‘Ndrangheta, la mattanza di giovani vite lungo il confine tra la provincia vibonese e quella reggina
L’omicidio del 21enne Stefano Cirillo ammazzato con un proiettile in testa è solo l’ultimo. Prima di lui a cadere sotto i colpi dei killer sono stati altri due ragazzi, mentre un terzo se l’è cavata con un colpo di striscio al collo. Ecco cosa sta accadendo
È ancora presto per capire cosa c’è dietro l’omicidio di Stefano Cirillo, il giovane di appena 21 anni ammazzato come un boss nella serata di giovedì a San Pietro di Caridà, minuscolo centro del reggino al confine della provincia vibonese, teatro negli ultimi due anni di una mattanza che finora conta tre vittime, tutte sotto i 30 anni, e un “sopravvissuto” scampato ad un agguato a colpi di lupara. In questo fazzoletto di Calabria tra i due territori più caratterizzati dalla ‘ndrangheta, sono forti gli interessi per gli affari legati al taglio e alla vendita degli alberi dei boschi o quelli legati ai campi di marijuana disseminati un po’ ovunque sulle colline della zona.
I magistrati della procura di Palmi (anche se il fascicolo potrebbe passare presto nelle mani della distrettuale antimafia dello Stretto) per ora non lasciano chiusa nessuna ipotesi, ma l’idea che l’ennesimo fatto di sangue accaduto in paese possa intrecciarsi con gli interessi del crimine organizzato sembra poggiare su basi solide.
La mattanza dei giovanissimi
Dalle prime ricostruzioni effettuate dai carabinieri di Gioia Tauro, il killer avrebbe aspettato il suo obiettivo tra le vie della frazione di Monsoreto, non lasciandogli scampo. Uno dei numerosi colpi esplosi ha infatti colpito il ragazzo, che non aveva grossi precedenti penali se si esclude una denuncia per resistenza, alla testa. Un omicidio eclatante, quando da poco era scesa la sera, e che si somma agli altri fatti di sangue degli ultimi anni.
Una mattanza che nell’aprile scorso aveva visto cadere Domenico Oppedisano, anche lui giovanissimo, 24 anni appena, ammazzato a colpi di pistola. Il ragazzo era stato sorpreso dal suo assassino mentre lavorava. E ancora qualche mese più indietro, quando sotto i colpi di un commando di fuoco, venne ucciso a colpi di lupara a Dinami, appena oltre il confine della provincia, Alessandro Morfei, con i suoi 30 anni, la più “anziana” vittima di quella che potrebbe essere una faida esplosa tra famiglie rivali che operano in quella zona di nessuno rappresentata dall’invisibile linea di demarcazione tra Reggio e Vibo. Era invece miracolosamente scampato all’agguato, storia che risale all’agosto scorso, un altro giovanissimo, Pietro Morfei, colpito solo di striscio al collo mentre si trovava con la fidanzata a bordo della sua auto. Suo padre, Alessandro Morfei, era stato giustiziato a colpi di arma da fuoco nel 1998.
Considerata zona di confine tra il mandamento tirrenico di Reggio e quello di Vibo, l’area teatro di questa nuova esplosione di violenza armata non è nuova ai fatti di sangue. Quello che colpisce però, in questa storia tremenda che sembra richiamare l’inizio di altre faide legate alla gestione della montagna nella zona delle Preserre, è la giovane età delle vittime, tutte sotto i trenta anni. Dietro gli omicidi, ipotizzano gli inquirenti, potrebbero celarsi gli interessi delle famiglie legate al crimine organizzato di due mandamenti diversi.
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