‘Ndrangheta, il consiglio di Ceravolo al presunto boss D’Onofrio che voleva lasciare l’Italia: «In Brasile la polizia non vi guarda»
Il sindacalista provò a offrire 1.000 euro a una funzionaria per un visto. I rapporti tra stretti con il capo e la testimonianza a Rinascita Scott. I racconti del pentito: «Era un prestanome di Razionale»
L’ultima persona incontrata prima di testimoniare a Rinascita e la prima vista appena tornato in Italia dopo un viaggio in Brasile. I consigli sui documenti da fare per andare in Brasile. Il rapporto tra Franco D’Onofrio e Domenico Ceravolo appare molto stretto.
«Mpare» – forma contratta e diminutiva di compare – è l’appellativo col quale Domenico Ceravolo, componente della Filca Cisl (sospeso dopo l’arresto con l’accusa di essere intraneo a alla ‘ndrangheta piemontese), si rivolge a Franco D’Onofrio, capo del locale di Carmagnola. Nel corso delle intercettazioni dell’inchiesta torinese Factotum, i finanzieri della Provinciale di Torino riportano spesso questo intercalare. Il sindacalista e il presunto boss sono stati sottoposti a provvedimento di fermo nei giorni scorsi: la Dda di Torino li considera due tasselli nell’infiltrazione della ‘ndrangheta in Piemonte.
Quando D’Onofrio voleva lasciare l’Italia
È a Ceravolo che il boss confida di voler lasciare l’Italia. Sospetta di essere soggetto ad indagini e il via vai di pregiudicati nella sua casa non lo aiuta a stare sereno.
Il 13 giugno scorso D’Onofrio manifesta a Ceravolo la volontà di partire non appena terminata la detenzione domiciliare. Nemmeno un mese dopo i due si trovano a parlare del viaggio in Brasile di Ceravolo, avvenuto a luglio. Ceravolo informa D’Onofrio sulle lungaggini per ottenere un visto che permetta un soggiorno superiore ai 90 giorni.
«Mpare Franco è un’odissea, guardate… no mpare Franco è complicato per i documenti».
L’offerta di mille euro per ottenere il visto
Ceravolo racconta di avere anche offerto 1000 euro a una funzionaria brasiliana per il rilascio del visto ma, nonostante questo, non aveva concluso nulla. La procedura per il rilascio del visto prevedeva il possesso di altri documenti tra cui il «cpf che sarebbe il codice fiscale».
D’Onofrio si mostra interessato all’argomento Brasile e chiede informazioni sui documenti ma il suo presunto sodale evidenzia l’artificiosità della procedura da eseguire per ottenere un visto che superi i 90 giorni: «Il visto dura un anno e lo potete avere o per motivi familiari o come o come o vi dovete dichiarare rifugiato, un casino». Allo stesso tempo Ceravolo magnifica la la libertà con la quale poteva muoversi in Brasile senza essere attenzionato dalla polizia: «Là il bello sapete che è? Potete camminare… là la polizia non vi guarda… qua qua nessuno … almeno dov’ero io, io camminavo a piedi ormai mi conoscevano mpare Franco».
I contatti con D’Onofrio prima dell’udienza di Rinascita
Quando il sindacalista viene sentito come teste della difesa nel maxi processo Rinascita Scott, il 18 febbraio 2023, si reca nel Vibonese prima della sua udienza. Al telefono però racconta di essere sceso in Calabria per un pellegrinaggio al santuario di Polsi.
L’udienza nell’aula bunker di Lamezia Terme è concitata. Si tratta la posizione dell’imputato Giovanni Giamborino (accusato di essere molto vicino al boss Luigi Mancuso) e dei verbali del collaboratore di giustizia Andrea Mantella. Ceravolo – chiamato come teste a discarico di Giamborino – nega di essersi interessato ai verbali di Andrea Mantella o di sapere chi sia il boss Luigi Mancuso. La Dda si riserva di trasmettere gli atti per falsa testimonianza. Le indagini evidenziamo come Franco D’Onofrio sia l’ultima persona che Ceravolo incontra prima di recarsi in Calabria per la deposizione e, tornato a Torino, Ceravolo vede immediatamente e contemporaneamente Francesco D’Onofrio e Antonio Serratore, altro indagato tratto in arresto in Factotum.
La visita a casa Giamborino
Inoltre, nel corso del proprio soggiorno vibonese, Domenico Ceravolo si reca nell’abitazione di Francesco Giamborino, fratello di Giovanni Giamborino, a Piscopio, frazione di Vibo. Per questo incontro i due non si non si sono chiamati al telefono. A metterli in contatto ci ha pensato il figlio di un altro pregiudicato, Salvatore Giuseppe Galati, detto Pino il Ragioniere, condannato a 12 anni in appello nel processo Rimpazzo, indicato quale capo società del locale di Piscopio.
Mantella e i rapporti tra l’Architetto e Saverio Razionale
Mentre il procedimento per falsa testimonianza sta seguendo il suo corso, tornano in auge alcuni passaggi del maxi processo contro la ‘ndrangheta vibonese.
La Dda di Torino, che ha coordinato l’inchiesta Factotum, ha infatti tenuto in conto alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Mantella che si riferivano proprio a Domenico Ceravolo il quale viene indicato con l’alias l’Architetto.
Mantella parla di rapporti tra Ceravolo e Saverio Razionale, boss di San Gregorio D’Ippona. Descrive il sindacalista come una sorta di prestanome di Razionale il quale «l’ha utilizzato per intestarsi un contratto d’affitto». Il collaboratore e l’Architetto hanno dei trascorsi, c’è stato anche un processo, finito con un’assoluzione, nel corso del quale Mantella è stato accusato di avere fatto un’estorsione e Ceravolo per dei lavori non pagati.
I problemi di soldi di Ceravolo e la protezione di Mantella
Mantella parla anche di problemi di debiti e di un caso di usura che Ceravolo avrebbe avuto, intorno al 2009/2010 con gente di Vena di Ionadi e con persone legate a Enzo Barba. Su invito di Razionale si sarebbe rivolto a Mantella per ottenere protezione e Mantella racconta di essere andato a parlare con i suoi creditori. «C’era stato un prestito usurario, un prestito di strozzinaggio, i soldi erano soldi sporchi, di provenienza illecita del settore della criminalità organizzata, erano guadagni che facevano illecitamente, voglio dire, l’avevano portalo alla disperazione, tanto è vero che questo signor Ceravolo era andato a vivere con i genitori…». Tutti elementi da sottoporre ai riscontri investigativi del caso.