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Il piano per screditare il pentito Andrea Mantella: il clan di Carmagnola e le accuse della Dda di Torino

Sei le persone fermate in Piemonte con l’operazione Factotum. Il controllo del settore edile da parte di Ceravolo, l’intesta con Serratore per testimoniare nel maxi processo. L’estorsione da 20mila euro in gioielli

Il piano per screditare il pentito Andrea Mantella: il clan di Carmagnola e le accuse della Dda di Torino

Associazione mafiosa, estorsione, ricettazione, possesso illegale di armi e, tra le righe dell’operazione Factotum appare anche l’intento di screditare il collaboratore di giustizia Andrea Mantella nel corso del processo Rinascita Scott.
Sono accusate di appartenere alla cellula ‘ndranghetista, di Carmagnola, in Piemonte le sei persone fermate ieri nel corso di una operazione condotta dal comando provinciale della Guardia di finanza di Torino, guidato dal generale Carmine Virno, e coordinata dalla Dda del capoluogo lombardo, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri.
Le origini di questa cellula sono bene agganciate alla Calabria e al territorio vibonese in particolare. Al vertice troviamo, infatti Francesco D’Onofrio, nato a Mileto 69 anni fa, ritenuto affiliato alla ‘ndrangheta fin dal 2006, già legato al clan torinese retto dai fratelli Adolfo e Aldo Cosimo Crea.

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Dal controllo del settore edile alla testimonianza nel maxi processo

Insieme a lui è stato posto in stato di fermo Domenico Ceravolo, 47 anni, di origini vibonesi, operatore sindacale e membro (ora sospeso) della sigla Filca-Cisl, considerato uomo posto al “controllo” del settore edile con un occhio di riguardo per le imprese vicine al clan, favorendo – sostiene la Dda di Catanzaro – l’assunzione di soggetti vicini al sodalizio, legati alle famiglie Arona, Serratore e Defina, che avrebbe anche aiutato nel presentare la domanda per il reddito di cittadinanza. Nell’interesse della cosca avrebbe anche intrattenuto rapporti con Onofrio Garcea, capo dell’articolazione genovese della cosca Bonavota di Sant’Onofrio.
Notoria è l’accusa di avere favorito la latitanza di Pasquale Bonavota a Genova fornendogli il suo documento di identità, fatto scoperto in seguito alle perquisizioni dei carabinieri in casa dello stesso Bonavota. Precedentemente aveva testimoniato nel corso del maxi processo Rinascita Scott dove avrebbe – sostengono le Distrettuali di Catanzaro e Torino – dichiarato il falso per screditare il collaboratore di giustizia Andrea Mantella.

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L’accordo per rendere falsa testimonianza

Nell’articolazione colpita dal fermo troviamo che Antonio Serratore, 50 anni di Vibo Valentia, considerato attivo nell’articolazione associativa carmagnolese. Serratore non solo avrebbe favorito la latitanza di Pasquale Bonavota ma avrebbe anche concordato con Ceravolo termini e modi per rendere falsa testimonianza nel corso del processo Rinascita Scott. Avrebbe preteso illeciti pagamenti di denaro da terze persone, mandando i suoi sodali mentre lui era detenuto.

I nuovi adepti

Si sarebbe inserito nell’organizzazione mafiosa carmagnolese nel 2022 Rocco Costa, nato a Vibo Valentia 59 anni fa, e si sarebbe prodigato sul territorio di Carmagnola per fornire protezione ad imprenditori nel corso di dissidi con altri operatori del settore, riscuotendo somme di denaro da destinare agli associati.
Claudio Russo, 50 anni, avrebbe risposto agli ordini di Francesco D’Onofrio anche lui a partire dal 2022 e sarebbe diventato il custode di somme di denaro.

Il consigliere

E’ considerato, invece, affiliato alla ‘ndrangheta dal 2003 Giacomo Lo Surdo, 51 anni, con precedenti nella cosca Crea e legatosi al gruppo di D’Onofrio almeno dal 2023. Viene identificato come una sorta di consigliere circa le strategie da tenere dopo la liberazione dei componenti del gruppo Crea e riportando al capo cosca i dissidi sorti tra i vari imprenditori.

L’estorsione da 20mila euro in gioiello

Il gruppo è accusato di aver compiuto estorsioni, ricettazione e detenzione di armi. Le vittime sono commercianti e imprenditori. Da uno, in particolare, si sarebbero fatti consegnare il corrispettivo in gioielli, di 20mila euro. La pretesa di denaro nei confronti di un altro si sarebbe manifestata con la minaccia: «Questo è in galera non è che uno…già glieli deve mandare fuori, mo che è in galera, che fa? glieli dai ogni morto di papa? digli pure 100 euro, 200 euro…deve avere l’intenzione, pure che lui è messo male, 100 euro, 200 euro».

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