«Non so chi sia zio Luigi»: il sindacalista di Vibo accusato di essere vicino alla ’ndrangheta e lo scontro con il pm di Rinascita Scott
Domenico Ceravolo, fermato dalla Dda di Torino, fu protagonista di un’infuocata deposizione nell’aula bunker di Lamezia Terme. L’amicizia trentennale con Giamborino e le contestazioni della Dda sul suo interesse per i verbali di Mantella
Oggi è un sindacalista sospettato di essere in rapporti con la criminalità organizzata in Piemonte, allora era un teste mai neppure segnalato dalla polizia giudiziaria. Domenico Ceravolo, sindacalista 46enne originario di Vibo Valentia, è tra i sei fermati martedì 24 settembre nell’inchiesta Factotum della Guardia di finanza di Torino. Il suo confronto con il pm della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci risale al 18 febbraio 2023. Un interrogatorio, quello reso nel processo Rinascita Scott, dai toni molto accesi.
L’uomo originario di Vibo Valentia – città che spiega di aver lasciato nel 2011 per farvi ritorno, poi, per motivi familiari nel corso degli anni – commenta alcune sue conversazioni con Giovanni Giamborino, considerato dagli investigatori uno dei fedelissimi del boss Luigi Mancuso e condannato a 19 anni e 6 mesi in primo grado. Le sue parole non convincono affatto il pm Annamaria Frustaci e il Tribunale trasmetterà la sua deposizione alla Procura ipotizzando il reato di falsa testimonianza. Ieri il sindacalista è stato fermato dall’antimafia di Torino per il suo presunto ruolo al servizio di quello che sarebbe un gruppo criminale piemontese guidato da Francesco D’Onofrio, 68enne originario di Mileto.
Ceravolo, 46 anni, compare anche in un’altra fase del maxi processo alla ’ndrangheta del Vibonese. Frustaci chiede di risentirlo a processo in corso (ma non accadrà) dopo la cattura del boss latitante Pasquale Bonavota, avvenuta il 26 aprile 2023. Nel covo del capoclan di Sant’Onofrio viene, infatti, trovato un documento d’identità del sindacalista: circostanza che la Dda di Catanzaro vorrebbe chiarire in aula. Anche un pezzo dell’inchiesta torinese Factotum ruota attorno alla latitanza di Bonavota, che avrebbe trascorso in Piemonte una parte dei suoi giorni da fuggiasco. Ma questa è un’altra storia: torniamo ai giorni di Rinascita Scott.
Lo scontro con il pm: «Pensa di prenderci in giro?»
«Ma lei pensa che noi siamo qui per farci prendere in giro?». Il pm Frustaci rimbrotta duramente il sindacalista della Filca Cisl nell’aula bunker di Lamezia Terme. Il magistrato ha appena riportato a Ceravolo il contenuto di una intercettazione. Il contesto è quello della caccia al contenuto dei primi verbali di Andrea Mantella da pentito. Nel 2016, quando si scopre che l’ex vertice dei Piscopisani collabora con i magistrati antimafia, molti a Vibo cercano di capire quali siano i contenuti delle sue rivelazioni.
Ceravolo torna a Vibo tra l’ottobre e il novembre del 2016: spiega che i verbali del pentito non sono il motivo di quel viaggio. Frustaci riferisce di una conversazione tra l’uomo che si è trasferito a Torino e Giovanni Giamborino: tra i due c’è un’amicizia trentennale («era un amico di mio padre»).
«Da questa conversazione – spiega il magistrato – sembrerebbe che lei contatti Giamborino proprio per sapere se era possibile leggere le carte della collaborazione di Andrea Mantella con (probabilmente nel senso di “insieme a”, ndr) l’avvocato Stilo. Le chiedo innanzitutto: conosce l’avvocato Stilo?». «No», risponde il teste.
«E perché ne fa menzione?», incalza il pm. Risposta: «Io non ho fatto nessuna menzione: ho chiesto a Giovanni se avesse le carte». «Lei nega di conoscere l’avvocato Stilo – mette a verbale Frustaci –, dopo di che noi abbiamo non solo un dato intercettivo ma anche un imputato (sarebbe lo stesso Stilo, ndr) del processo che ha riferito sul punto».
