‘Ndrangheta: l’omicidio di Antonio D’Amico a Piscopio e la riapertura delle indagini
Ucciso nel 2005 sotto casa della nonna con ben undici colpi di pistola, del 27enne parlano i collaboratori Moscato e Taverniti
Omicidi rimasti impuniti ed indagini riaperte grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Fra i fatti di sangue più cruenti commessi nel Vibonese e sui quali potrebbe essere fatta piena luce a distanza di anni vi è quello di Antonio D’Amico, ucciso all’età di 27 anni nella notte fra l’1 ed il 2 giugno del 2005 a Piscopio sotto casa della nonna. La vittima, che si trovava a bordo di uno scooter, venne raggiunta da undici colpi di pistola poco dopo mezzanotte mentre stava per imboccare una traversa di via Mesima alle spalle della chiesa del paese. A sparare, secondo i rilievi dell’epoca, almeno due pistole di grosso calibro che hanno attinto la vittima al torace ed alla testa. Inutili i soccorsi dei parenti, fra i quali un fratello di Antonio D’Amico, anche lui noto alle forze dell’ordine. Il 27enne rimasto vittima dell’agguato (che qualche tempo prima di essere ucciso si era trasferito a Soriano), nel 1997 era stato coinvolto insieme ad altri tre giovani nelle indagini sull’omicidio di un ragazzo di nazionalità slava inseguito e poi ucciso lungo la strada provinciale numero 182 vicino lo svincolo autostradale delle Serre. Da tale procedimento, però, Antonio D’Amico era stato assolto in via definitiva. Nel gennaio del 2000, quindi, Antonio D’Amico era stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione denominata “Tuono”, condotta dai carabinieri e coordinata dalla Procura di Vibo. Agli indagati (tutti arrestati) – fra i quali anche Vincenzo Loielo (poi ucciso nella strage di Ariola del 22 aprile 2002), Francesco Maiolo di Acquaro e l’allora sindaco di Dasà Luciano Scaturchio – l’accusa di aver costituito un gruppo dedito al racket delle estorsioni ed alla commissione di altri reati. Nell’occasione, Antonio D’Amico si rese irreperibile, venendo arrestato solo a maggio del 2000 dai carabinieri nelle campagne di Soriano Calabro. [Continua dopo la pubblicità]
Il 17 giugno del 2013 è stato il collaboratore di giustizia, Enzo Taverniti, di Gerocarne, nel corso dell’udienza del processo “Luce nei boschi”, celebrato dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, a fare per primo il nome di Antonio D’Amico. Secondo il pentito, infatti, ad eliminare il 23 luglio 1998 con il metodo della “lupara bianca” il boss di Acquaro Antonio Maiolo (il cui cadavere è stato ritrovato nel 2008 proprio grazie alle dichiarazioni di Taverniti, nipote dello stesso Maiolo) sarebbero stati Vincenzo Loielo, cognato del collaboratore Taverniti, ed Antonio D’Amico di Piscopio.
Le dichiarazioni di Moscato. A permettere la riapertura delle indagini sull’omicidio di Antonio D’Amico sono quindi ora le nuove dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato, ex killer ed elemento di spicco del clan dei Piscopisani. “Sono a conoscenza dell’omicidio avvenuto a Piscopio di Antonio D’Amico – ha fatto mettere a verbale il pentito – elemento di spicco della ‘ndrangheta delle Preserre vibonesi. Lui, Antonio D’Amico, faceva parte di una fazione alleata ai Piscopisani. Io all’epoca non facevo parte della criminalità – ha aggiunto Moscato – ma spacciavo e questo episodio mi è stato raccontato”. Il resto delle dichiarazioni di Raffaele Moscato sono ancora coperte da segreto investigativo, ma potrebbero permettere agli inquirenti di “chiudere il cerchio” su un delitto eclatante rimasto sinora impunito al pari di tanti altri fatti di sangue che la Dda di Catanzaro sta cercando di risolvere incrociando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Raffaele Moscato ed Andrea Mantella con gli elementi di indagine raccolti all’epoca dei fatti dagli investigatori.
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