Riciclaggio in Emilia: chiesta la condanna anche per 11 vibonesi e tra loro pure per un avvocato
Sono ritenuti vicini ai clan Mancuso, Fiarè e Piromalli e avrebbero riciclato denaro attraverso la gestione di alcune società ad Imola. Ecco tutte le richieste di pena e i singoli ruoli dell'inchiesta "Radici" delineati dalla Dda di Bologna e dalla Guardia di finanza
Ci sono anche 12 vibonesi tra i 24 imputati dell’inchiesta “Radici” e per 11 di loro il pm della Dda di Bologna, Marco Forte, nella tarda serata di ieri ha chiesto la condanna dinanzi al Tribunale collegiale di Ravenna. In particolare, la pubblica accusa per i vibonesi ha invocato le seguenti richieste: 15 anni e 11 mesi di reclusione per Saverio Serra, di 53 anni, di Vibo Valentia, residente a Cervia; 6 anni e 6 mesi per Annunziata Gramendola, di 49 anni, di Vibo Valentia ma residente a Cervia; 7 anni e 3 mesi per Giovanni Battista Moschella, di 65 anni, di Vibo Valentia, ma residente a Modena; 7 anni e 8 mesi per Antonino Carnovale, di 49 anni, di Piscopio, domiciliato a Imola; 3 anni e 8 mesi per l’avvocato del Foro di Vibo Valentia, Domenico Arena, di 48 anni, di Vibo, residente a Modena e con in precedenza uno studio legale a Spilinga; 2 anni e 6 mesi per Pietro Piperno, di 63 anni, di Piscopio e residente a Dozza (Bo); 2 anni per Eleonora Piperno, di 30 anni, di Piscopio, residente a Dozza (Bo); 4 anni e 3 mesi per Patrizia Russo, di 46 anni, di Piscopio; 4 anni per Michele Scrugli, di 32 anni, di Vibo Valentia; 4 anni e 6 mesi per Leoluca Serra, di 23 anni, di Vibo Valentia, residente a Cervia (Ra); 4 anni per Giuseppe Maiolo, di 54 anni, di Vibo Valentia, residente a Lonato del Garda (Bs); assoluzione per Gianluca Cannatelli, di 29 anni, di Vibo Valentia.
Queste le altre richieste del pm: 3 anni e 6 mesi per Massimo Antoniazzi, 58 anni, di Porto Valtravaglia (Va); 4 anni per Marcello Bagalà, 37 anni, di Gioia Tauro; 2 anni per Claudia Bianchi, di 42 anni, di Reggio Emilia; 3 anni e 6 mesi per Renato Brambilla, di 83 anni, di Milano; 3 anni e 6 mesi per Giorgio Caglio, di 85 anni, di Milano; 4 anni e 6 mesi per Gregorio Ciccarello, 45 anni, di Catanzaro ma residente a Modena; 9 anni e 11 mesi per Alessandro Di Maina, 53 anni, di Cesenatico; 3 anni e 6 mesi Carmelo Forgione, 37 anni, di Sant’Eufemia d’Aspromonte; 3 anni e 6 mesi Giovanni Forgione, 35 anni, di Sant’Eufemia d’Aspromonte (Rc); 13 anni Francesco Patamia, 36 anni, di Gioia Tauro, residente a Milano; 11 anni e 10 mesi Rocco Patamia, 60 anni, di Oppido Mamertina (Rc), residente a Monte San Pietro (Bo); assoluzione Giuseppe Sarto, 52 anni, di Taurianova, residente a Cento (Fe).
I reati contestati ai vibonesi
Il reato di associazione a delinquere viene contestato a Saverio Serra, Giovanni Battista Moschella, Antonino Carnovale e all’avvocato Domenico Arena. Per la Dda di Bologna Saverio Serra e Giovanni Battista Moschella avrebbero operato “manovre patrimoniali distrattive in favore di società riferibili ai sodali”, come nel caso della Transer srl, “formalmente intestata ad Annunziata Gramendola, moglie di Saverio Serra, amministratore nei fatti della medesima società”. Altre “manovre patrimoniali distrattive” vengono contestate a Giovanni Battista Moschella con la Tda Packaging Design srl di Reggio Emilia e la Tda Packaging Eu srl di Modena, entrambe amministrate da Moschella in concorso con Gregorio Ciccarello. Gli imputati avrebbero compiuto condotte di autoriciclaggio rispetto ai profitti procurati attraverso i delitti di intestazione fittizia relative alla società Dolciaria italiana srl ed in relazione alle distrazioni inerenti i delitti fallimentari della società Transer srl mediante successivo trasferimento occulto degli illeciti profitti di tali azioni nella neo costituita azienda La Dolciaria Italia srl di Saverio Serra.