Il pm insiste su quel dialogo intercettato finito nell’inchiesta Rinascita Scott: «Lei dice su domanda del difensore e in aperto contrasto con questo dato intercettivo che Giamborino le avrebbe detto di non avere né potersi procurare le carte di Mantella. Sembrerebbe che invece Giamborino faccia riferimento alla necessità di parlare con un altro avvocato» che dice di avere quei verbali. «E poi – continua – si fa riferimento a un certo zio Luigi e al fatto che queste carte sarebbero state viste là sotto da zio Luigi. Chi è questo zio Luigi di cui stava parlando con lei Giamborino, lei ne ha l’idea?».
«No, non lo conosco», dice Ceravolo. «E perché parla con lei in tono confidenziale Giamborino di questo zio Luigi e lei non domanda “di chi stai parlando?”», insiste Frustaci.
«Ma perché non mi interessava…». Per il magistrato della Dda di Catanzaro è abbastanza: «Ma lei pensa che noi siamo qui per farci prendere in giro? Chiedo al Tribunale di ammonire il teste in ordine alle conseguenze a cui va incontro chi risponde il falso». Il sindacalista ribadisce: «Io non lo conosco questo zio Luigi».
I verbali di Mantella e i “non ricordo” di Ceravolo
Frustaci va avanti con la sintesi della conversazione agli atti. Ceravolo dice di essersi interessato ai verbali di Mantella non per questioni personali ma per pure curiosità, «visto che a Vibo se ne parlava e ne scrivevano i giornali». Per il pm, invece, «sembrerebbe da questa conversazione che Giamborino le avrebbe detto di stare tranquillo perché sulla sua persona non c’era proprio niente. Le dico: conferma anche alla luce di questo dato che lei non ha avuto alcuna risposta in ordine ai temi toccati da Andrea Mantella e in ordine al fatto che non avesse parlato di lei?».
«Come faccio a sapere se ha parlato di me se non ho letto le carte? A me Giovanni non ha dato nessun verbale di Andrea Mantella», spiega ancora il teste.
Le strade di Ceravolo e Mantella si erano incrociate anni prima, quando il primo avrebbe svolto lavori edilizi per il futuro pentito. In un altro procedimento si era ipotizzato che Ceravolo avesse subito un’estorsione dal boss. Lui ha sempre negato, dicendo di essere stato pagato soltanto in parte, ma solo perché Mantella prima di saldare il conto era stato raggiunto da un decreto di sequestro. La questione dei rapporti tra il sindacalista e l’ex boss dei Piscopisani viene risollevata in aula sempre sulla base di un’intercettazione trascritta dal perito del Tribunale: «Lei ha risposto di non aver avuto alcuna notizia sulle dichiarazioni rese da Mantella. Risulterebbe invece da questo dato intercettivo trascritto dal perito incaricato dal Tribunale che lei avrebbe invece appreso da Giamborino che sul suo conto “non c’è proprio niente” e in più (Giamborino, ndr) le dà anche un’indicazione, perché lei oggi ha fatto riferimento a un processo dove era stato sentito come persona offesa di Mantella e dove invece lei ha detto “non ho avuto problemi di natura estorsiva ma Mantella mi ha pagato per una certa somma i lavori, la restante somma non me l’ha potuta pagare, era stato destinatario di un provvedimento di sequestro”».
«In questa conversazione – è sempre la sintesi del pm – Giamborino non solo le dice che sul suo conto non c’è proprio nulla ma addirittura le dice che comunque per sincerarsi che lei non abbia avuto problemi ha parlato con l’avvocato Pittelli di lei e che avrebbe avuto il suggerimento nel caso in cui fosse uscito qualcosa del dichiarato di Andrea Mantella… lei avrebbe dovuto dire in tutte le sedi di essere stato minacciato. Se la ricorda o non se la ricorda questa conversazione e questo suggerimento?».
«Ma questo l’ha detto Giovanni? Ma era un suo pensiero. Dottoressa, ma questi dati voi li prendete da dove? Non riesco a capire», abbozza Ceravolo. Che poi dice due volte di non ricordare quel dialogo con Giamborino e spiega anche di non conoscere l’avvocato Giancarlo Pittelli. Risposte che non convincono la Dda di Catanzaro che si riserva di trasmettere gli atti per falsa testimonianza, come poi avviene. Ma questa è soltanto una parte della storia. Il resto si svolge a Torino, dove l’antimafia guidata da Giovanni Bombardieri ha puntato i fari su Ceravolo che avrebbe avuto «un ruolo rilevante ai fini dell’attività dell’associazione».