Maestrale, resta ai domiciliari l’avvocato Sabatino: per la Cassazione aveva «rapporti anomali» con i capi di alcune cosche vibonesi
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dai legali dell’imputato nel maxi processo. Ritenuti attendibili i collaboratori di giustizia. Per i giudici avrebbe promesso informazioni «non dovute» a Domenico Macrì
«Anomala frequentazione con esponenti apicali delle cosche». La Corte di Cassazione abbraccia in toto le valutazioni del Tribunale del Riesame di Catanzaro in merito alla posizione dell’avvocato Francesco Sabatino e rigetta il ricorso presentato dalla difesa dell’imputato nel processo Maestrale che resta agli arresti domiciliari. Sabatino è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa poiché avrebbe adoperato la propria posizione di legale per supportare esponenti di diverse cosche vibonesi ad eludere le investigazioni, acquisire notizie riservate e comunicare illecitamente con l’esterno.
A maggio 2024, il Tribunale del Riesame di Catanzaro aveva confermato la misura degli arresti domiciliari dopo che la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio l’ordinanza che aveva applicato al penalista i domiciliari in sostituzione della custodia in carcere. Su questa decisione del Riesame, la difesa di Sabatino ha proposto ricorso in Cassazione che ha deciso per il rigetto.
Le argomentazioni della difesa
Nel ricorso Sabatino osserva il fatto che le dichiarazioni del collaboratore Pasquale Alessandro Megna siano state prodotte solo all’udienza di rinvio. Sui collaboratori Emanuele Mancuso e Bartolomeo Arena la difesa di Sabatino sostiene che il loro dichiarato non contenga elementi che possano ricondurre al reato di concorso esterno contestato all’imputato. Per quanto riguarda le dichiarazioni di Pasquale Megna, secondo la difesa il Tribunale del Riesame di Catanzaro non ha tenuto conto delle argomentazioni difensive a sostegno della inattendibilità del collaboratore.
Altre argomentazioni difensive vengono riportate in ordine alle intercettazioni sia in merito al loro valore probatorio che alla loro utilizzabilità.
Il colloquio con Domenico Macrì
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso non ricevibile. Riguardo ad alcune intercettazioni la difesa si era appellata al decreto Nordio che vieta la registrazione di ogni forma di comunicazione tra l’imputato e il suo difensore. Ma nei casi qui trattati, dice la Cassazione, le conversazioni non attengono al mandato difensivo. Un esempio è il dialogo dell’8 marzo 2018 tra l’avvocato Sabatino e Domenico Macrì, nel giorno in cui erano stati eseguiti i fermi dell’operazione Nemea. In quel dialogo si registra che Sabatino «nella sua veste di avvocato si era prestato a soddisfare la richiesta del Macrì, che all’epoca era suo assistito, di acquisire informazioni in merito ad un’ordinanza di fermo che non lo riguardava; come spiegato nella successiva intercettazione con altri sodali, Macrì voleva verificare se attraverso le intercettazioni fosse emersa o potesse nell’imminente futuro trarsi prova del suo coinvolgimento nel progetto omicida ai danni di Peppone Accorinti, fatto che poteva esporre il suo gruppo a condotte ritorsive».
«Fornite informazioni non dovute»
Secondo gli ermellini quel colloquio «non rientrava nell’ambito delle attività tipiche del mandato defensionale o propedeutiche al suo espletamento e non risultava finalizzato a valutare la posizione processuale del Macrì in relazione a quel provvedimento allo scopo di concordare una linea difensiva, ma quello di fornirgli informazioni non dovute, funzionali al perseguimento di altri scopi». Inoltre «Sabatino era consapevole dell’estraneità della vicenda processuale al suo assistito, tanto da esclamare: “a te che te ne frega“; ciononostante si rendeva disponibile a fare visionare gli atti e ad impegnarsi a fornire appena possibile ulteriori informazioni in merito ad un soggetto in posizione apicale nell’organizzazione criminosa».
Collaboratori attendibili
Per quanto riguarda le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia la Cassazione ritiene, innanzitutto, che «il pubblico ministero può legittimamente produrre nuovi elementi nel corso del giudizio di rinvio». Inoltre, abbracciando le valutazioni del Riesame, è stato osservato che «il narrato di Megna offre diversi elementi e fatti specifici che, nel delineare la contiguità dell’avvocato Sabatino alle cosche vibonesi e la sua costante disponibilità a fornire informazioni in ordine ai procedimenti giudiziari, a lui noti per ragioni del suo ufficio, si pongono in linea con le dichiarazioni di Arena e Mancuso, arricchendole e fornendo valido riscontro; inoltre (il Riesame, ndr) ha ribadito l’autonomia e l’attendibilità delle dichiarazioni dei due collaboratori, che non sono state oggetto di specifiche censure nel ricorso».
L’«anomala frequentazione di Sabatino con esponenti apicali delle cosche»
In merito ai risconti effettuati dagli investigatori sui riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori, la Suprema Corte ritiene che le attività di controllo e osservazione e le intercettazioni, così come rilevato dal Riesame, «hanno accertato un’anomala frequentazione dell’indagato con esponenti apicali della cosca e la sua partecipazione a riunioni con appartenenti alla cosca locale, a conferma di rapporti che esulano dai limiti del mandato defensionale e che si concretizzano in un illecito contributo e in una consapevole agevolazione del perseguimento degli obiettivi propri del sodalizio criminoso».
Gli ermellini, in particolare sottolineano gli esiti delle attività di controllo eseguite dalla polizia giudiziaria, i quali hanno rivelato «una frequentazione intensa ed anomala dell’indagato con esponenti apicali dell’organizzazione criminale operante sul territorio, sia in occasioni conviviali, che di riunioni con gli altri affiliati».
«Garantire la non collaborazione dei suoi assistiti», il caso Gallone
Questa attività «ha valorizzato inoltre la accertata attività di diffusione delle informazioni investigative svolta dal Sabatino che, pur non avendo ad oggetto notizie di carattere riservato, contribuiva tuttavia ad agevolare, con modalità sistematiche ed esorbitanti i limiti del rapporto di difesa, il patrimonio conoscitivo degli affiliati in merito allo stato delle investigazioni e ai possibili sviluppi giudiziari di queste indagini».
Sabatino, inoltre, si sarebbe prodigato nel «garantire la non collaborazione dei suoi assistiti con gli organi inquirenti». Uno di questi casi sarebbe quello di Pasquale Gallone, braccio destro del boss Luigi Mancuso, che avrebbe manifestato l’intenzione di intraprendere un percorso di collaborazione.