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Bufera sul Comune di Vibo, la politica con le “spalle al muro”

Proseguono a ritmo serrato le indagini della Guardia di finanza e della Dda di Catanzaro mentre il caso è all’attenzione anche della Prefettura

Bufera sul Comune di Vibo, la politica con le “spalle al muro”
Palazzo Luigi Razza, sede del Comune

Vanno avanti a ritmo serrato le indagini della Guardia di finanza di Vibo Valentia, coordinate dal pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo, dopo l’acquisizione di una mole consistente di documenti a “palazzo Lugi Razza”. Contestualmente, l’attenzione in queste ore si sposta inevitabilmente sulla Prefettura di Vibo Valentia chiamata a valutare diversi aspetti di sua competenza. In primis l’invio di una commissione di accesso agli atti per accertare eventuali infiltrazioni mafiose e condizionamenti mafiosi nella vita dell’ente. Al di là dei risvolti penali della vicenda – di competenza della Procura (in questo caso della Dda in quanto i reati ipotizzati sono aggravati dalle finalità mafiose) – l’Ufficio territoriale di governo dispone infatti di ulteriori poteri per accendere i “riflettori” anche su legami, parentele, cointeressenze, frequentazioni ed intrecci fra i politici che siedono a “palazzo Luigi Razza” e soggetti controindicati, pregiudicati o in odore di mafia.  [Continua dopo la pubblicità]

L'aula del consiglio comunale di Vibo

Ci siamo già occupati con un’apposita inchiesta il 23 maggio scorso, a tre giorni dalle elezioni comunali del 26 maggio, della fitta presenza in quasi tutte le liste in campo di candidati al consiglio comunale condannati, con procedimenti penali in corso, ma soprattutto richiamati in diversi atti di indagine delle inchieste antimafia più importanti per i loro legami o rapporti con esponenti di spicco della criminalità organizzata locale: clan Lo Bianco, clan Mancuso e consorteria dei Piscopisani in testa. All’esito delle elezioni comunali, cinque fra i candidati citati nelle inchieste antimafia sono risultati eletti in Consiglio e siedono quindi fra gli scranni dell’aula consiliare di “palazzo Luigi Razza”.

In particolare, un consigliere comunale viene segnalato per rapporti e frequentazioni con il defunto boss di Vibo dell’omonimo clan Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro”. Insieme sono stati intercettati mentre si recavano al matrimonio del figlio di un esponente della “famiglia” Barba (storicamente alleata ed organica al clan Lo Bianco) commentando anche la presenza a tale matrimonio del boss di Tropea, Tonino La Rosa, e la conoscenza di altri criminali da parte del boss Lo Bianco. Le intercettazioni sono finite negli atti dell’operazione “Nuova Alba” contro il clan Lo Bianco-Barba, scattata nel febbraio del 2007 ad opera della Squadra Mobile di Vibo Valentia, ed anche negli atti dell’inchiesta “Purgatorio” condotta nel 2013 dai carabinieri del Ros di Catanzaro. Legami parentali con la “famiglia” Barba ha anche altro consigliere comunale, nei primi anni ‘90 coinvolto insieme ad altri numerosi indagati in un’inchiesta della Procura di Vibo su usura ed estorsioni. Un’inchiesta che è però naufragata fra assoluzioni e prescrizioni.

Altro consigliere comunale emerge invece nell’indagine “Rimpiazzo” per un contatto telefonico con una persona indagata nell’inchiesta per associazione mafiosa, narcotraffico ed estorsione ed in cui discutono di banche e questioni finanziarie. Altro consigliere ancora viene indicato nella stessa inchiesta dal collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato, come vicino al clan dei Piscopisani, mentre un figlio di tale consigliere (in passato anche assessore comunale) viene indicato dallo stesso collaboratore quale intestatario di un’attività commerciale riconducibile – secondo gli investigatori – sempre al clan dei Piscopisani.

Altro consigliere comunale è poi imparentato la famiglia Lo Bianco di Vibo Valentia. Un fratello di tale candidato – quale titolare di un’agenzia funebre – è stato denunciato dai carabinieri alla Procura di Vibo (ed è tuttora indagato) per la tumulazione di alcuni migranti in spregio alla legge (presunta inosservanza delle norme di polizia mortuaria), in alcuni casi – secondo i riscontri dei carabinieri – seppelliti senza cassa in legno a rivestire il contenitore di zinco. Le indagini dei militari dell’Arma sono finalizzate anche a chiarire tutti gli aspetti sulle procedure adottate dal Comune di Vibo per l’affidamento diretto del servizio a tale agenzia di onoranze funebri (tumulazione delle salme e fornitura delle bare), senza mai predisporre un bando trattandosi di un appalto inferiore ai quarantamila euro.

Un “quadro” a tinte fosche, dunque, che potrebbe mettere a rischio gli organi elettivi del Comune di Vibo. Da ricordare, infatti, che la legge sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafiose – al di là degli atti in cui si ravvisano i condizionamenti esterni sul Comune – consente di mettere “a nudo” anche figure che con la loro stessa presenza finiscono per svilire l’immagine ed il prestigio che un Municipio deve pur sempre conservare.

Le responsabilità della politica e l’occasione storica. Ecco così che mai come questa volta, la classe politica locale si trova dinanzi ad un bivio ed ha un’occasione storica per riscattarsi agli occhi di un’opinione pubblica sempre più delusa e preoccupata. La politica ha infatti la possibilità di fareora o mai più – “pulizia” al proprio interno andando a scovare essa stessa quelle anomalie, quelle irregolarità e quelle illegalità di cui è alla ricerca la Guardia di finanza e la Dda di Catanzaro. Ognuno nel rispetto dei propri ruoli, certo – politica e inquirenti – ma la prima non pensi di delegare tutto alla seconda perché commetterebbe un errore imperdonabile. La politica locale conosce – perché vengono indicati nel decreto di acquisizione notificato in primis al sindaco Maria Limardo – i documenti e gli atti di cui gli investigatori hanno chiesto “lumi” (li abbiamo anche pubblicati).

Francesco Zito
Il prefetto di Vibo Valentia Francesco Zito

Se gli amministratori (giunta e consiglieri) non segnaleranno quindi in tempi ragionevoli all’opinione pubblica ed agli inquirenti alcuna irregolarità nei documenti che essi stessi possono – e devono, a questo punto – visionare, vorrà dire che non avranno individuato alcuna anomalia. E ben venga per loro se l’inchiesta della Dda dovesse concludersi con un’archiviazione. Ma se – come appare probabile – l’indagine dovesse registrare ulteriori sviluppi con conseguenti provvedimenti giudiziari, la politica locale verrà messa “spalle al muro” e dinanzi alle proprie (gravi) responsabilità: incapace cioè di individuare il marcio nella vita amministrativa dell’ente e, quindi, del tutto inutile ed improduttiva per i cittadini e per quanti hanno affidato loro un mandato elettorale.

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