Baker Hughes via da Corigliano Rossano. Ma per investire quei 60 milioni di euro qui a Vibo ecco cosa serve e cosa c’è già
Enrico Mattei scelse l'area per un insediamento industriale inaugurato poi da Fanfani. Ora per attirare nuovi investimenti servono opere infrastrutturali importanti, a cominciare dal dragaggio dei fondali
Il gruppo industriale Baker Hughes, presente a Vibo fin dagli anni ’60 con lo stabilimento Nuovo Pignone, ha reso nota l’intenzione di rinunciare all’investimento da 60 milioni di euro previsto nel porto di Corigliano, un progetto che avrebbe creato 200 posti di lavoro e un altro centinaio nell’indotto. «Sono venute a mancare – si legge nella nota diramata dalla multinazionale statunitense – le condizioni per poter proseguire». L’azienda sta valutando alternative, anche se ora nella partita si è inserito pure il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che sta tentando una mediazione per covincere il gruppo industriale a ripendsarci.
I fattori che, circa sessanta anni fa, avevano indotto l’Eni di Enrico Mattei a scegliere la zona costiera di Vibo Valentia per un insediamento industriale nel settore metalmeccanico, erano state le condizioni pianeggianti dell’area prescelta e la sua vicinanza ad importanti vie di comunicazione come il porto e la ferrovia. Fu una scelta indovinata e per l’inaugurazione dello stabilimento intervenne addirittura l’allora presidente del Consiglio, Amintore Fanfani.
Anche per questo la decisione di Baker Hughes di scegliere Corigliano per il nuovo investimento aveva creato rammarico e delusione. Ma purtroppo i ritardi accumulati in decenni e la mancanza di attenzione verso il porto di Vibo Marina hanno avuto un peso preponderante nelle decisioni della multinazionale americana che altrove, ad esempio Massa dove il Comune ha destinato all’azienda una grande area in ambito portuale per l’assemblaggio dei componenti dei macchinari che poi vengono esportati in tutto il mondo, ha trovato estrema disponibilità e attenzione da parte delle istituzioni. A questo punto sarebbe auspicabile che la politica vibonese, uscendo dal suo lungo stato di afasia e di torpore, faccia finalmente sentire la sua voce proponendo all’azienda, già presente nel territorio comunale con lo stabilimento di Porto Salvo, altamente competitivo a livello internazionale, che venga presa seriamente in considerazione l’ipotesi di dirottare l’investimento, previsto per Corigliano-Rossano, verso il porto di Vibo Marina.
In tale direzione si è già, tempestivamente, mosso il sindaco della città, Enzo Romeo. Ma una generica dichiarazione di disponibilità non basta, bisogna trovare, e al più presto, soluzioni concrete da sottoporre ai vertici dell’azienda in sinergia con l’Autorità portuale. Certamente saranno frapposti ostacoli e si obietterà, in primis, che mancano le aree disponibili per i capannoni nelle vicinanze dell’infrastruttura portuale, nonché il necessario pescaggio dei fondali. Una risposta in grado di superare queste difficoltà potrebbe arrivare dall’Autorità di sistema portuale, ente di governance del porto Vibo Marina, che potrebbe decidere di inserire nel prossimo Piano triennale le opere necessarie all’investimento, ad iniziare dal dragaggio dei fondali. Mentre, invece, è già previsto il consolidamento della banchina commerciale Bengasi. Per quanto riguarda la disponibilità delle superfici necessarie all’investimento, da parte dell’amministrazione comunale si potrebbe finalmente decidere di utilizzare le aree degli insediamenti industriali dismessi, prima fra tutti l’area dell’ex Basalti & Bitumi.
Solo in presenza di una proficua collaborazione tra Comune ed ente di governance portuale si potrà tentare di convincere l’azienda a cambiare programma. Si tratta di una carta che vale la pena giocare fino in fondo per evitare, usando le parole pronunciate dal presidente dell’AdSP Andrea Agostinelli dopo la diramazione della notizia del dietrofront di Baker Hughes, che «duecento giovani calabresi prendano la via del Nord per cercare la loro occasione».
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