Le affiliazioni
Ad avviso della Guardia di finanza e della Dda di Bologna, Saverio Serra sarebbe formalmente affiliato al clan Mancuso di Limbadi con il grado mafioso di “camorrista” e viene inoltre indicato come genero di un soggetto ritenuto “prestanome per il clan Mancuso con riferimento ai rapporti commerciali intrattenuti con Pantaleone Mancuso, alias Vetrinetta”.
Giovanni Battista Moschella, detto “Il Nonno”, viene invece indicato quale affiliato dei Mancuso di Limbadi e dei Piromalli di Gioia Tauro ed anche soggetto a disposizione del clan Tripodi-Mantino di Portosalvo e Vibo Marina.
Antonino Carnovale viene poi ritenuto “non affiliato a nessuna cosca”, ma “a disposizione di vari clan di ‘ndrangheta come i Piscopisani, i Lo Bianco di Vibo Valentia ed i fratelli Bonavota di Sant’Onofrio”.
Le singole condotte
Saverio Serra sarebbe stato uno degli organizzatori dell’associazione, “manifestando tutto il suo ruolo di preminenza” nei momenti di tensione, incontrandosi di persone con i fratelli Patamia di Gioia Tauro per discutere riservatamente delle questioni organizzative del sodalizio criminale e concordare le strategie.
Giovanni Battista Moschella nelle prime fasi dell’indagine avrebbe avuto un ruolo paritetico a quello di Saverio Serra e poi di subordine a quest’ultimo, operando anche per gli interessi economici dei Patamia, nonché “intrattenendo stretti legami con l’avvocato Domenico Arena quale consigliere in alcune delle operazioni scolte dai correi”.
Antonino Carnovale avrebbe invece operato in qualità di partecipe dell’associazione, collaborando con Saverio Serra e Francesco Patamia di Gioia Tauro (34enne finito in carcere e candidato alle ultime Politiche alla Camera dei deputati con “Noi Moderati”, la formazione politica di Maurizio Lupi) nella gestione occulta del Forno Imolese srl e della Dolciaria italiana srl.
L’avvocato Domenico Arena – che da anni esercita nel territorio emiliano pur facendo parte del Foro di Vibo Valentia – è accusato di essere un partecipe dell’associazione con il ruolo di “consigliere e mediatore” rispetto alle situazioni più critiche manifestatasi nel corso dell’indagine con riferimento ad equilibri e rapporti interni tra i sodali e le persone che professionalmente si interfacciavano con loro ed in particolare quale “referente dei sodali Giovanni Battista Moschella e Saverio Serra, pur non risultando aver rivestito nei loro confronti alcun formale incarico di tutela penale rispetto alle questioni indagate”. Le condotte criminose contestate agli indagati vibonesi si sarebbero svolte nelle province di Forlì, Ravenna, Reggio Emilia e Modena dall’inizio del 2018.
Pietro Piperno, di Piscopio e residente a Dozza (Bo), Antonino Carnovale, Saverio Serra, Francesco Patamia (candidato alla Camera nelle ultime Politiche con “Noi Moderati”), Eleonora Piperno sono invece accusati del reato di trasferimento fraudolento di valori. In particolare, Pietro Piperno (ritenuto dagli inquirenti “contiguo alla ‘ndrina dei Fiarè” di San Gregorio d’Ippona), unitamente al nipote Antonino Carnovale avrebbero fittiziamente attribuito a Eleonora Piperno la titolarità della società “Forno Imolese srl” con sede ad Imola. Il contratto di cessione sarebbe stato stilato al modesto prezzo corrispondente al valore nominale del capitale, non tenendo quindi conto del valore commerciale dell’azienda ed in un clima intimidatorio consistito nella rimozione violenta ed all’insaputa del precedente rappresentante legale. L’acquisto dell’azienda sarebbe stato “commercialmente ingiustificabile anche con riferimento alla complessiva situazione patrimoniale della famiglia Piperno che non avrebbe potuto giustificare l’investimento e l’effettiva gestione della società”.
Il collegio di difesa
Antonino Carnovale e Patrizia Russo sono difesi dagli avvocati Giuseppe Monteleone e Francesco Calabrese; Pietro ed Eleonora Piperno dagli avvocati Raffaele Manduca e Pasquale Andrizzi; Saverio Serra dagli avvocati Tiziana Barillaro e Domenico Ippolito; Leoluca Serra dall’avvocato Ippolito; Domenico Arena dagli avvocati Daniela Bondi e Lamberto Carraro; Gianluca Cannatelli dall’avvocato Nazzareno Latassa; Annunziata Gramendola dagli avvocati Nicoletta Cavani e sara Pavone; Giuseppe Maiolo dall’avvocato Francesco Nizzari; Giovanni Battista Moschella dall’avvocato Antonio Piantedosi; Michele Scrugli dagli avvocati Giuseppe Gervasi e Vincenzo Sorgiovanni.