiesti dal pm 7 anni e 4 mesi). Tali assoluzioni non sono state appellate dalla Procura di Vibo, divenendo quindi definitive.

Le accuse franate in primo grado e le parti civili

Nazzareno Pugliese

Camera e Latella erano accusati in primo grado di aver dato in prestito a Iennarella 15mila euro ricevendo in cambio, a titolo di interessi, in soli undici mesi autovetture per un valore complessivo di oltre 131mila euro, più una cessione di auto fatturate da Iennarella per 391mila euro e di cui i due indagati, unitamente a Zappia e Franco, avrebbero pagato solo 297mila euro. In tal modo, ad avviso della pubblica accusa di primo grado, a fronte di un debito originario di 15mila euro, gli indagati avrebbero ricevuto 225mila euro, corrispondenti ad un tasso usuraio del 136% mensile. Tali contestazioni non hanno retto al vaglio del Tribunale di Vibo che in sentenza ha sottolineato comele dichiarazioni dibattimentali (confuse e contraddette da altri dati acquisiti) rese dalla persona offesa, costituita parte civile e allo stesso tempo imputato di reato connesso, corroborate da una serie di fatture dichiaratamente “inattendibili” (per voce della stessa persona offesa), in quanto realizzate ex post in seguito ai controlli della Guardia di Finanza, non possono in alcun modo – avevano rimarcato i giudici – concorrere ad accertare la responsabilità degli imputati oltre ogni ragionevole dubbio”.

Luigi Carè, Nazzareno Pugliese e Giovanni Battista Tassone avrebbero invece – secondo l’accusa – concesso all’imprenditore usurato, in più soluzioni, fra il maggio 2008 e il febbraio 2010, un prestito complessivo di 127mila e 500 euro, pretendendo ed ottenendo, a titolo di interessi, 113mila e 600 euro in contanti, due autovetture del valore 44mila euro e, per il rientro definitivo, l’ulteriore corresponsione di 400mila euro ottenuta, ad avviso degli inquirenti, mediante esplicite minacce. Tra i beni posti a garanzia del prestito usuraio figurava anche la cessione di un immobile nel Mantovano del valore di circa un milione e 600mila euro. L’accusa in questo caso non ha retto per Luigi Carè che è stato assolto e l’assoluzione è divenuta per lui definitiva. 

L’operazione contemplava infine l’usura contestata a Girolamo Macrì, residente a Soriano, ai danni del commerciante di prodotti tipici calabresi, Domenico Bellissimo, anche lui di Soriano Calabro (non costituitosi parte civile nel processo). Quest’ultimo – sentito dagli investigatori – aveva riferito che dopo il fallimento di una sua attività commerciale a Chiaravalle si era rivolto a Macrì per un prestito. In cambio, Macrì avrebbe ricevuto 53mila euro (che la parte offesa, Domenico Bellissimo, ha dichiarato di aver negoziato nel marzo 2009 e versato su un conto intestato alla figlia) – pervenuti a Bellissimo quale liquidazione per un incidente stradale occorso alla moglie Teresina Battagliapiù un magazzino sito a Soriano di proprietà di Bellissimo e dei suoi familiari che, con apposito contratto registrato il 26 agosto 2008, era stato ceduto in locazione allo stesso Bellissimo, costretto così a pagare a Girolamo Macrì – questa la tesi della Procura – un canone annuo di 2.400 euro (200 euro mensili) su un bene già di sua proprietà. “Bellissimo dichiarava di essere amico del Macrì – si legge nella sentenza del Tribunale di Vibo – sin dall’età dell’infanzia e di avergli chiesto nel 2008 un prestito di circa 20.000 o 30.000 euro”.  Bellissimo è classe 1960, Macrì classe 1978. Di rilievo, secondo gli investigatori, il fatto che l’originale del contratto di locazione tra Macrì e Bellissimo è stato ritrovato, dagli investigatori che hanno condotto l’inchiesta, nell’abitazione di Giovanni Battista Tassone. “Solo  la logica dell’appartenenza al sodalizio delinquenziale può giustificare (e dunque prova) – aveva rimarcato il gip del Tribunale di Vibo, Gabriella Lupoli – il possesso di tale documento da parte del Tassone, cioè di un soggetto che, in apparenza, è assolutamente estraneo ai rapporti fra il Macrì ed il Bellissimo”. L’accusa di associazione a delinquere, ipotizzata in un primo momento dagli investigatori, è però subito caduta per tutti gli indagati (quindi anche per Tassone e Macrì) e, quanto alla specifica posizione di Girolamo Macrì, il Tribunale ha osservato in sentenza che “le scarne, seppur non particolarmente lineari, dichiarazioni del Bellissimo non consentono di ritenere sufficientemente provato il reato contestato a Macrì, specialmente in presenza di un compendio dichiarativo così generico e incerto in merito al presunto patto sugli interessi al fine di accertare il tasso praticato”.

Parti civili nel processo – assistite dall’avvocato Giovanna Fronte – figurano così Giuseppe Iennarella e Loredana Mamone, ma anche Rocco Mannella (titolare di un autosalone a Serra San Bruno sin dal 1990 con chiusura dell’attività nel 2008) e Loredana Calabretta. I coniugi Mannella-Calabretta, ad avviso degli inquirenti, sarebbero rimasti vittime di presunte condotte usuraie poste in essere da Giovanni Battista Tassone, con tassi di interesse sino al 240% su base annua. Le dichiarazioni del Mannella trovano plurimi riscontri – hanno scritto i giudici di primo grado in sentenza – nel: contenuto delle conversazioni intercettate in merito al tipo di rapporto intrattenuto con il Tassone; nelle dichiarazioni dibattimentali della moglie dello stesso; nella perquisizione effettuata nei confronti del Tassone; ma soprattutto vi è prova documentale di alcuni degli assegni relativi ai prestiti usurari di cui il Mannella ha riferito e che sono stati acquisiti al fascicolo per il dibattimento”. Parte civile nel processo anche il Forum delle Associazioni Antiusura con gli avvocati Palermo e Rubini.

I continui rinvii in appello

Dopo la sentenza di primo grado, il processo d’appello si è aperto solo in data 1 febbraio 2023. Dopo tale udienza si sono quindi registrati una serie di rinvii con, infine, la rimessione in ruolo del processo ed ulteriori udienze datate: 24 aprile 2023, 28 giugno 2023 e 19 ottobre 2024. Quindi l’udienza odierna con le richieste delle parti (conferma della sentenza di primo grado da parte della Procura Generale e assoluzione avanzata dai difensori degli imputati). La sentenza di secondo grado, a ben tredici anni dall’operazione “Business Cars”, è attesa per giovedì pomeriggio. Se non è un record di “giustizia-lumaca”, poco ci manca.

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